L’indifferenza è complice. Una riflessione sulla morte di Sara Di Pietrantonio.

Chayn Italia
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3 min readMay 31, 2016

Un post dello Sportello “Una stanza tutta per sè”

Ancora un femminicidio, un’altra donna è morta, uccisa brutalmente per essersi sottratta al controllo del suo ex fidanzato, per essersi permessa di uscire da sola e di vedersi con le amiche, per aver deciso di uscire dal ricatto della gelosia. Le cronache hanno seguito il caso da vicino, entrando morbosamente nella sua vita e in quella di chi le era accanto.

Nonostante ciò, sono riuscite a colpevolizzarla nonostante tutto, in questo caso non per i vestiti succinti o la “dubbia” condotta morale, ma per non aver sporto denunciaomettendo quante donne hanno perso comunque la vita nonostante il ricorso o il tentato ricorso alle forze dell’ordine[1].

La violenza di cui Sara è stata vittima non è stata invisibile: Sara era stata seguita dall’ex nelle settimane precedenti l’omicidio, e soprattutto, durante l’aggressione, Sara ha chiesto aiuto alle macchine che passavano. L’indifferenza di chi le guidava è diventata così complicità nell’ ennesima violenza sulle donne e di un assassinio.

Ciò che è accaduto è talmente abominevole e irreparabile da non lasciare spazio al relativismo; ma troppo spesso le dinamiche che si producono nei casi di stalking vengono percepite come ambigue, fino a che non si manifestano in forme inequivocabili.
C’è quasi sempre empatia con l’aggressore: un disperato troppo innamorato, uno che se fa certe cose deve stare tanto male, qualcuno da aiutare a capire (cosa?). Non c’è quasi mai una presa di posizione decisa e determinata, che sostenga la donna senza se e senza ma. E questa difficoltà ad intervenire in modo chiaro si produce perché la violenza di genere non viene riconosciuta come tale e non viene percepita nella sua gravità.

Anche per questo femminicidio, sui giornali, si usa la parola «amore»; questa volta forse ci verrà risparmiata la parola «raptus», vista la palese premeditazione; probabilmente qualcuno dirà che proprio non se l’aspettava una tragedia così; magari qualcun altro spiegherà come ha fatto a non capire che Sara stesse chiedendo aiuto.
Si dimentica però che la violenza di cui Sara Di Pietrantonio è stata vittima è una violenza sistemica, una violenza che inizia con le battute al bar, cercando complicità nelle piccole vessazioni quotidiane, che prosegue nei posti di lavoro che pagano meno chi è donna ed emarginano chi è madre, minimizzano lo stalking facendolo passare per gelosia, descrivono le botte come relazioni conflittuali e il femminicidio come un raptus.

La violenza sociale quotidiana, il non prendere parola e posizione degli uomini, diventano così giustificazioni ad atti di violenza più o meno gravi, mentre le condizioni materiali — impossibilità di avere una casa e povertà in primis — non permettono alle donne di uscire dalle relazioni violente.
La nostra rabbia per l’omicidio di Sara è grande, tanto è il nostro dolore.
Nel ricordarla, ricordiamo tutte le donne che subiscono violenza, con cui siamo solidali, senza scordare mai che quella violenza non finirà se non sarà abbattuto il sistema di cui questa fa parte.

Condividiamo anche un articolo dell’Huffington Post sul silenzio del governo di fronte alla violenza sulle donne.

[1] Scrive repubblica: “Che si sarebbe potuta evitare — dicono gli inquirenti — se solo lei avesse avuto il coraggio di denunciare le continue vessazioni psicologiche.”

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