La Cina dell’ultra-irrealismo

In cinese si dice «chaohuan», significa alla lettera «superare l’irreale» o «superare l’immaginario».

Gabriele Battaglia
9 min readFeb 8, 2017

Uno scrittore pechinese lancia una corrente letteraria che cerca di raccontare la Cina contemporanea, dove la realtà supera la fantasia. L’ ultra-irrealismo non inventa niente, è la descrizione della quotidianità cinese.

Lui si chiama Ning Ken, è uno scrittore pechinese e ha lanciato una nuova corrente letteraria: il «chaohuan», che tradotto suona come «ultra-irrealismo» o «super-magico». Quel «chao» sta infatti per «super» e per intenderci un supermercato è «chaoshi», mentre Superman è «Chaoren».
In un articolo scritto lo scorso giugno, Ning spiega che «chaohuan» significa alla lettera «superare l’irreale» o «superare l’immaginario». Si tratta di una parola nuova che però secondo lui ha avuto una gestazione di addirittura cent’anni. Tale è infatti il periodo che ci è voluto affinché la realtà cinese si trasformasse in una vera e propria allucinazione, con particolare accelerazione nell’ultimo decennio.

La differenza con il realismo magico sudamericano sta dunque in un dato semplice quanto fondante: quello nasce dalla fantasia, mentre l’ultra-irrealismo non inventa niente, è la descrizione della quotidianità cinese.

Ne volete un esempio? Ning Ken ne fa diversi, tutti riguardanti la campagna anticorruzione in corso ormai da quando il presidente Xi Jinping è al comando (2012).

Dopo due storie di alti papaveri che hanno nascosto così tanto denaro in casa da rendere impossibile la conta agli agenti mandati ad arrestarli (storie che a noi consumati italiani ricordano quella dal vecchio dirigente del ministero della Salute — il «Re Mida» Duilio Poggiolini — ai tempi di Tangentopoli), Ning cita anche quella di «un funzionario governativo di basso rango. Un bel giorno decide di filarsela e fa finta di essere un contadino che sta andando al mercato con un camion carico di ortaggi. Quando gli ispettori tirano via il coperchio di tela dal cassone del camion, invece del cavolo, trovano milioni in contanti. Tutto questo denaro esce dal piattino delle offerte riempito da persone comuni che sono venute a venerare l’altare del potere. Il luccichio di tutto l’oro pagato in tangenti getta una luce sulla realtà molto particolare della Cina».

E poi c’è quel vice capo della sezione provinciale della corte suprema dello Hebei che muore in un incidente stradale. Bene, quattro donne si fanno avanti per reclamare il suo cadavere. Si scopre quindi che tutte e quattro erano legalmente sposate con il funzionario, che si era procurato quattro licenze di matrimonio diverse, tutte perfettamente legali. La faccenda era andata avanti per molti anni, senza che nessuna delle donne sapesse dell’esistenza delle altre. «Come era riuscito a mantenere il segreto sul fatto che avesse quattro mogli?», si chiede Ning. «Scrivo romanzi e vi dico, sinceramente, che non riesco a immaginare come si possa fare una cosa del genere. Quest’uomo era uno dei migliori funzionare giudiziari di una corte suprema provinciale, ma trattava la legge come un gioco».

Eccolo qui il nostro ultra-irrealismo, ecco la verità che supera la finzione.
Ma si può esagerare. Ed ecco la storia di Wang Lijun, l’ex braccio destro e responsabile della scurezza del leader del Partito comunista di Chongqing, Bo Xilai, uno degli uomini più potenti della Cina. Ebbene, a dare il via nel 2012 alla saga della «House of Bo», una torbida storia di omicidi e corruzione che portò infine sia Bo Xilai sia sua moglie Gu Kailai in carcere a scontare l’ergastolo, ci fu proprio la fuga di Wang da Chongqing per timore di essere fatto fuori da Bo.

Solo che la meta della sua fuga, il posto dove si sentiva più al sicuro in tutto il territorio cinese, fu il consolato statunitense di Chengdu. «Che cosa ci dice — commenta Ning Ken — il fatto che il direttore dell’ufficio di pubblica sicurezza in una delle municipalità più importanti della Cina decide che il posto più sicuro per lui è all’interno di un consolato straniero? E infatti, la sua decisione gli ha salvato la vita».

