Tempo di regali, regali di tempo

Dal dono dei pazienti al dono ai pazienti. Dal dono del proprio tempo alla pena. Il dono si è ribaltato, ma le gerarchie non si toccano e una commissione di disciplina ospedaliera in Sicilia ha decretato che non è più tempo di trasgressioni. Vi spiego perché l’autorità anti-corruzione dovrebbe interessarsene.

salvo fedele
Chi più sa… meno crede
9 min readDec 14, 2016

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Pubblicato su Va’ pensiero n°732, 14 Dicembre 2016

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https://pensiero.it/in-primo-piano/commenti/tempo-di-regali

Luca De Fiore ci ha regalato una delle sue belle riflessioni (1) Questa volta sul dono e in particolare sul regalo dei pazienti ai medici ospedalieri e le nuove norme che regolano il dono “per evitare il rischio di corruzione”.

Io vorrei parlare invece del dono dei medici ai pazienti. Mi soffermerò brevemente anche su un altro tipo di dono quello dei medici ai loro colleghi di rango superiore.

La professione del medico è cambiata, è normata da regole sempre più precise. C’è il tempo per la scrittura della documentazione in cartella, c’è il tempo per la consultazione delle linee guida, c’è il tempo per la de-materializzazione delle prescrizioni, c’è il tempo per tutto quello che è indispensabile, c’è anche il tempo per fare corsi ECM sul “buon rapporto” con i pazienti. In una parola e per farla breve c’è tutto il tempo per fare il proprio dovere.

Il tempo dedicato al paziente, quello in cui studi il singolo caso, quello in cui discuti del caso con gli altri colleghi, quello che dedichi al paziente per ascoltare la sua storia e esprimere le tue perplessità, le criticità di gestione, quello in cui affini la tua capacità di empatia e di comunicazione è ormai invece un in più che non è normato ed è diventato appunto un dono. Un dono che ciascun medico è libero di fare in base alle sue personali preferenze oltre che alla sua personale cultura (2).

Non è cambiato, come si dice, il rapporto medico paziente, è cambiato semplicemente il contratto tra medici e pazienti. La natura di quel che è dovuto e la natura di quel che è donato.
Tutta la buona letteratura medica parla con preoccupazione di questo cambiamento, ma chi governa i sistemi sanitari sembra non accorgersene e si occupa di altro, di normare il nuovo dovuto disinteressandosi del tutto del nuovo donato.

Dal dono dei pazienti al dono ai pazienti

Questo cambiamento epocale (dal dono dei pazienti al dono ai pazienti), sebbene sia successo sotto i nostri occhi e nel corso della nostra breve esistenza, ha radici lontane che meritano di essere analizzate.

Ho conosciuto una volta un primario che aveva una lista doni aperta tutto l’anno in una delle gioiellerie più importanti della mia città (mi correggo: la più importante). La lista a quanto pare era molto ricca e partiva dal corrispettivo odierno di alcune centinaia di euro. Per passare dallo studio privato alla corsia dell’ospedale era necessario transitare prima anche da quella gioielleria. Oggi, forse anche grazie alla nuova sensibilità, la visita privata può essere utile, ma non è più indispensabile come un tempo. È cambiato il mondo.

Se è cambiato il mondo oltre che la natura del contratto medico/paziente perché dovremmo preoccuparci di tutelare oltre che il dono dei pazienti anche i medici e i loro doni ai pazienti? E senza dimenticare i doni che i medici fanno a chi è più in su nella scala gerarchica.

Ho sognato proprio questa notte che esiste ancora oggi un primario a Palermo con una lista aperta tutto l’anno cui gli specializzandi attingono almeno due volte: quando entrano nella “sua specialità” e quando escono dalla “sua specialità”. Questo sogno in fondo è verosimile perché non c’è ancora una legge che regola il dono dello specializzando al direttore di specialità. Non solo. La moderna ricerca delle neuro-scienze ci dice qualche cosa di più e cioè che il sonno e i sogni sono legati alla nostra curva di apprendimento (3). E cosa abbiamo imparato negli ultimi anni se non che le gerarchie sono sempre più deboli culturalmente ma hanno bisogno di segnali forti e di marcatori significativi per affermare la loro supremazia?

