Normie

Clarissa Ciano
Centennial
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5 min readMay 30, 2021

Intervista a Elle van der Burg

Photo by Dainis Graveris on Unsplash

Il primo capello bianco mi è spuntato all’età di diciannove anni. È stato l’elemento che ha tradito la mia estetica da perenne sedicenne. Quando le persone mi chiedono l’età rimangono stupite, perché non dimostro i miei quasi trent’anni e per loro sembro ancora incastrata nel mondo dei teen. Un po’ come quegli attori e attrici che sono diventati famosi da bambini, e crescendo non hanno perso quelle fattezze. Ma quel capello bianco ha fatto scattare il mio countdown personale, e amici e parenti hanno iniziato a prendermi il tempo e a organizzare la mia vita. Quando ti laurei? A ventisette anni ricominci a studiare? Quando ti sposi? Quando vai a vivere da sola?

La generazione Millennial conosce bene questa sensazione di straniamento, in cui continui a studiare e a fare master perché per fare uno stage hai bisogno delle stesse skill di un amministratore delegato. Devi essere neolaureato ma con almeno cinque anni di esperienza, devi sapere l’inglese ma anche l’arabo, il russo e il coreano non sono male.

Vivi rincorrendo obiettivi prestabiliti che trasformano la tua vita in una caccia al tesoro. Lo fai per non deludere chi ti sta vicino, accantonando le tue aspettative. Ma c’è chi ha scelto di vivere secondo le proprie regole perché non si possono far contenti tutti.

Foto via Instagram di Elle van der Burg (baby_caramelle)

Elle van der Burg è una modella transgender di appena ventiduenne anni, che ha smesso di chiedere il permesso di essere stessa e ha iniziato la sua vita. A quindici anni lavorava nel mondo della moda, prendendo parte a numerose campagne internazionali e finendo sulle copertine di riviste come Cosmopolitan. La modella si è imbattuta nell’attivismo perché nel suo Paese, il Sudafrica, non c’è la possibilità di confrontarsi e fare delle conversazioni sul genere e sulla sessualità. Ha scelto di riscrivere i confini della rappresentazione instaurando un dialogo costruttivo sulle tematiche queer. Perché parlare e confrontarsi è il primo passo per iniziare la transizione verso il cambiamento.

In che modo la morte di tuo padre ha cambiato la tua prospettiva?

Quando mio padre è morto era molto giovane. La sua morte prematura mi ha fatto capire quanto la vita sia davvero fugace, allora ho pensato all’idea di essere seppellita un giorno con un aspetto che non mi rispecchiava. È così che è iniziata la mia transizione.

Nel documentario Out of this world hai detto: “Vivere per far contenti gli altri non è sempre la scelta migliore”, che ruolo ha avuto la tua famiglia nella tua transizione?

Ho una famiglia e un gruppo di amici molto solidali, ma inizialmente avevo tanta paura di deluderli. Ricordo di essere andata nel panico prima di fare coming out con mia madre; ero così spaventata all’idea che si arrabbiasse con me. Ma alla fine tutto è andato per il meglio, e mi sento privilegiata ad avere un gruppo di persone che ci tengono così tanto a me.

La moda e la rappresentazione sono molto legati, ti ha mai creato dei problemi essere una modella transgender?

Non ho mai avuto esperienze negative come donna transgender e come modella. Però devo ammettere che mi vengono offerti lavori dove quello che ci si aspetta da me può essere limitante a volte, come se importasse soprattutto la mia diversità piuttosto che l’essere solo me stessa.

Pensi che la moda abbia fatto dei passi avanti in termini di rappresentazione e inclusività o sia ancora molto legata agli stereotipi di genere?

L’industria della moda ha fatto passi avanti per quanto riguarda la rappresentazione, ma penso che abbiamo ancora molta strada da fare sul modo in cui vengono commercializzati i prodotti e chi viene scelto per rappresentarli. Aspetto il giorno in cui il deodorante e le lamette non debbano essere distinte per il genere.

Cosa significa essere una modella transgender in Sudafrica?

Essere una modella transgender in Sudafrica è un po’ come essere un unicorno, siamo rare ma anche molto richieste, rispetto alle altre modelle.

Come è iniziato il tuo attivismo?

Mi ci sono un po’ imbattuta nell’attivismo. Penso che per rappresentare un gruppo di persone difficilmente capite, come le persone transessuali, sia necessario sensibilizzare il mondo su queste specifiche tematiche. L’attivismo non è qualcosa che ho scelto, ma è qualcosa che ho finito per fare. È stato necessario.

Ora ti senti libera di essere te stessa?

Mi sento di star vivendo la mia verità, ma sono anche consapevole che non tutti siano pronti a comprenderla, e certe volte mi sento di dover assecondare queste persone per essere accettata. Comunque, è una cosa su cui sto lavorando e sto cercando di fregarmene di meno.

Quale campagna a cui hai partecipato ti ha rappresentata di più?

Mi è davvero piaciuta la campagna Dove #ShowUs. È stato fantastico lavorare su un set composto da sole donne e non dover fare altro che essere me stessa. Penso anche che il messaggio di quella campagna sia importante perché parla di unificare l’identità delle donne senza dividerci o minimizzarci.

Pensi che l’industria della moda e i media siano davvero interessati alla rappresentazione transgender, o in alcuni casi ti sembra che sia più una “moda”?

È un argomento complicato. Penso che alcuni aspetti della rappresentazione transgender siano ben intenzionati, ma non sono ingenua e so che ora sia più redditizio per le aziende e i marchi apparire più inclusivi. Indipendentemente da ciò, la moda fa molto per mostrare le persone e le loro differenze, quindi anche se fosse solo una tendenza almeno è vantaggiosa.

Come attivista che consiglio vorresti dare a tutte le persone che non si sentono rappresentate e hanno paura di far sentire la loro voce?

Siate voi stessi e smettetela di chiedere il permesso. Non c’è niente di peggio che rimpiangere qualcosa che avreste potuto fare prima.

Photo by Sincerely Media on Unsplash

La forza e il coraggio di Elle van der Burg derivano dalla consapevolezza che essere sé stessi è un diritto di ogni individuo. L’attivismo che propone è uno scambio dinamico sulle tematiche queer e sulla rappresentazione, perché conoscere le storie di chi è ancora considerato invisibile è il modo migliore per creare un cambiamento. La modella usa i social per alimentare uno scambio e un confronto continuo che permette a chiunque si senta sottorappresentato, escluso o non protetto di trovare uno spazio di espressione. Perché il primo passo per sentirsi liberi è poter essere sé stessi.

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Clarissa Ciano
Centennial

Durante i suoi viaggi avrebbe voluto avere uno gnomo da fotografare, come Amélie Poulain.