Perché la DNCII è violenza di genere?

Chayn Italia
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8 min readSep 19, 2021

Siamo convint3 che “revenge porn” non sia la terminologia adatta per parlare di diffusione non consensuale di materiale intimo e per fortuna questa opinione è sempre più diffusa. Nonostante la crescente sensibilizzazione sulla gravità del fenomeno, molti ancora non riconoscono la DNCII come forma di violenza.

La sociolinguistica ha di recente sostenuto il carattere performativo del linguaggio non solo sul pensiero, ma anche sui contesti sociali. Se si accetta che la parola contribuisca a creare la realtà, occorrerà prestare particolare attenzione alle definizioni.

Per questo motivo Chayn ha deciso di parlare di questa forma di violenza come DNCII (Diffusione Non Consensuale di Immagini Intime); in alternativa, il femminismo anglosassone parla di “image-based sexual abuse”, ovvero, come forma di abuso sessuale basato sulle immagini.

Diffondere immagini intime senza il consenso delle persone ritratte è innanzitutto un reato che viola la privacy ma non solo: è violenza di genere.

Vediamo qualche definizione di violenza di genere:

  • E’ “violenza contro le donne” ogni atto di violenza fondata sul genere che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà. Così recita l’art 1 della dichiarazione Onu sull’eliminazione della violenza contro le donne.
  • Il Ministero dell’Interno con l’espressione “violenza di genere” indica tutte quelle forme di violenza da quella psicologica e fisica a quella sessuale, dagli atti persecutori del cosiddetto stalking allo stupro, fino al femminicidio, che riguardano un vasto numero di persone discriminate in base al sesso.

Basandoci sulle definizioni sopra citate appare evidente che la DNCII sia una forma di violenza, in quanto provoca danni o sofferenze psicologiche e non si gode della libertà e del controllo dei materiali multimediali in cui si è ritrattə. Inoltre, l’assenza di consenso e il mancato controllo delle azioni altrui sull’immagine che raffigura il proprio corpo può essere definito un vero e proprio stupro online.

Quante volte abbiamo sentito dire, o magari lo abbiamo addirittura pensato noi stess3, rispetto a un caso di DNCII: “non avrebbe dovuto mandare certe foto”; magari anche con tono dispiaciuto e con la consapevolezza delle ingiustizie subite dalla persona a cui è successo (si pensi alla maestra di Torino o a Tiziana Cantone, per citare i casi più conosciuti). Ecco, tutto questo va contrastato con più consapevolezza sulla questione.

Questa logica infatti risulta infondata e conforme agli stereotipi della cultura dello stupro nella quale viviamo. In che senso la nostra cultura può essere definita “dello stupro”? Significa che il corpo femminile ha spazio nella società in quanto al servizio di quello maschile, non è rilevante il consenso poiché i desideri della donna vengono taciuti. Ci interessa qui spiegare in cosa consiste nella pratica tale cultura, per contribuire a superare i giudizi e le osservazioni di senso comune.

1) La logica azione/conseguenza produce ragionamenti come: “non avrebbe dovuto mandare quella foto”, “non sarebbe dovuta uscire con quel vestito, troppo corto/scollato/attillato”. Tuttavia, così come gli stupri avvengono a prescindere dal vestito che si indossa, anche le foto e i video non sono sempre materiali inviati in prima persona dal soggetto ritratto (possono essere stati sottratti illecitamente ad esempio). La diffusione di materiale intimo di un soggetto è stata definita uno stupro collettivo, perché chiunque ha il potere di guardare e condividere, mentre la persona ritratta non ha questo potere.

2) Le immagini che il soggetto invia sono spesso e volentieri condivise con una persona con la quale ha una relazione intima. Il mancato rispetto della privacy può, in presenza di determinati requisiti, costruire un reato ai sensi del nostro ordinamento.

3) L’intelligenza artificiale è ormai talmente sviluppata che risulta difficile riuscire a comprendere se l’immagine rappresenti una persona vera oppure no. In questo senso, esistono fenomeni complessi come il Deep fake porn: le immagini pornografiche sono complessi artefatti digitali, costruiti combinando fotografie di attori con visi di personaggi famosi o di persone comuni.

