Non ci resta che scrivere

salvo fedele
Chi più sa… meno crede
7 min readJul 5, 2015

Una mattina, una “bella” coincidenza:
“apprendere dagli errori”

Una mattina mi capita sotto gli occhi un vecchio post (4 luglio 2009) che ho scritto ad uso interno:

Gli stereotipi positiviNel nostro lavoro persino gli stereotipi positivi possono portare all’errore.
Vi ricordate la mia mancata diagnosi di (...)?
La mamma attenta
L’ascolto
L’errore
La stereotipo che aveva condotto la mia visita in quella occasione era appunto la “mamma attenta”. “Una mamma attenta non può...”
e invece anche una mamma attenta è umana: può negare la malattia che ha dinnanzi.
Può negare il sintomo...
anche la mamma attenta fa parte dell’umanità...
Ricordate la storiella del signor K?
Lavoriamo insieme ai nostri prossimi errori.
E’ difficile leggere la realtà senza la comoda interpretazione offerta dagli stereotipi. Il problema è che le relazioni umane sono realizzate con entità reali e non con comodi stereotipi.

Subito dopo arriva la pubblicità del Pensiero Scientifico.
Apprendere dagli errori”
Un tema tradizionalmente ignorato dall’editoria medica, per ovvie ragioni di “opportunità”.

Purtroppo quasi tutti i casi che leggo nell’anteprima resa disponibile dall’editore sono “errori da rianimazione”. Gli errori non si fanno solo lì ma i partecipanti al gruppo che ha dato “vita” al libro è per lo più di quella provenienza.

E se trovano il tempo di farlo loro… (avete idea della vita di un rianimatore?) come è possibile che niente di simile venga fuori dal panorama della pediatra di base o della medicina generale?

Evidentemente qualcuno finalmente è stufo di parlare di errori solo in certi “contesti”… e forse bisogna avere il fuoco al ** (omissis) per cominciare!

Bisogna leggere almeno uno di questi casi per capire le potenzialità del metodo utilizzato

In tanti anni di carriera mi sono trovato di fronte a una quantità di casi e incidenti. Alcuni gravi e con esiti significativi, altri, per fortuna, senza danni per i pazienti o con effetti trascurabili. Prima di raccontarne uno che ricordo in modo particolare, voglio però citarne brevissimamente un altro, curioso e per fortuna senza danni, anzi. Avevamo ricoverato un ragazzo di 25 anni con una serie di complicanze chirurgiche; era da noi in Rianimazione da mesi. Ormai lo avevamo quasi adottato, era diventato come una nostra mascotte. Era pieno di tubi e drenaggi dappertutto e ne aveva anche uno nel Douglas dove era saltata un’anastomosi che non ti dico, da chiedersi come ne sia venuto fuori. Una mattina, uno dei nostri inservienti, nel caos della rianimazione con 16 malati, dà la colazione a tutti e anche a lui, che era a digiuno: caffellatte con i biscotti! Ricordo un momento di autentico panico; se avesse avuto conseguenze gravi, ne sarebbe venuto fuori un putiferio. Era un malato di una casa di cura privata; tutte le mattine veniva un medico della clinica a vedere come andava perché aveva avuto una complicanza in sala operatoria per una banale colecisti. Per curiosa coincidenza, non so bene per quale motivo, magari per un altro errore, al paziente viene tolto, più o meno contemporaneamente, il drenaggio nel Douglas. Sta di fatto che questo ragazzo, che aveva sempre avuto una febbre di tipo settico con delle puntate oltre 40 °C, il giorno dopo sfebbra completamente: è guarito con il caffellatte e i biscotti? Difficile capire la dinamica (positiva!) degli eventi che hanno determinato il miglioramento e la guarigione; tolti anche tutti gli altri drenaggi (anche per paura di altri errori) la spiegazione più probabile è che una strana combinazione tra l’errore di alimentazione e l’eliminazione dei drenaggi che mantenevano l’infezione sia stata determinante. Poco tempo dopo lo abbiamo mandato a casa. Più avanti, spesso, lo vedevamo in piazza con una scarpa e una ciabatta per una piaga da decubito sul calcagno. Quella impiegò più di un anno a guarire. (pag 263)

(…)

E adesso è il momento del metodo.
Ecco la descrizione degli autori, scritta piccola piccola come nelle note delle assicurazioni a pagina 18 dell’introduzione. Come conoscono bene i medici… questi colleghi: nessuno leggerà queste parole, tanto vale non occupare spazio inutile:

Facciamo un esempio. Ci troviamo tra colleghi che hanno vissuto in prima persona storie di eventi avversi. Il primo racconta la propria esperienza (conoscenza tacita di un evento), socializzando, così che anche altri acquisiscono quella conoscenza tacita.

Poi un altro e un altro ancora socializzano le proprie esperienze finché ne scoprono similitudini e differenze e, condividendole, arrivano insieme a definire con chiarezza la natura e i contorni del problema e degli eventi (“… vedete, sono tutti casi di violazione”, “… ma vedi come adesso è chiara l’esistenza di un fattore latente nella comunicazione”, e così via): è il processo di esteriorizzazione in cui la conoscenza diventa esplicita.

Ma adesso è quasi naturale che dalle storie reali, raccontate e condivise, nasca una nuova storia di un evento mai accaduto a nessuno dei presenti. Gli elementi delle storie si fondono, si integrano, si aggiungono in un vero e proprio copione, e il processo di combinazione porta a creare nuova conoscenza.

