Nel labirinto della mente. Jane Eyre e gli studi letterari cognitivi

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6 min readJan 11, 2018

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di Teresa Prudente

Joan Fontaine e Orson Welles in uno dei numerosi adattamenti cinematografici del romanzo (Robert Stevenson, 1943)

L’incontro fra gli studi cognitivi e quelli letterari è uno dei più vivaci ambiti di ricerca comparsi nel panorama internazionale negli ultimi decenni. Si tratta, però, di un campo estremamente complesso, ramificato, attraversato da una moltitudine di possibili incroci, e che, come spesso succede con le nuove correnti, nel suo carattere di “avanguardia” riafferma, in verità, le radici antichissime, reperibili nella permeabilità di scienze umane e scienze “dure” del mondo classico, di un naturale, irrinunciabile, scambio interdisciplinare. Nel contesto, tuttavia, della contemporanea parcellizzazione e specializzazione dei saperi, lo scambio si è fatto più problematico, situandosi in un panorama a tratti contraddittorio, in cui la diffusione delle ricerche che si fondano sulla collaborazione fra più settori convive con persistenti impulsi di circoscrizione e difesa del proprio territorio da parte delle singole discipline. Ad alimentare un certo scetticismo nei confronti delle ricerche che coinvolgono ambiti diversi è anche, innegabilmente, il carattere vario, frazionato, potenzialmente scomponibile in infiniti tagli e direzioni che esse assumono — frutto inevitabile della diversificazione interna dei singoli campi coinvolti. Per quanto riguarda poi la collaborazione fra gli studi cognitivi e quelli letterari, bisogna ricordare che essa si inscrive nel contesto di un più ampio orizzonte di indagine, quello delle Cognitive Humanities, che si propongono di studiare i processi e i prodotti culturali attraverso una molteplicità di possibili tagli cognitivi.

Per offrire un breve assaggio delle varie prospettive e tangenti di ricerca degli studi letterari cognitivi può forse risultare utile “ancorarsi” ad un caso specifico, per andare a verificare come, anche ad una rapida ed incompleta ricognizione, l’analisi di un testo classico, in questo caso il romanzo Jane Eyre di Charlotte Brontë, possa risultare vivificata, arricchita, e caricarsi di ulteriori, magari inaspettate, implicazioni, se fatta “reagire” con spunti, metodi, strumenti derivanti dalle scienze cognitive. Il romanzo del 1847 si può rivelare un esempio utile in virtù della sua natura di “classico”, così come della chiara pertinenza cognitiva di temi e personaggi dell’opera, prestandosi così a fornire una esemplificazione in grado non solo di suggerire l’articolata casistica, ma anche lo sviluppo diacronico, dei diversi approcci nel campo.

Uno dei primi, sostanziali, incontri fra i due ambiti si è infatti realizzato, a partire dai primi anni ’90, con l’attenzione, prestata da alcuni scienziati cognitivi, e in primis Mark Turner (1991, 1996), ai meccanismi cognitivi alla base del processo di lettura e, in seguito, della creatività. I romanzi annoverati fra i classici, tra cui Jane Eyre, sono stati, e rimangono tuttora, testi privilegiati per questo tipo di indagine, in virtù non solo della diffusione della loro lettura, ma anche della loro ricchezza stratificata, non di rado contraddittoria, che consente analisi sofisticate di fenomeni come l’attenzione, l’immaginazione, l’empatia. Si tratta anche della modalità di indagine che meglio sembra avere guadagnato l’attenzione di un pubblico non specialistico, viaggiando sul doppio binario dei testi di divulgazione (e degli articoli sulla stampa non specializzata) e della produzione scientifica (per citare solo un esempio recente: la verifica del Five-Factor Model (FFM) della personalità attraverso la sua applicazione ai personaggi di classici della letteratura inglese, fra cui Jane Eyre, Handbook of Psychology, vol. 5).

Christian Schloe, Portrait of a heart

Un testo come Jane Eyre presenta poi anche, come si anticipava, dei chiari elementi tematici che ne hanno fatto terreno privilegiato di indagini che, attestatesi prima su una storia culturale e clinica dei fenomeni di alterazione percettiva, si sono, negli ultimi decenni, aggiornate attraverso l’uso di strumenti cognitivi. Non va infatti dimenticato che, a partire dalla pubblicazione del seminale The Madwoman in the Attic (1979), dall’analisi di Jane Eyre si sono diramati innumerevoli filoni di analisi delle implicazioni (sociali, genderiche, metaforiche) della rappresentazione di donna e malattia mentale (lo spunto principale, in genere: il personaggio di Bertha) — studi di stampo chiaramente femminista che, nelle loro espressioni più recenti, hanno assunto la forma dei Feminist Disabilities Studies.

