Ancora un libro sullo svezzamento?

Sì, ma questa volta qualche cosa di molto utile

salvo fedele
Chi più sa… meno crede
8 min readNov 4, 2016

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Maurizio Iaia
L’alimentazione complementare responsiva
Una guida allo svezzamento per educatori e operatori sanitari dell’infanzia

Il Pensiero Scientifico Editore, 2016
Pagine 140 — Euro 22

Si sentiva davvero il bisogno di un nuovo libro sullo svezzamento per operatori sanitari ed educatori? (tradotto: per pediatri e famiglie curiose e colte?). Debbo confessare che se non mi fosse capitato proprio sotto gli occhi (su segnalazione di un amico) probabilmente mai e poi mai avrei cominciato a leggere “ancora” di questo tema.

I libri sullo svezzamento normalmente sono davvero noiosi (quando va bene), frutto del pensiero unico dell’autore che generalmente non ha dubbio alcuno su quale sia la “ricetta migliore” per il bambino e il… lettore.

Questo di Maurizio Iaia è un libro invece scritto in modo non tradizionale e si occupa di guidare piuttosto che arruolare il lettore a una nuova fede sullo “svezzamento migliore”.

Il primo capitolo è dedicato a “Quando svezzare”

L’editore nella sua newsletter del 21/9/2016 ne ha reso disponibile il pdf completo. In questo capitolo Iaia non comunica certezze (a parte qualcuna di cui non si può ragionevolmente fare a meno) ma presenta e offre all’appetito del lettore il panorama “completo” delle posizioni presenti sul “mercato” delle linee guida, anche di quelle molto allineate con l’industria del baby food (l’autore non le chiama esattamente così, ma non farete fatica ad individuarle: se qualcuno dice che si può svezzare anche a quattro mesi che genere di alimenti pensate abbia in mente?)

E anche quando l’autore è visibilmente contrariato di qualche raccomandazione… la ragionevolezza del pediatra che ha vissuto il proprio lavoro prende il sopravvento:
“Non colpevolizzate i genitori che per esigenze personali intendano svezzare a quattro mesi compiuti o poco più e, dopo aver tentato di sensibilizzarli a uno svezzamento sintonizzato con il grado di prontezza neuromotoria del bambino, dare comunque un supporto adeguato” (pag 13).

In realtà al di là della massima disponibilità suggerita come dimenticare che la bonaria complicità del pediatra in questi casi predispone a una lunga dipendenza dai baby food?
Per quanti bambini? “Il 37% dei bambini alimentati con formula e il 17% dei bambini allattati al seno: questo il numero di bambini che già a 4 mesi sta assumendo alimenti solidi secondo i dati dello studio CHOP condotto in Italia, Belgio, Germania, Polonia e Spagna” (citato a pagina 5 del libro).
Forse su questo punto una posizione un po’ più intransigente non dovrebbe nuocere. Il capitolo è però scritto per essere letto da tutti ed è in questa scrittura che sta il segreto della sua forza: alla fine chi convince di più, chi appare intransigente o chi è davvero intransigente senza volerlo mostrare?
Vi assicuro che non è questione di <forma>, ma di <sostanza> della comunicazione professionale.

Il secondo capitolo è dedicato a “Come svezzare”

Senz’altro il capitolo più innovativo nella presentazione e nella guida che fornisce. La contiguità di Iaia con la scuola di neuropsichiatria di Cesena (e dell’amico Francesco Ciotti) è molto evidente in tutta la struttura del capitolo. Iaia parla di alimentazione ma in realtà ha in mente molti modelli di relazione bambino-famiglia.
Al lettore chiede di saper interpretare e correggere alcune delle disfunzioni più grossolane prima di intervenire con i suggerimenti “dietetici” contenuti nelle varie tabelle (non a caso la più appetitosa per mamme e pediatri è relegata nel capitolo 1 e non in questo capitolo).
La descrizione di questi modelli è piacevole e la comunicazione che l’autore riesce a realizzare denota una conoscenza dell’argomento molto al di sopra della media della cultura pediatrica contemporanea.
Per la prima volta (a mia memoria) un capitolo dedicato a come svezzare in Italia parla della necessità di avere consapevolezza del “principio di divisione di responsabilità” secondo Satter: “Parent provides… child decides” (pag. 21) e illustra in modo molto convincente gli effetti sull’alimentazione del bambino dello “sconfinamento della linea di divisione di responsabilità”: <stile negligente, stile indulgente, uso emozionale del cibo per calmare il bambino, uso del cibo come premio… (etc. etc.)>

