L’incomprensibile linguaggio degli amanti. Le Taxi di Violette Leduc

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5 min readDec 12, 2017

di Luana Doni

Violette Leduc

Si potrebbe affermare, non senza le dovute misure, che quasi la totalità dell’opera di Violette Leduc, la “bastarda” amica degli Esistenzialisti, sia dedicata all’amore.
Fin dagli esordi testimoniati dall’apparizione del romanzo autobiografico L’Asphyxie, l’amore, nelle sue forme, assume un ruolo centrale e necessario all’impianto narratologico della sua opera. Necessario a quel particolare modo di esprimere tale sentimento per mezzo di immagini che attingono, in una certa maniera, dalla memoria surrealista.

Per i Surrealisti, per Breton in particolare, l’amour fou indica l’invito a praticare l’amore e a lasciarsi cogliere dall’evento imprevisto che, nel romanzo surrealista per eccellenza, era rappresentato dalla figura di Nadja.
Così, l’amour fou, l’amour passion è quell’avvenimento che “si rovescia sul reale e lo contamina” (Galateria, 1984: 211), dando agli incontri fortuiti la valenza di “fenomeni che sembrano comporsi in due serie di segno opposto: una serie positiva, amore, amicizia, vitalità; una serie negativa, follia, disorganizzazione, morte.” (Galateria,1984: 211)
Questo, forse, l’aspetto che più avvicina Violette Leduc ai Surrealisti e che, allo stesso tempo, l’allontana, perché se per l’Io di Breton Nadja rappresenta un qualcosa la cui evidenza è assunta in quanto tale e, a tale evidenza, l’autore non può che arrendersi senza cercare di interpretare, per Violette Leduc quello stesso amore, totalizzante, è letto nell’incapacità di comprenderne il rifiuto.
Di questo si compongono le pagine de L’Affamée, testo tra i più complessi dell’autrice, in cui viene trasposto il lento logorio di una passione non corrisposta laddove l’accanimento dell’io narrante, simboleggiato dalla scrittura, altro non fa che contribuire alla trasfigurazione dell’oggetto amato in un oggetto di culto difficile da comprendere per chi, al contrario dell’autrice, non vive l’amore nella sua più totale capacità distruttiva.

Distruzione e devastazione sono motivi chiave per Leduc: Ravages è infatti il titolo del romanzo in cui la tirannia dell’amore è il perno attorno al quale ruota un singolare ménage à trois, ma la “devastazione” è parola ricorrente anche in un altro testo, l’ultimo pubblicato dall’autrice ancora in vita e forse tra i più esemplari quando si torna a fare i conti con l’incomprensibile: Le Taxi.

Emmanuelle Devos (Violette Leduc) e Sandrine Kiberlain (Simone de Beauvoir) in una scena di Violette, il film di Martin Provost ispirato alla vita di Violette Leduc (2013)

Le Taxi non è un romanzo, non è neppure un’autobiografia. Due voci, rispettivamente contrassegnate dalla punteggiatura che apre i dialoghi di un qualsiasi testo, ed è tutto.

Un uomo e una donna? Due fratelli. “- La nostra somiglianza li tormentava. ‘È tua sorella?’. — La nostra somiglianza li spaventava. ‘È tuo fratello?’. — La nostra somiglianza li terrorizzava. Un fratello e una sorella! — Non si sbagliavano. — Avevano indovinato.” (Leduc, 1993: 19)

Un dialogo o due monologhi intrecciati che parlano d’amore, di gioia, di rimorso e di sofferenza. Con Le Taxi si entra in un universo quasi estraneo all’autrice de La Bâtarde: quello della reciprocità, del rapporto d’amore vissuto ma non senza la collaborazione dell’interdetto, dell’inusuale, di quel “vivere e descrivere l’amore in perenne trasgressione.” (Morino, 1993: 81)

È la resa di una passione incestuosa consumata all’interno di un taxi che traina i due amanti per le vie affollate di un’ignara Parigi. Una sorta di allusione, come suggerito da Morino, al celebre passaggio della carrozza in cui Emma Bovary e il suo giovane amante Léon celano all’occhio del lettore la loro unione. Ciò a cui Flaubert alludeva mediante l’uso delle immagini, Leduc lo fa con le parole. Le parole sono l’ostacolo da oltrepassare per comprendere ciò che sta accadendo all’interno della vettura.

