Il movimento femminista sta creando la propria tecnologia per organizzarsi, ma dove sono i finanziamenti?

Chayn Italia
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9 min readJan 4, 2021

Abbiamo deciso di tradurre l’articolo scritto da Ledys Sanjuan Mejia per Gender.it. Crediamo fornisca spunti di riflessione interessanti per chi crede che internet abbia un ruolo nella trasformazione politica dell’esistente e che, come le strade, debba essere rivendicato. Non solo: per r/esistere, il movimento femminista digitale ha bisogno di fondi, ma soprattutto siamo noi ad avere bisogno del movimento. Ecco perché.

Il fatto che internet non sia uno spazio sicuro per organizzarsi non è un segreto per le attiviste femministe. A causa della pandemia e delle diverse forme di isolamento si è registrato un netto aumento dei casi di violenza sulle donne e le persone LGBT+. Durante questo periodo, le femministe si sono servite della rete per mantenersi in contatto, organizzarsi e contrattaccare, offrendo sostegno e accompagnamento fondamentali alle persone superstiti di violenza di genere. Ma non solo: oltre a questo aspetto, l’uso della rete e dei suoi strumenti — in particolare Zoom, WhatsApp e le applicazioni dei social media — è aumentato durante la pandemia poiché consente alle persone di sentirsi connesse, trascorrere tempo insieme, svagarsi e molto altro. Ovunque, i server internet sono stati sovraccarichi di utenti, e le homepage dei nostri social riempite di eventi live, chiamate Zoom e applicazioni per momenti sociali collettivi online.

Tuttavia, i mezzi di telecomunicazione gestiti dalle grandi multinazionali non hanno tardato molto a tradire i propri utenti. Le stanze online di Zoom e Jitsi sono state invase da uomini che hanno fatto irruzione nelle chiamate altrui imponendosi con contenuti sessualmente espliciti, linguaggio razzista o sessista e molto altro — una pratica nota come “Zoombombing” — e l’azienda non è ancora stata in grado di garantire la sicurezza degli/lle utenti. In similar modo, piattaforme come Facebook e Twitter continuano a colpire e penalizzare i gruppi sociali più marginalizzati, eliminando i loro post, permettendo che i loro contenuti siano visibili a gruppi di estrema destra o diffondendo disinformazione e notizie false senza un’adeguata verifica dei fatti e un corretto bilanciamento delle fonti. Recentemente il magazine The Atlantic ha pubblicato un servizio che ha evidenziato come gli annunci di Facebook abbiano favorito la diffusione della campagna di Trump con i suoi contenuti di estrema destra. Inoltre, sempre di recente, Twitter è stato criticato per aver rimosso alcuni post del movimento Black Lives Matter senza invece intervenire in alcun modo per contrastare razzisti ed estremisti di destra sulla piattaforma. I servizi di telecomunicazione di proprietà di queste grandi aziende continuano a rivelare i loro limiti ed errori, tuttavia, in mancanza di valide alternative, continuiamo a utilizzarli in massa, consegnando volontariamente una miriade di dati personali su cui basano i loro profitti.

Può sembrare che sia impossibile sfuggire a questa realtà di sorveglianza e controllo di internet sulle nostre vite, ma ci sono soluzioni, e le femministe ne sono consapevoli.

Esiste, infatti, un’enorme quantità di strumenti tecnologici alternativi, ma la maggior parte di essi sono costruiti e manutenuti da attiviste che si dedicano a questo compito spesso su base volontaria parallelamente ad altri lavori e senza percepire alcuna retribuzione, o dalle poche fortunate che lavorano presso organizzazioni internazionali ma continuano a costruire un internet femminista come progetto collaterale. Le attiviste hanno costruito i propri server, le piattaforme, le app di monitoraggio delle mestruazioni, i siti web e altro ancora, così da organizzarsi in sicurezza, sebbene ricevendo scarso supporto finanziario da parte della filantropia internazionale che si occupa diritti umani o dagli investimenti sociali. Al contrario, strumenti alternativi, open source e crittografati sviluppati da uomini bianchi di genere cis che vivono nel nord del mondo, come Riseup.org, TOR o Signal sono incredibilmente ben finanziati.

L’INTERNET FEMMINISTA È CRONICAMENTE SOTTOFINANZIATO:

Nel 2019 ho partecipato all’internet Freedom Festival, dove ho assistito a un intervento tenuto da un gruppo di femministe in merito ad una nuova app sicura per il monitoraggio del ciclo chiamata Drip. Costruita dalle femministe a Berlino per coloro che hanno le mestruazioni, l’app era ancora nella sua versione beta nonostante fosse stata realizzata nel 2016, attualmente è ancora in fase di sviluppo e disponibile solo su Google Play.