E i medici in forza ai nostri ospedali? Al giorno d’oggi i medici che non sono più in formazione hanno un contratto che li mette al riparo dai ricatti dei dirigenti. I nostri medici ben strutturati con il “posto fisso” non debbono fare nessun dono ai loro dirigenti. Però… se un medico strutturato “fa dono” del suo tempo a un paziente in alcuni casi oggi rischia di finire in commissione di disciplina. Ne conosco due che proprio in questi giorni stanno scontando la loro “pena”. Una vicenda per nulla complessa ed emblematica del cambiamento che viviamo (4). La loro colpa? Hanno regalato del tempo al malato per discutere più approfonditamente con lui la cura possibile per la malattia diagnosticata.

In effetti quello che questa vicenda ci insegna è che i medici devono fare molta attenzione quando vogliono fare dono del loro tempo a un paziente. Perché non tutti i pazienti sono uguali e alcuni non amano il dono del nostro tempo o le nostre buone intenzioni.

Facciamo un esempio per rendere tutto più chiaro. Se un paziente benestante si avvale della consulenza di un medico di alto livello in un rapporto privato, riceve il suo dono e ha ben chiaro il suo percorso di cura. Un paziente di questo tipo non ha necessariamente una scolarizzazione più elevata, è solo un po’ più ricco della media, forse solo un po’ più furbo (anche se non sa che il QI e la cultura personale sono una cosa diversa) e ha spesso una convinzione profonda: ha pagato e ha già ricevuto il dono migliore.
Quel paziente sente di essere un paziente “di marca”. Solo noi che siamo del mestiere conosciamo bene la verità è cioè che non basta compensare qualcuno per impossessarsi anche della sua anima o per ricevere doni reali. Sappiamo anche che a volte un collega “di marca” non corrisponde necessariamente a un collega di qualità. Per di più sappiamo anche che il dono di un collega meno esperto o di grado subordinato in molte occasioni ci è stato di grande aiuto.
Noi, del mestiere, sappiamo distinguere il valore dei buoni doni e sappiamo apprezzarli. Inoltre se riconosciamo un paziente “di marca” lo lasciamo di buon grado al suo medico (la cosa è un po’ più complessa per chi come me fa il pediatra: i bambini figli delle famiglie di marca meritano le stesse attenzioni dei bambini di famiglie con etichette di second’ordine. Non fraintendetemi, ma la natura del nostro contratto con i piccoli pazienti non è scalfita dalla modernità: è antica e meravigliosa).

Ora se un medico non troppo in alto nella scala gerarchica, convinto che il suo mestiere includa la capacità di donare il suo tempo, incontra nella sua vita uno di questi pazienti può non riconoscerlo. Capita di sbagliare anche in questo. In effetti nella maggior parte dei casi non è difficile: questi pazienti hanno molti caratteri distintivi, sono inclini a vedere l’ingiustizia (più della media dei pazienti) le carenze del reparto (molto più della media dei pazienti), rivendicare il diritto a servizi che non sono in vita per effetto delle tasse che loro non hanno mai versate. Ma nonostante tutti questi segni distintivi a volte capita di non riconoscerli e a quel punto il medico che si vuole donare rischia la crisi istituzionale. Magari un procedimento in una delle famose commissioni di disciplina.

Non solo, alla terza condanna il medico strutturato viene espulso (licenziato in tronco). E questo indipendentemente dal merito della condanna; è un tribunale senza appello quello delle commissioni. Mica con tutte le garanzie che hanno i medici che hanno torturato il povero signor Franco Mastrogiovanni (5).

Così, dopo tre condanne ad opera di una “commissione di disciplina ospedaliera” al posto del medico strutturato arriverà un giovane assunto con un contratto ben diverso e quello il suo tempo dovrà donarlo tutto al suo dirigente e ai percorsi, tutelati dalla legge sul dono, dei pazienti privati di quel dirigente. Perché? Perché altrimenti non sarà neppure necessario scomodare la commissione di disciplina. Verrà licenziato in tronco.
Sì non l’ho ancora detto, ma è importante: non c’è tutela sul “dono” del medico ai pazienti, ma non c’è tutela neppure nei “nuovi contratti” dei medici in formazione (quelli che aggirano il blocco delle assunzioni).