Posto dunque che è la stessa realtà cinese a essere ultra-irreale, a livello letterario le differenze concrete dal realismo magico si sintetizzano secondo Ning in tre punti.

Primo. La Cina ha cinquemila anni di storia — esempio unico sul Pianeta — tutti contraddistinti dalla presenza di un potere assoluto al centro del sistema. C’è un «occhio» del potere che è in realtà composto da molti occhi, pervasivi, presenti ovunque, che plasmano la società dall’interno.

Secondo. C’è un senso del tempo differente. Processi che in Occidente sono maturati nel corso di due-tre secoli (industrializzazione, urbanizzazione), in Cina sono avvenuti in un trentennio, determinando una vera e propria «fuga gravitazionale».

Terzo. L’avvento di Internet. «Molti dei fenomeni “ultra-irreali” cinesi — scrive Ning — vengono riportati su internet subito dopo che si verificano. La realtà non è che una bozza per cominciare. Quando poi internet ci mostra fenomeni “ultra-irreali” di cui altrimenti non si saprebbe, si finisce con una sorta di raddoppio “ultra-irreale”». Questo — continua lo scrittore — costituisce una grande sfida per la narrativa. «La fiction non può più semplicemente raccontare storie semplici su singoli temi in uno stile univoco; la realtà ci fornisce già tutte le ricche possibilità per sperimentare in ambito letterario. In qualche modo, più è fedele alla realtà e più la finzione ci apparirà d’avanguardia».

Discorso complicato, che apparirà forse più chiaro se si pensa alla vicenda assurda dei due treni veloci che si scontrarono a Wenzhou nel 2011, un disastro ferroviario che provocò 40 morti e almeno 192 feriti. Un primo livello di «ultra-irreale» si ha nella vicenda in sé: la Cina, identifica nell’alta velocità la tecnologia di punta della propria contemporaneità, la rivende ai quattro angoli del mondo forte dei 13mila chilometri di ferrovie veloci che sta costruendo a casa propria, e infine crolla rovinosamente di fronte a un sistema d’allarme che si guasta a causa di un fulmine, dato che la tecnologia era stata copiata male dall’originale giapponese.

Poi c’è un secondo livello di «ultra-irreale» quando i social media — cioè appunto internet — smascherano il tentativo grottesco, maldestro e piuttosto macabro delle autorità locali di seppellire sul posto alcune delle carrozze deragliate, con i cadaveri a bordo, per occultare la gravità dell’incidente.
Quale scrittore di fantascienza o fantapolitica avrebbe potuto immaginare una simile trama?

Scrivere nel mondo dell’ultra-irreale (cioè il compito delle scrittore), diventa a questo punto confrontarsi costantemente con la realtà. Bisogna però farlo — argomenta Ning — «all’interno del territorio della letteratura, il che significa che gli esseri umani devono rimanere la preoccupazione centrale». Bisogna inoltre rappresentare la complessità di questo mondo, senza prendere posizioni pre-costituite o troppo nette. «Nei nostri scritti dobbiamo concederci una certa libertà». Pertanto, la forma migliore è la favola o l’allegoria, dato che «la realtà stessa ha i connotati della favola». Infine, proprio per via della complessità del mondo che si rappresenta, «è necessario rischiare». Sia lo scrittore sia il lettore devono rischiare, aprirsi quindi a forme e contenuti nuovi.

A titolo d’esempio, Ning Keng porta il proprio romanzo San ge sanchongzou (2014), titolo che tradurremmo come «Tre Trio» (trae ispirazione dai Quattro Quartetti di Eliot) e che mentre scriviamo non ci risulta sia stato ancora tradotto, non solo in italiano ma neanche in altre lingue. Sono tre storie collegate tra loro.