4) Con la pandemia Covid-19 il fenomeno della DNCII ha avuto, nel Regno Unito, un incremento pari al 22% (secondo i dati dell’associazione inglese Revenge Porn Helpline*) e le donne sono il 90% delle persone colpite (secondo i dati del Cyber Civil Rights*). Nel nostro paese 1 donna su 3 vive violenza di genere online* e dopo la pandemia i numeri continuano ad aumentare. Numeri così elevati non possono che farci riflettere. Le donne che esprimono la loro sessualità anche online vengono spesso colpevolizzate, senza considerare che questa pratica è comune anche per gli uomini. La violenza non è intrinsecamente legata ad un contesto, ma veicolata dalla cultura patriarcale, che influenza sia le interazioni online che offline.

Il problema è radicato: la violenza di genere è all’ordine del giorno e il web rappresenta un nuovo spazio potenziale dove esercitarla.

Anche a causa del rapidissimo sviluppo del web, che si inserisce nella nostra società patriarcale, è probabile che la DNCII non sia apparsa per quel che effettivamente è, ovvero una violenza. Il veloce sviluppo mediatico, insieme alla quasi totale assenza della cultura del consenso della nostra società, non ha probabilmente lasciato il tempo alle persone e alle istituzioni legali di orientarsi, comprendere cosa sta accadendo e di conseguenza agire per contrastare questo fenomeno. Inoltre, viviamo in una società che giustifica spesso la condivisione di materiale intimo sostenendo che viene attuata senza alcuna consapevolezza del danno che si sta arrecando alla persona ritratta. Vedendo l’immagine o il video ci sembra di essere distanti, si spersonalizza il soggetto ritratto e la condivisione è talmente tanto veloce da non permettere, a chi non ha mai ragionato sulla violenza e messo in discussione la società in cui vive, di riflettere sulle proprie azioni. Ed è per questo che lottiamo ogni giorno per diffondere strumenti di consapevolezza sulla violenza di genere e sull’educazione al rispetto e al consenso.

Il fatto che anche la legislazione su quest’ambito sia ancora molto indietro fa sì che molte donne preferiscano il silenzio al fine di evitare un possibile “processo” in cui si tenta di incolparla per le sue azioni. Molto spesso infatti sentiamo frasi come “se l’è cercata”, “non doveva mandare nessuna foto” e così via. Anche se la DNCII è riconosciuta come reato all’interno del nostro ordinamento giuridico, ci sono una serie di elementi critici che sono stati rilevati rispetto alla formulazione del reato e la sua collocazione all’interno del nostro ordinamento giuridico (collocata fra i delitti contro la libertà morale anziché contro la libertà sessuale).

Sapere che, potenzialmente, la propria immagine è ad uso e consumo di ogni individuo può porre la persona in una situazione di disagio e continua insicurezza quando si relaziona con persone offline: ed è più che mai necessario ribadire che la colpa non è di chi manda materiale intimo, ma di chi lo diffonde! Oltre a ciò essa può correre tantissimi rischi in una società che non tutela le donne e le soggettività oppresse: a partire dalla perdita del lavoro e della credibilità sociale e/o professionale (per citare i più immediati). Accanto a questi fenomeni di emarginazione e colpevolizzazione, online la situazione peggiora: essendo raggiungibili da chiunque e in qualsiasi momento, la persona ritratta viene spesso individuata e sommersa di insulti — le cosiddette shitstorm, ovvero ondate di messaggi denigratori — con seri risvolti anche sulla vita offline della persona.

Spesso, questo può portare alla conseguente eliminazione dei propri account social o addirittura la modifica di tutti i propri contatti per evitare di vivere ulteriori violenze. Su telegram ad esempio, esistono gruppi nei quali, oltre a scambiarsi contenuti di donne e ragazze, vengono condivisi numeri di telefono e contatti privati (questo fenomeno è chiamato doxing). La donna è così incentivata ad isolarsi per proteggersi ma ciò, ovviamente, non fa che peggiorare la situazione psicosociale, invece di risolverla.