Ciò che è più significativo sta nel fatto che, trattandosi di una storia costruita su dinamiche note e con elementi introdotti da chi l’ha ricombinata, spesso appaiono chiare anche le azioni di miglioramento che, opportunamente introdotte, limitano le criticità, i malfunzionamenti, i fattori latenti e di sistema e gli errori umani alla base dell’evento.

E quasi sempre queste azioni risultano applicabili con successo anche in tipologie di eventi avversi identiche a quelle narrate; se queste nuove conoscenze vengono interiorizzate e applicate possono portare a soluzioni di successo a problemi prima non risolti. Provate a riflettere su quante volte, magari inconsapevolmente, vi è capitato tutto ciò

è lo stesso metodo che utilizziamo nelle nostre riunioni #NOECM.

L’unica differenza è che non ne limitiamo l’utilizzo solo agli eventi avversi e agli errori. Indubbiamente però nel contesto di eventi avversi ed errori il metodo è straordinariamente coinvolgente e didattico: provare per credere.

Un libro raro? Un libro che meriterebbe uno straordinario successo editoriale e poi un contagio di idee e di iniziative tali da sotterrare per sempre l’ECM che conosciamo? Non so. Mi appresto a divorarlo, in nome di un movimento di idee che non c’è e che non ci sarà per molti anni ancora.

C’è un elemento però che mi fa avvicinare al libro con un po’ di diffidenza e preoccupazione. Ed è questa la ragione per cui voglio scriverne prima di completarne la lettura e lasciare al lettore la soluzione dell’enigma.

Il racconto di un caso può trasformarsi in “caso indimenticabile” o in strumento di crescita collettiva, renderlo non tracciabile e mantenere forti elementi di verità non è un’operazione semplice.

Il lettore di questo libro dovrà schierarsi e capire in che modo tra queste due possibilità (che stanno agli antipodi) sono scritti i testi narrativi che presentano i casi e gli errori.

Gli stereotipi negativiLa tortura più grossa cui vi ho costretto?
Scrivere, scrivere e ancora scrivere.
Chi mi conosce dice che non ho una sola tossicodipendenza (omissis)
ma due: (omissis) e scrivere.
Sono molto inquieto, per calmare la mia inquietudine non serve però la (omissis), quello che mi è davvero indispensabile è esprimermi.Se esprimo (un sentimento come un caso) con la comunicazione orale la mia inquietudine non si placa, ho bisogno di scrivere. In genere non sono mai soddisfatto di quello che scrivo e allora lo riscrivo, lo taglio, lo rielaboro e il processo non finisce mai. Accetto il punto finale come frammento. Spesso consegno quel frammento a un taccuino segreto. Ma ho scritto… e posso riposare in pace. Ho scritto il mio frammento e anche se poco “soddisfatto” del risultato... ho (almeno parzialmente) placato un po’ della mia inquietudine.Solo un po’ perché le storie non hanno mai un vero inizio e mai una vera fine e un frammento di scrittura è per me solo un frammento di verità. Perché non riesco a placarmi con la comunicazione orale? Un frammento di comunicazione orale più che un frammento di verità mi sembra (sempre più spesso) solo un frammento di bugia.
E poi gli umani non sono abituati a comunicare. Solo a scambiare parole.
E allora scrivo, scrivo perché non so esprimere la mia verità in altro modo.
Mi piacerebbe essere un artista e invece sono soltanto uno scribacchino di frammenti. Scrivo la mia verità che non è la verità, ma solo le mie bugie imbellettate per beneForse la scrittura mi serve per espormi “al meglio” con le mie bugie. La scrittura mi permette di fantasticare in un mondo irreale, mi permette di interpretare la realtà fissandola in una apparenza realistica e veritiera.Mi piacerebbe essere un artista per consegnare agli altri una verità più vera.
Mi piacerebbe essere io quel fotografo capace di catturare lo sguardo del vescovo di (omissis) accanto al primo ministro. Un fotografo capace di catturare quel sorriso, quell’inchino, il dolore vero delle persone che sfilano dietro quei due...
La strafottenza ipocrita di (omissis). I suoi pensieri tutti rivolti ai festini mancati per colpa di quella tragedia. Il tempo perso alla ricerca di corpi che non ci sono più... Io sono capace soltanto di descrivere il foreground e il background in un contesto realistico.Quella foto ha però di più delle parole: il vissuto di quei due poveretti!
Come disegnare con le parole anche la miseria intellettuale della misera vita del vescovo e del primo ministro che quella foto sa esprimere?
Sono capace soltanto di leggere quella fotografia con la mia verità, di sentirla così vera e reale da doverla esprimere in qualche modo e consegnarla a un frammento di prosa “comunista”.Sono capace soltanto di leggere quella foto associandola ai miei ricordi: le visite del primario, il codazzo di assistenti, il successore designato nelle vesti di arcivescovo. L’andatura laterale del successore designato con lo sguardo sempre rivolto verso il potere divino dell’uomo... da cui tutto dipende nel mondo di oggi. Dipendeva.

Buona lettura e se ne avete voglia scrivetemi delle sensazioni che il libro vi ha dato. #noncirestachescrivere

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salvo fedele
Chi più sa… meno crede

pediatra a Palermo; mi piace scrivere, ma cerco di non abusare di questo vizio per evitare di togliere tempo al… leggere (╯°□°)