La prima racconta di un uomo che fin dall’infanzia sogna di vivere in una biblioteca e che per ricreare la situazione ha riempito la propria casa di libri e di specchi che moltiplicano l’effetto scaffale. Non è disabile, ma ama circolare per la sua «biblioteca» su una sedia a rotelle. Divenuto volontario in un carcere, immagina cha anche questo sia specie di biblioteca. Ed è proprio nella prigione che si svolgono le altre due storie, di cui il bibliofilo del primo episodio è voce narrante. Si tratta di due condannati a morte.

Uno è stato amministratore delegato di una grande società statale, l’altro è l’ex segretario personale di un governatore di provincia. Entrambe le loro vicende sono intrecci complessi di situazioni del tutto plausibili nella Cina di oggi: la fuga con la grossa somma di denaro, l’esperienza dello shuang gui («doppio interrogatorio», una pratica extragiudiziale che viene applicata ai membri del Partito ritenuti corrotti), che avviene in uno dei nuovi «distretti artistici» ricavati da ex aree industriali, il pentimento e la condanna, una storia d’amore finita male, un ispettore anticorruzione malato terminale di cancro, tutto nel frullatore della contemporaneità cinese. Tutto verosimile.

Ma dato che il libro di Ning Ken non è accessibile ai più, sarà forse utile citare a esempio di «ultra-irreale» i romanzi di Yu Hua — tradotti in italiano — dove si passa dal comico, al grottesco, al tragico nel giro di una pagina ripercorrendo la recente storia cinese.

Si pensi a titoli come Vivere o Brotherscon il suo seguito, Arricchirsi è glorioso. Oppure, come fanno Josh Feola e Michael Pettis in un recente articolo su The Observer, si può leggere in inglese su Uncanny Magazine Folding Beijing, un racconto breve della scrittrice Hao Jinfang che parla della riorganizzazione urbana e diseguaglianza sociale pervasiva nella capitale cinese.

The folding city was divided into three spaces. One side of the earth was First Space, population five milllion. Their allotted time lasted from six o’clock in the morning to six o’clock the next morning. Then the space went to sleep, and the earth flipped.
The other side was shared by Second Space and Third Space. Twenti-five million people lived in Second Space, and their allotted time lasted from six o’clock in that second day to ten o’clock at night. Fifty million people lived in Third Space, allotted the time fron ten o’clock at night to six o’clock in the morning, at which point First Space returned. Time had been carefully divided and parceled out to separate the populations. Five million enjoyed the use of twenty-four hours, and seventy-five million enjoyed the next twenty-four hours.

La mente corre immediatamente sia ai processi in corso di espulsione-disciplinamento dei migranti sia al progetto di costituire Jing-Jin-Ji, la megalopoli da 130 milioni di abitanti che tiene insieme l’attuale Pechino, Tianjin e la provincia dello Hebei.

Insomma, la Cina oggi è piena di ultra-irreale.

La discussione sul nuovo genere è aperta. C’è chi ritiene colga alla perfezione l’unicità della società cinese, quel mix di velocità-autoritarismo-informatizzazione che connota la vita odierna del cinese qualunque, e chi invece sospetta sia un’operazione di marketing dello stesso Ning Ken, che cerca così di piazzare i propri libri. Dopo tutto, dicono gli scettici, la Cina di oggi sta solo sperimentando ciò che è già successo altrove, inutile crearci attorno un genere letterario. Tuttavia, quando la critica diventa semplificazione e banale lettura dei fenomeni culturali cinesi attraverso lo stereotipo, si rischia di provocare guai.

Un articolo uscito su Quartz a settembre prendeva a pretesto la discussione avviata da Ning Ken per associarlo ai dissidenti Liu Xiaobo e Ai Weiwei, che con lui non c’entrano niente. Ning dichiara di essere uno scrittore puro, non interessato alla politica, ma alla letteratura in quanto strumento privilegiato per descrivere il presente. A noi i distinguo possono sembrare sottigliezze, ma il confine tra ciò che è politico e ciò che non lo è in Cina assume senso. Dalla capacità di rispettarlo, dipende la possibilità che una discussione continui o che una carriera letteraria prosegua.

di Gabriele Battaglia

[Scritto per Prismomag.com]

Qui gli altri articoli di Gabriele per China Files.

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Gabriele Battaglia

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