Tutto ciò che è stato appena descritto fa parte del fenomeno dello slut shaming tipico della società patriarcale in cui viviamo, che propone la cultura dello stupro come la norma.

Slut shaming significa criticare e colpevolizzare le donne (e appellarle con il termine “puttana” e vari) per le loro scelte sulla sfera sessuale, come ad esempio: avere relazioni sessuali, ma anche non averne con determinate persone, usare contraccettivi o qualsiasi altra decisione che viene presa in prima persona sul proprio corpo. Accusando le donne di atteggiarsi da “slut”, da puttane, si normalizzano le pratiche di violenza e discriminazione.

La questione dovrebbe essere ben chiara: le scelte sulla vita sessuale non sono una questione di colpa. Questo è un grandissimo problema di genere, dato che la donna e tutte le soggettività oppresse vengono accusate e giudicate in quanto tali, e per comprenderlo ancora meglio si può fare un parallelismo con la diffusione online di specifiche immagini associate al genere maschile: le dick pic.

Le dick pic sono foto dei genitali maschili. Non solo la loro diffusione non comporta rischi particolari per il soggetto che le scatta, ma esse sono funzionali a svariate forme di molestia da parte di chi le invia. Molte donne ricevono dick pic non richieste con annessi messaggi poco graditi.

Ma perché l’immagine di un membro maschile è inviata consapevolmente e accettata goliardicamente, nel percepito sociale/istituzionale, mentre quella di genitali femminili (o a volte nemmeno quelli, basta un seminudo) diventano una prova della poca credibilità della donna ritratta? La DNCII è dunque un emblema della discriminazione sistematica che caratterizza le dinamiche di genere online.

Ovviamente non solo le donne subiscono la DNCII, lo slut shaming e le shitstorm: ne sono colpiti anche alcuni uomini, e in generale la comunità LGBTIQ+, poiché non rispettano il proprio ruolo di genere.

Anche qui si parla di violenza di genere perché l’uomo “poco virile” viene accusato in quanto “troppo femminile” e non per l’atto in sé, o donne “troppo mascoline” che si mostrano meno di quanto dovrebbero secondo gli standard patriarcali. È evidente che il problema non è ciò che si fa, ma il ruolo che si riveste nella società. Ruolo che, ancora oggi, è associato al sesso e corrispettivo (sempre secondo la cultura alla quale apparteniamo) genere.

Ognunə di noi è immersə in questa cultura violenta e bisogna contrastarla!

Cosa possiamo fare?

Innanzitutto ricordare che anche questa è violenza e non sottovalutarla e condividere il più possibile questa consapevolezza; poi anche studiare e leggere tutto quello che si vuole sui transfemminismi per poter inquadrare e agire meglio in questa società; e certamente anche essere all’erta, riflettere sempre prima di condividere o commentare sui social, far riflettere chi invece sembra non capire. Chiedersi e chiedere se il contenuto che sto osservando ha il consenso della persona ritratta e, se così non fosse, segnalarlo a chi raccoglie queste violenze. Ricordiamoci che dietro lo schermo c’è una persona, e non solo un’immagine. Questa società è patriarcale, è innegabile: agiamo quotidianamente per abbatterla.

Puoi inoltre compilare e diffondere il questionario sulla #DiffusioneNonConsensualediImmaginiIntime e aiutarci così a costruire la guida che stiamo preparando: https://docs.google.com/forms/d/e/1FAIpQLSehtoFPWWJg_vsXbqmw_RH38g557hhPgC9930ht-BMIn4WjUQ/viewform

*N.B. Questo testo è stato scritto anche utilizzando come fonte bibliografica e statistica “Donne tutte puttane. Revenge porn e maschilità egemone” di Lucia Bainotti e Silvia Semezin, Durango Edizioni, 2021.

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Progetto collaborativo che utilizza strumenti digitali per il contrasto alla violenza di genere. http://chaynitalia.org e https://strumenticontrolaviolenza.org/