Cultura e social network

Autoreferenzialità, eccesso di informazioni e di promozione, scarsa propensione al dialogo e mancanza di personalità rendono la comunicazione molesta e inadeguata alle piattaforme digitali.

Quando prepariamo un post per i nostri canali social dobbiamo chiederci che cosa vogliono leggere i nostri follower. Come possiamo far sapere loro che sta per essere inaugurata una mostra sulle maioliche settecentesche del basso Piemonte evitando che incomincino a strabuzzare gli occhi, gridare come dannati e -cosa peggiore- tolgano il follow alla pagina?

No, non è questa la reazione che desideriamo!

La risposta è semplice: attraverso le storie.

Le storie servono a rendere il mondo meno terribile, a immaginare altre vite, diverse da quella che si sta faticosamente vivendo (…) finché si racconta, finché c’è una voce che narra siamo ancora vivi.
Marco Baliani

Dobbiamo raccontare le storie che le nostre maioliche portano con sé: le dimore che le hanno accolte, gli incendi che le hanno danneggiate, i re e le regine che le hanno usate per accogliere ospiti importanti, amanti e traditori.

Quante storie si celano in una zuccheriera decorata a mano?

Dobbiamo dare rilevanza agli aspetti emozionali, coinvolgere la persona che ci legge dall’altra parte dello schermo.

Perché è questo il vero segreto di tutta la comunicazione: il sentimento.

Se non raccontiamo la passione che ha spinto gli storici dell’arte a studiare gli archivi o i libri contabili non trasmettiamo altro che nozioni, e le nozioni si dimenticano presto.

Ricordo quando il direttore del Piccolo Museo del diario raccontò a me e ai miei colleghi la storia di Clelia Marchi che, rimasta vedova, aveva preso a scrivere. Una sera, finita la carta, scrisse sulle lenzuola matrimoniali che non utilizzava più. Non so se la storia è esatta, ma ciò che ricordo è l’emozione provata nel momento in cui ho percepito la sensazione di leggerezza che Clelia doveva aver provato grazie alla scrittura, unico conforto in un momento di profonda sofferenza. Non ho mai visitato il Piccolo Museo del diario, è molto distante da Torino, ma qualcosa mi è rimasto nel cuore: un sentimento condiviso, che attraversa secoli e distanze, unisce persone lontane e diverse.

Perché non raccontare le storie degli oggetti che i nostri musei custodiscono nelle loro sale? Per diffondere consapevolezza, identità e unità: conserviamo testimonianze storiche apparentemente trascurabili ma che sono pronte a narrare vicende indimenticabili, momenti dirimenti e sentimenti che ci rendono parte di un’unica grande pazza umanità.

Social Cut

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