Il frontespizio della prima edizione di Jane Eyre

Come si anticipava, tuttavia, la varietà degli approcci che possono essere definiti “cognitivi” allo studio di Jane Eyre, di cui si sta dando qui un parzialissimo saggio, rivela non solo la molteplicità delle possibili prospettive, ma anche l’evoluzione diacronica di un campo di studi pur così “giovane”. La chiave per comprendere questa evoluzione risiede proprio nel tentativo, da parte degli approcci più recenti, di spingersi al di là di alcune dicotomie e limitazioni di prospettiva che, innegabilmente, e soprattutto ad uno sguardo retrospettivo, hanno caratterizzato, come avviene per molte correnti, gli esordi degli studi letterari cognitivi. L’impulso verso una più completa inter- e transdisciplinarità viene ora fornito da studi, ed équipes di ricerca, che cercano di superare la “separazione” dei punti di vista (ravvisabile anche negli esempi prima forniti: da una parte, studi cognitivi che assumono i dati ricavati dai testi letterari, e, dall’altra, studi letterari che si appoggiano a teorie cognitive) in favore di procedimenti di ricerca condivisi. Nel caso specifico di Jane Eyre, poi, le ricerche più recenti mostrano i movimenti di superamento di due importanti potenziali limitazioni di prospettiva, fra di esse legate: quella dello studio delle alterazioni percettive in termini esclusivamente psicopatologici, e quella dell’analisi principalmente tematica delle opere letterarie. Le prospettive di studi recenti dimostrano infatti un’attenzione specifica agli elementi testuali — grazie, in primis, all’applicazione della linguistica cognitiva –, che si salda con un taglio di indagine che non intende esclusivamente isolare e catalogare il fenomeno dispercettivo (o meglio, la sua riconfigurazione linguistico-letteraria), ma, piuttosto, partire dallo stesso per una più ampia indagine sul funzionamento dei meccanismi linguistico-cognitivi (si vedano ad esempio Xin 2014 e Pelican Straus 2001). È proprio questo perpetuo movimento dal particolare al generale, e di “attraversamento” del testo con gli strumenti di discipline diverse, che può suggerire, seppure qui solo fugacemente, come le analisi di taglio letterario cognitivo — se intese, certo, non solo come asettiche dissezioni ‒, possano riattivare, e far emergere sotto nuova luce, l’inesauribile ricchezza e stratificazione interna dei testi.

Teresa Prudente insegna letteratura inglese presso l’Università di Torino. Ha pubblicato studi monografici sul Modernismo in lingua inglese (A Specially Tender Piece of Eternity: Virginia Woolf and the Experience of time, 2009; To Saturate Every Atom: letteratura e scienza in Woolf e Joyce, 2012) e curato e tradotto The Two Noble Kinsmen di Shakespeare (2015). Attualmente la sua ricerca si occupa, con metodo interdisciplinare, dell’analisi del punto di vista impersonale nel Modernismo, e delle forme di riconfigurazione linguistica e narrativa dell’esperienza dell’allucinazione.

Per un introduzione al tema delle Cognitive Humanities si vedano:

Bernini M., Caracciolo M. (2013), Letteratura e scienze cognitive, Carocci, Roma.
Cini, M. (a cura di) (2017), Humanities e altre scienze: superare la disciplinarità, Carocci, Roma.
Garratt, P. (ed.) (2016), The Cognitive Humanities: Embodied Mind in Literature and Culture, Palgrave Macmillan, London.
Hogan, P. C. (2003), Cognitive Science, Literature, and the Arts: A Guide for Humanists, Routledge, New York.

Opere citate:

A.A.V.V., “This Is Your Brain on Jane Austen: The Neuroscience of Reading Great Literature”, Open Culture, 14 luglio 2015.
Bronte, C. (1847), Jane Eyre, Smith, Elder & Co., London
Gilbert S. and Gubar, S. (1979), The Madwoman in the Attic: The Woman Writer and the Nineteenth-Century Literary Imagination, Yale University Press, New Haven and London.
Pelikan Straus, N. (2001), “Gazes, Fires, and Brain-Body Repair in Brontë’s Jane Eyre”. PSYART: A Hyperlink Journal for the Psychological Study of the Arts, 2001
Tennen H. A. and Jerry M. Suls, eds. (2012), Handbook of Psychology, vol. 5: Personality and Social Psychology, Wiley.
Turner, M. (1991), Reading Minds: The Study of English in the Age of Cognitive Science, Princeton University Press, Princeton.
Turner, M. (1996), The Literary Mind, Oxford University Press, New York-Oxford.
Xin, W. (2014), “A Cognitive Pragmatic Study of Rhetorical Questions”, English Language and Literature Studies; Vol. 4, №1.

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