D’altro canto, esistono moltissimi esempi di iniziative cyberfemministe che sono state costrette a fallire a causa della totale mancanza di finanziamenti, come il collettivo cyberfemminista messicano Kefir, uno dei primi collettivi femministi che si proponevano di creare e sviluppare prodotti tra cui assorbenti e siti web, obbligato a chiudere i battenti. Ho parlato con N., la fondatrice di questo collettivo, per capire meglio la sua opinione riguardo ai finanziamenti nell’ambito dell’internet femminista. N. mi ha parlato delle dinamiche tossiche, del burnout ed esaurimento lavorativo dovuto al sovraccarico di lavoro unito alla mancanza di fondi nell’ambito di un internet femminista. Spesso, alcune delle attiviste che fanno parte della comunità cyberfemminista sono impiegate presso organizzazioni internazionali a difesa dei diritti umani, mentre altre dispongono di molteplici fonti di sostentamento e, al tempo stesso, creano e mantengono questi strumenti di così vitale importanza per le organizzatrici femministe. Questa precarietà e scarsità di fondi portano inevitabilmente a sviluppare competizione e rivalità che possono risultare in dinamiche nocive per il movimento e per le attiviste stesse, che possono rinunciare del tutto a portare avanti l’iniziativa in questi spazi.

Il movimento femminista digitale ha bisogno di fondi, ma non illudetevi: noi (finanziatrici/ori, utenti e consumatrici/ori) abbiamo bisogno del movimento più di quanto esso abbia bisogno di noi.

Questa comunità si fonda sui principi dell’intersezionalità, in cui la lotta per la libertà digitale si estende alle molteplici altre sfide che dobbiamo affrontare come donne e persone non conformi di genere di diversa razza ed etnia.

L’internet femminista sarà antirazzista e trans-inclusivo! In questo senso, il dibattito intorno all’internet trans femminista e le tecnologie che ne derivano stanno portando avanti un lavoro innovativo. Un buon esempio è il manifesto dell’algoritmo transfemminista, scritto da Lili Anaz e Ana Akhmatova. In questo pezzo, il concetto di algoritmo viene esaminato, decostruito e reimmaginato da un punto di vista transfemminista. In questo nuovo internet reimmaginato e costruito dal punto di vista di chi è stato emarginato c’è posto per tutti, abbiamo tutti uno spazio. In altre parole, gli strumenti sono fatti per soddisfare le esigenze delle femministe queer del Sud Globale, mentre ci tiene tutte al sicuro. Nella definizione tradizionale di internet, dal punto di vista degli uomini bianchi, cis-gendered, del Nord Globale, questi temi sono rilevanti? Probabilmente no. Nella definizione tradizionale del femminismo o del movimento delle donne, gli algoritmi, i software e i server fanno parte del dibattito sulla giustizia di genere? Appena. Al contempo, connettere il concetto di libertà di internet con la giustizia di genere è fondamentale per il modo in cui pensiamo al mondo post pandemico.

La verità è che è necessario un approccio intersezionale e partecipativo al finanziamento per finanziare l’internet femminista in un modo che soddisfi le esigenze di questa comunità senza un compromesso sui loro principi. La tecnologia che utilizziamo è patriarcale, “white supremacist” e capitalista, ma come donatori, utenti e consumatori, diamo regolarmente per scontato il nostro uso massiccio di Google, Facebook, Twitter, Dropbox e altre piattaforme per le comunicazioni, la raccolta e l’archiviazione di dati che commercializzano non solo le informazioni delle nostre organizzazioni ma anche le informazioni dei movimenti che supportiamo.
Mentre i governi spendono milioni di dollari sulla tecnologia di sorveglianza per raccogliere informazioni sui leader della giustizia sociale, sugli organizzatori femministi, sui gruppi giovanili e altro ancora, i finanziatori stanno tacitamente consegnando queste informazioni ed aiutando le multinazionali a realizzare un profitto.

Immagine presa dalla pagina facebook dell’organizzazione Feminist Internet, la cui missione è rendere internet un luogo più egualitario mettendo insieme femminismi, tecnologie e arti.

Inoltre, se esistono finanziamenti destinati a creare uno spazio femminista su internet, i donatori interessati a finanziare movimenti sociali potrebbero far pendere l’ago della bilancia a favore della libertà di espressione e diritti digitali. Negli ultimi tempi, il taglio ai finanziamenti volti a sostenere il movimento femminista digitale è stata l’argomento centrale del dibattito. L’Open Technology Fund è stato rilevato dai sostenitori di Trump e praticamente svuotato dei propri fondi, mentre Moilla ha licenziato il 25% del personale in seguito alla recessione economica causata dai lockdown. Gli attacchi ai maggiori sostenitori finanziari della libertà digitale costituiscono una tragica prova del tentativo di controllare l’interconnessione in tutto il mondo, elemento chiave per stabilire il potere del fondamentalismo di destra che sta attualmente prendendo piede. La capacità di ostacolare, controllare e sorvegliare le nostre comunicazioni digitali come femministe e attiviste per la giustizia sociale offre alle aziende e ai governi l’abilità di consolidare la propria posizione, e tenere d’occhio le strategie per il cambiamento sociale messe in atto da femministe e attiviste.