“Di quei corpi alle pagine, sono affidate solo le voci, interrotte da spazi bianchi là dove si trovano sopraffatte dall’orgasmo e, quindi, si liberano dalle articolazioni della parola per divenire impossibile oggetto di scrittura.” (Morino, 1993: 76)

Si giunge dunque a un al-di-là della scrittura (un grado zero?), una scrittura incomprensibile e dell’incomprensibile, di ciò che non può essere con-preso, ossia incluso, nello spazio del dicibile.
È la letteratura della sensazione, la letteratura più “umana” alla maniera di Bataille, in cui risiede “le haut lieu de la passion.” (Bataille 1979: 187)

La “parte maledetta”, uno dei territori di indagine privilegiati della letteratura neoavanguardista, è resa ne Le Taxi attraverso le metafore dell’azione del desiderio sui corpi dei due amanti:

“- Ricominciamo. Un bruco attraversa un viottolo. Lentezza, lentezza. — Lo sfinimento dopo lo sfinimento? Come preferisci. — Parla… Parla… Dimmi. — Io ti dico rovine, annientamenti.” (Leduc 1993: 30)

“- Non vuoi capire. Troppo amore travolge. I cavalli selvaggi mi trascinano. — … -…Sono fra loro, ti investo, ed è come se investissi un tempio. -… — Io non mi fermo, galoppo con loro. Tu giaci sulla polvere, ho solo te al mondo.” (Leduc 1993: 45)

L’impuro, la sozzura, evocando la riflessione di Edda Melon in merito al lavoro di Violette Leduc, è fattore determinante per la scrittura in quanto intimamente legati a quel riferimento autobiografico che la vede nata dal sangue e dall’amarezza di una madre che non le ha mai dato la mano e dal rifiuto di un padre sconosciuto.

“Verso la scrittura, per cercarvi la purezza del simbolico, ma proprio lì, nel disfarsi e rifarsi del linguaggio, dover affrontare quel materno di cui aveva cercato di perdere le tracce, e la colpa di essersi avventurata in una stanza proibita.” (Melon, 1985: 162)

L’atto di creazione insito nel rapporto sessuale è ne Le Taxi atto di violenza espressa attraverso un linguaggio in cui non vi è poesia ma tumulto, ribellione. Ribellione nei confronti di tutto ciò che rappresenta l’ordine naturale delle cose, contro la norma e il buongusto, contro i valori tradizionali che l’hanno sempre vista esclusa, contro un padre e una madre che amano i loro figli.

Violette Leduc, disegnata da David Levine

Luana Doni si occupa dell’opera di Violette Leduc nell’ambito del dottorato di ricerca in Digital Humanities presso l’Università degli Studi di Torino.

Opere citate

Galateria, Daria, André Breton, in AA.VV., I Contemporanei, Roma, Lacarini Editore, 1984
Leduc, Violette, L’Asphyxie, Paris, Gallimard, 1946
Leduc, Violette, L’Affamée, Paris, Gallimard, 1948
Leduc, Violette, Ravages, Paris, Gallimard, 1955
Leduc, Violett , Le Taxi (1971), trad. it., Il Taxi, Milano, ES, 1993
Melon, Edda, Il lavoro di Violette Leduc, in C. Cases (a cura di), Ricerche di identità, Torino, La Rosa, 1985
Morino, Angelo, All’origine delle parole d’amore, in V. Leduc, Il Taxi, Milano, ES, 1993.

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