Altrettanto interessante e “colto” al punto giusto il paragrafo del capitolo dedicato ai tre tipi di apprendimento che influenzano lo sviluppo del gusto (pagine 27 e seguenti) dove la stoccata ai baby food è velenosa ma espressa con dolcezza: “Se si abitua un bambino fin dalla più tenera età a sapori e consistenza artificiali e monotoni, tipici degli alimenti industriali per l’infanzia (…) sarà poi difficile il passaggio ai comuni alimenti domestici.”
La scrittura sobria fa perdonare con facilità qualche forzatura didattica che non ha molta documentazione alle spalle (per esempio il concetto di «finestra critica per il modellamento del gusto») a fronte della felice disamina di concetti essenziali e poco conosciuti (neofobia, riflesso di espulsione e sue modifiche nel tempo).
Ottima inoltre e ben selezionata la bibliografia consigliata a margine delle principali affermazioni critiche.

Dalla analisi della relazioni genitore/bambino al suggerimento di considerare il cosiddetto auto-svezzamento secondo Piermarini (la variante soft e italiana del baby led weaning proposto dal pediatra gallese Rapley) la modalità ideale di svezzare… il passaggio è quasi spontaneo, ma ancora una volta la scrittura non è mai direttiva, semmai contestualizzata agli esempi realizzati nella realtà cesenate dove l’ottimo lavoro di squadra ha permesso la realizzazione pratica di una comunità di intenti (concetto molto caro al pediatra dei pediatri di quell’area geografica: Giancarlo Biasini) attraverso la realizzazione di una sperimentazione su cui l’autore giustamente si dilunga (pag 36 e seguenti): “Nella AUSL di Cesena (…) i pediatri di libera scelta hanno iniziato a promuovere con un consenso crescente una modalità di svezzamento più rispettosa dei principi dell’alimentazione complementare a richiesta. (…) Ad integrazione di tale intervento in tutti i nidi d’infanzia del territorio cesenate è stato avviato (…) un progetto di sostegno alla genitorialità (…) I menù contengono esclusivamente alimenti di uso comune (sono esclusi i baby food) (…) gli alimenti impiegati sono da agricoltura biologica»

A ben vedere in queste parole e nella progressione del capitolo più che una ricetta unica per lo svezzamento (obbligo indistinto per tutti i bambini italiani indipendentemente da situazioni sociali e da tradizioni locali) l’autore propone un percorso in cui le conoscenze (con differenti gradi di evidenza) abbracciano le scelte economiche della comunità locale (la coltura biologica piuttosto che la grande distribuzione) con il sostegno di tutta la pediatria locale e non semplicemente (ancora una volta) la “scienza dello svezzamento” che s’inchina alle leggi inflessibili della potenza economica di riferimento. Per una volta non una ricetta per lo svezzamento ma una proposta culturale integrata finalizzata alla salute del bambino.

La sperimentazione come già successo per tutte le altre forme di svezzamento proposte negli anni dalla pediatria ufficiale fornirà ancora una volta risposte deboli ai quesiti di sempre?
- Il rischio potenziale di deficit calorico?
- Il rischio di deficit nutritivi selettivi?
- La sicurezza degli alimenti biologici è realmente superiore a quella degli altri alimenti?

Il percorso proposto giustifica (almeno in parte) la disattenzione nei confronti delle risposte (sebbene parziali) della comunità vegana alle criticità note di questa alimentazione per il bambino, al pari di quella mostrata per le differenti tradizioni italiane di svezzamento mediato dal cucchiaino e non necessariamente così indifferenti allo sviluppo neuro motorio e dell’interazione sociale dei piccoli.