D’altra parte, i finanziatori tecnologici sono spesso costantemente portati a sostenere iniziative web femministe, ma evitano il dibattito su cosa implichi sovvenzionare questo tipo di lavoro. Il movimento tecnologico progressista rispecchia il settore tecnologico, e gli sforzi per l’inclusione delle donne e delle persone trans che vivono nel Sud del mondo nel movimento per la libertà digitale sono lunghi ed estenuanti. Sebbene il movimento delle cyberfemministe abbia insistito per far valere le proprie priorità agli occhi dei finanziatori, si può sostenere che questi ultimi non siano pienamente convinti della centralità delle questioni di genere e le vedano solo come un’aggiunta o un sottoinsieme del settore.

Ma questa non è l’unica spiegazione. Parlando con varie femministe delle difficoltà di finanziamento che riscontrano, mi hanno spiegato che i donatori hanno spesso standard di rendicontazione molto alti che, ad esempio, richiedono un dispendio di tempo notevole per venire prodotti, oppure obbligano progetti tech molto complessi e ricchi di sfaccettature a sottostare a definizioni di tecnologia di stampo bianco e patriarcale. D’altra parte, queste pratiche sono ben note alle attiviste cyberfemministe, le quali non sono sempre disposte a ricevere finanziamenti da donatori nelle circostanze in cui il loro lavoro rischi di venire cooptato o di finire in mani sbagliate. Seguendo principi anarchici e anticapitalisti, le cyberfemministe preferirebbero proteggere il proprio lavoro da multinazionali che operano nell’industria della tecnologia al fine di trarne profitto o fornire informazioni essenziali a governi per scopi di sorveglianza e controllo, anche a scapito di poter usufruire di un più ampio ventaglio di opportunità e risorse.

L’estremismo di destra sa bene quanto la conquista di internet e dei beni comuni digitali sia importante per assicurarsi il potere. La filantropia dei diritti umani può far pendere in direzione opposta la bilancia finanziando una tecnologia alternativa, aperta e libera che i movimenti sociali devono organizzare e dove possiamo connetterci in modo sicuro e protetto. Tuttavia, la conversazione non è unilaterale. La filantropia deve adottare strategie di concessione di sovvenzioni più flessibili e profonde che mettano al centro le comunità che costruiscono questa infrastruttura sulla base di valori che proteggano privacy, dignità umana e sicurezza, valori alla base dell’attivismo e della filantropia femminista.

Internet, come le strade, deve essere rivendicato.

La pandemia ci ha mostrato che dipendiamo da strutture digitali per essere in grado di organizzarci e rimanere in contatto anche quando non possiamo farlo di persona. Eppure, internet rimane un campo di battaglia in cui aziende e governi sviluppano una tecnologia all’avanguardia volta alla sorveglianza di gruppi e attivist* per impedirci di guadagnare terreno. Dall’altro lato, vediamo attiviste cyberfemministe che lavorano in “internet freedom” resistendo e costruendo server, sviluppando app, siti Web, software che possano fungere da spina dorsale all’attivismo femminista e garantire che persone queer, donne e giovani trans possano utilizzare internet in sicurezza — forme di attivismo digitale che sono gravemente sotto finanziate nel contesto di una crisi economica globale in continua crescita. La sovvenzione di iniziative cyberfemministe può invertire la rotta dell’acquisizione di media e internet da parte dell’estremismo di destra, tuttavia chi finanza deve riconoscere le esigenze specifiche di questi gruppi di persone ed essere disposti a essere flessibili per raggiungere le comunità che stanno costruendo ad oggi le infrastrutture essenziali.

Internet, come le strade, deve essere rivendicato. Possiamo costruire nuovi spazi di coinvolgimento, organizzazione e trasformazione ma, per costruirli, abbiamo bisogno di fondi che possono assicurare a chi sta costruendo un internet femminista che possono prendere decisioni al di sopra della loro conoscenza attuale. Cominciamo con una strategia comune per lavorarci insieme.

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Progetto collaborativo che utilizza strumenti digitali per il contrasto alla violenza di genere. http://chaynitalia.org e https://strumenticontrolaviolenza.org/