Dal dono del proprio tempo alla “pena”

Torniamo a quei due colleghi di cui vi ho parlato prima.
La commissione di disciplina dell’Ospedale li ha condannati per il “dono del loro tempo a un paziente”. Un paziente si è lagnato della confusione in cui è caduto dopo le certezze che aveva ricevuto dal dirigente del servizio.
(A proposito: come sta il paziente grazie a quelle certezze?)
La commissione li ha condannati per porre le basi di una norma che tuteli i pazienti dai nuovi criticabili costumi del dono dei medici?
Ha solo riaffermato la libertà del medico di donare a chi vuole e per le ragioni che ciascuno trova più “giuste”: il paziente più simpatico piuttosto che più ricco. Ad una condizione però, rispettando le gerarchie: se il paziente ha già ricevuto un dono dal dirigente, il medico subordinato non dovrà interferire sul dono fatto con un nuovo dono.
Di più la commissione ha “marcato” definitivamente quel territorio (ricordate il sogno degli specializzandi al direttore?) lanciando un segnale chiaro ai medici di quel reparto e a tutti i medici di quell’ospedale: “le gerarchie vengono prima dei diritti dei pazienti e dei doveri verso i vostri pazienti”.

Non ho alcuna autorità per chiedere a chi governa la sanità di fare attenzione a come si trasforma la nostra professione, o per chiedere a società scientifiche, associazioni di pazienti o singoli colleghi la ragione del loro silenzio in vicende come quella che ho raccontato, ma forse l’autorità anti-corruzione ha il dovere di guardare dentro queste decisioni.
Non è nata forse per vigilare sulla natura delle transazioni occulte?
Forse guardando bene dentro queste decisioni potrebbe guardare all’interno del sistema dei ricatti che porta a corruzione.
Forse potrebbe leggere con facilità che i colleghi sono stati condannati per la vigente disciplina (tutelata dalle “raccomandazioni” sul dono) che regola gli ingressi negli ospedali italiani attraverso gli studi privati dei dirigenti.
Forse per “marcare” definitivamente “le regole” vere di quel “territorio” attraverso l’uso reiterato <dell’invio alla commissione di disciplina> (uno di quei due medici ha subito una decina di giudizi per ottenere una “condanna”).
Forse guardando bene dentro queste decisioni potrebbe svelare la natura vera dei contratti libero professionali.
Forse potrebbe finalmente liberare il dono di quei medici e la loro pena esplorando un po’ più in profondità tutto questo.
Oppure potrebbe semplicemente concludere che la “società civile” è sempre più avanti di quel che si pensa in base a vecchie e logorate logiche e che la modernità è lineare: il dono si è ribaltato ma le gerarchie non si toccano. In fondo è solo Natale e non sappiamo più cosa sia davvero un dono.

E solo adesso mi accorgo che nella mia professione non sono più libero neppure di donare qualcosa.

Ringraziamenti

Sono riuscito a scrivere questo articolo solo grazie agli incoraggiamenti e ai preziosi suggerimenti di Luca De Fiore. A dimostrazione del fatto che qualcuno al mondo si sa ancora donare.

Link all’articolo su Va’ Pensiero

Bibliografia

(1) De Fiore L. Moduli o Stimanze. Ric&Pra 2016;32(6):267 Link
(accesso 11/12/2016)
(2) Lucia Fontanella. La comunicazione diseguale. Il Pensiero Scientifico Editore. Roma 2011. Link (accesso 11/12/2016)
(3) Wamsley E.J. Dreaming and Offline Memory Consolidation. Curr Neurol Neurosci Rep 2014;14:433. doi:10.1007/s11910–013–0433–5
(4) Fedele S. Il NEJM “letto” e “interpretato” nella mia città: il caso dei due neuro-chirurghi sospesi dal servizio da <architetto & co©>. Il blog disperso #NOECM: “Chi più sa meno crede…” 2016 Link (accesso 11/12/2016)
(5) Mastrandrea A. Morte di un povero cristo anarchico. Internazionale 2015, Nov 6. Link (accesso 11/12/2016)

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salvo fedele
Chi più sa… meno crede

pediatra a Palermo; mi piace scrivere, ma cerco di non abusare di questo vizio per evitare di togliere tempo al… leggere (╯°□°)