Tradizioni queste ultime straordinariamente consolidate perché nate da culture complesse e che hanno già sperimentato nei secoli nelle differenti tradizioni locali la bontà delle scelte fatte (non nate a tavolino dall’estro creativo di un pediatra che vive in una cultura che non sa mangiare nulla di buono o da convinzioni forti, ma ancora deboli sul piano delle conoscenze di cui realmente disponiamo)

È vero che al di là del <come>… l’interesse di tutti e anche <che cosa> offrire da mangiare a un bambino di oggi. Ma il <come> si costruisce una cultura alimentare non è una questione indifferente. Il modello cesenate è una cosa, una cosa molto diversa è però immaginare di trasferire una qualsiasi <ricetta> in realtà sociali molto diverse e meno protette.

E procedendo con la lettura nei capitoli successivi?

Ancora una volta il libro di Iaia è un’introduzione essenziale per il pediatra di oggi, ma da solo non basta. Sempre di più in realtà come la mia si vedono curve di crescita come quella discussa recentemente in uno dei nostri incontri (e alla cui lettura rimando con un link riservato ai medici che me ne faranno richiesta) che non sono frutto di patologie complesse ma effetto del perverso connubio tra <modelli di relazione genitore-bambino disfunzionali> e <fede nelle nuove mode alimentari>
(si badi bene… diverse e differenti fedi: dal veganismo fino alla nuova fede professata dagli integralisti dell’auto-svezzamento) e la sfida che i pediatri debbono accettare in questi casi è doppia: culturale e scientifica.

Troppo poco si conosce del modello cesenate ma troppo poco si sa anche della necessità di un attento monitoraggio nella ri-alimentazione di questo genere di bambini che non hanno il tradizionale Marasma o il Kwashiorkor, ma “forme evolute di denutrizione cronica” (denutrizione cronica borderline?) tutte ancora da “definire” dal punto di vista scientifico.

Le attuali ristrettezze economiche non aiuteranno, come non aiuterà la tradizionale debolezza della ricerca in questioni come queste (che interessano tutti tranne che chi distribuisce i fondi) e con molta probabilità molti danni permanenti (proprio sul versante neuro-evolutivo) dovranno subire i bambini italiani prima che i pediatri sappiano davvero rispondere a problemi come questi.

Ancora una volta però il libro di Iaia è un’ottima introduzione.
I capitoli 3 e 4 rappresentano una review molto efficace delle conoscenze attuali su cosa e quanto mangiare oltre che sulla composizione biochimica dei nutrienti o l’evoluzione storica dei LARN (Livelli di Assunzione di Riferimento dei Nutrienti).
Quel che manca (e occorre colmare al più presto) è una conoscenza condivisa sui biomarker indispensabili da conoscere proprio per affrontare le moderne sfide scientifiche che la società e le moderne aberrazioni culturali ci restituiscono. C’è infatti una conoscenza scientifica molto forte (anche se poco condivisa) su come si monitorizza ad esempio un caso di Anoressia nervosa o di Bulimia ma continua a mancare una conoscenza minima del monitoraggio bioumorale indispensabile da attuare in casi come quello descritto di “denutrizione cronica borderline”.
Purtroppo non così rari da incontrare.

Questo però è un altro discorso (e spero di affrontarlo in futuro) e altre interessanti letture potrebbero aiutare.

Obesità e svezzamento

Taccio volutamente del capitolo finale dedicato ai rapporti tra obesità e svezzamento perché il discorso si farebbe troppo lungo e difficile da affrontare in poche battute.

Conclusioni

Solo una raccomandazione forte a tutti i miei amici pediatri (giovani e attempati). Il libro di Maurizio Iaia merita davvero di essere digerito dal vostro… cervello. Ho inoltre condiviso il libro con molte famiglie interessate all’alimentazione del bambino. Il risultato? Un’esperienza davvero positiva con interazioni molto stimolanti e utili.

Maurizio Iaia
L’alimentazione complementare responsiva
Una guida allo svezzamento per educatori e operatori sanitari dell’infanzia

Il Pensiero Scientifico Editore, 2016
Pagine 140 — Euro 22

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salvo fedele
Chi più sa… meno crede

pediatra a Palermo; mi piace scrivere, ma cerco di non abusare di questo vizio per evitare di togliere tempo al… leggere (╯°□°)