Il consenso attorno a “open”

ErikaMarconato
CivicHackingIT
9 min readJan 26, 2019

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Questa è la traduzione di The Consensus Around “Open” di David Wiley (l’originale è distribuito con licenza CC BY 4.0).

La meravigliosa immagine di copertina è un’Archeosticker, dei meme sulla storia e l’arte antica che abbinano un’immagine rilasciata con licenza aperta ad un motto. Gli Archeostickers sono un prodotto di OSD e sono distribuiti con licenza CC BY SA 4.0 (grazie Luca per averci concesso di usarla!). Se già non li usi nelle tue conversazioni su Telegram, è il momento buono per rimediare.

Io e Matteo Brunati abbiamo scelto di tradurre questo blogpost perché evidenzia un altro aspetto della confusione attorno alle tematiche dell’open, anche se, nel caso specifico, l’errore dell’opinionista sembra essere fatto in buona fede.

Ieri EdSurge ha pubblicato un commento da opinionista di Stephen Laster, direttore digitale (Chief Digital Officer o CDO) di McGraw-Hill Education, dal titolo Il futuro della formazione scolastica non è gratis. È aperto. L’articolo presentava un’argomentazione decisa sull’importanza dell’interoperabilità tra piattaforme educative, strumenti e contenuti. Io sostengo con entusiasmo e incondizionatamente questo messaggio: l’interoperabilità tra piattaforme, strumenti e risorse è decisamente fondamentale affinché l’educazione diventi più efficace — e meno fastidiosa — in futuro.

Ciò nonostante.

Sebbene io supporti, approvi, sostenga ed elogi le argomentazioni che esaltano le virtù dell’interoperabilità, mi oppongo, respingo e rinuncio in modo inequivocabile agli argomenti che tentano di indebolire il significato di aperto. Purtroppo, l’articolo sembra essere tanto un tentativo di ridefinire aperto (equiparandolo all’interoperabilità), quanto un tentativo di argomentazione per l’interoperabilità. Mentre penso che questo sia più accidentale che malevolo, come spiegherò in seguito, l’articolo ha bisogno di una risposta chiara.

Dopo alcuni paragrafi, nell’articolo leggiamo: «è in corso un dibattito su cosa si intenda con aperto nel contesto dell’educazione». Voglio dimostrare brevemente che, di fatto, c’è un consenso molto forte su quello che chiamiamo aperto nel contesto educativo, dopodiché, spiegare come mai resti ancora qualche dibattito, nonostante l’enorme consenso.

La più piccola rassegna possibile di aperto nell’istruzione

L’idea di aperto o open si interseca con l’istruzione e le tecnologie educative in vari punti: Open Content, risorse educative aperte, Open Access, Open Data, conoscenza aperta, Open Source e standard aperti. Facciamo una breve panoramica di cosa aperto significa in ogni specifica istanza.

Open Content

Definire l’open in Open Content su opencontent.org dichiara:

La locuzione Open Content descrive ogni opera soggetta a copyright (con la tradizionale esclusione del software, per cui si usano altri termini, quali Open Source) che abbia una licenza che permette agli utenti in modo gratuito e permanente di fare le attività 5R:

Conservare (Retain) — il diritto di fare, possedere e avere il controllo di copie del contenuto (ad esempio scaricare, duplicare, conservare e gestire).

Riusare — il diritto di usare il contenuto in varie modalità (ad esempio in classe, in un gruppo di studio, in un sito web, in un video,…).

Revisionare — il diritto di adattare, aggiustare, modificare o alterare il contenuto stesso (ad esempio, traducendolo in un’altra lingua).

Remixare — il diritto di mescolare il contenuto originale o modificato con altri contenuti aperti per creare qualcosa di nuovo (ad esempio, incorporare il contenuto in un madley o un mix).

Ridistribuire — il diritto di condividere copie del contenuto originale, la propria revisione o i propri remix con altre persone (ad esempio, dare la copia del contenuto ad un amico).

Risorse educative aperte (o OER)

La definizione di OER citata più spesso è quella della Hewlett Foundation:

Le OER sono risorse per imparare, insegnare e fare ricerca che sono in Pubblico Dominio o sono state rilasciate sotto una licenza di proprietà intellettuale che permette liberamente il loro utilizzo e riutilizzo da parte di altri. Risorse educative aperte comprendono corsi interi e/o materiali, moduli, libri di testo, video, test, software dei corsi e le tecniche usate a supporto dell’accesso alla conoscenza.

Se ti interessa approfondire un’intera rassegna sulle sottili sfumature tra le prime definizioni alternative di risorse educative aperte, consulta questa pre-stampa di Open Educational Resources: A Review of the Literature, che include una sezione sulle definizioni.

Open Access

La definizione di Open Access della Scholarly Publishing and Academic Resources Coalition è:

Open Access è la disponibilità gratuita, immediata e online di articoli di ricerca abbinata al diritto di usare quegli articoli completamente nell’ambiente digitale. Open Access è la necessaria evoluzione moderna per la comunicazione della ricerca che utilizza Internet completamente per ciò che era stato costruito: accelerare la ricerca.

Open Data

L’Open Data Handbook definisce Open Data come:

Gli Open Data sono dati che possono essere liberamente usati, riusati e redistribuiti da chiunque — soggetti solo, al massimo, alla richiesta di attribuzione e ricondivisione allo stesso modo.

Conoscenza aperta

La Open Knowledge Foundation definisce la conoscenza aperta come segue:

La conoscenza è aperta se chiunque è libero di accedervi, usarla, modificarla e condividerla — sottostando, al massimo, a misure che conservano la provenienza e l’apertura.

Open Source

La Open Source Initiative definisce Open Source un software con una licenza che ha dieci caratteristiche (clicca sul link per leggerle una spiegazione più dettagliata).

1. Redistribuzione gratuita
2. Codice sorgente
3. Opere derivate
4. Integrità del codice sorgente dell’autore
5. Nessuna discriminazione per persone o gruppi
6. Nessuna discriminazione per i campi d’azione.
7. Distribuzione della licenza.
8. La licenza non deve essere specifica di un prodotto
9. La licenza non può limitare degli altri software
10. La licenza deve essere neutrale sulla tecnologia.

Standard aperti

La pagina in inglese di Wikipedia per standard aperti definisce il termine come segue:

Uno standard aperto è uno standard che è pubblicamente disponibile e ha vari diritti di utilizzo associati ad esso; può anche avere varie proprietà di design (ad esempio, open process). Non c’è un’unica definizione e le interpretazioni cambiano con l’uso.

Riassunto: il consenso attorno all’open

Ognuno di questi lemmi contenenti la parola open e correlati con l’istruzione o le tecnologie educative ha due cose in comune:

  1. Libero accesso a contenuto, risorsa, articolo di giornale, dati, conoscenza, manufatto, codice o standard e
  2. un’assicurazione formale di permessi e diritti che restituisce all’utente molti dei diritti e permessi che il copyright, di solito, riserva esclusivamente al creatore o ad altri detentori dei diritti.

Abbreviando, potremmo dire che open=libero accesso+licenza aperta (tipo la GPL o le Creative Commons). Qui vediamo che l’affermazione nell’articolo che «da un po’ di tempo, il termine è diventato sinonimo di contenuti aperti, reperibili solitamente online, che gli insegnanti possono usare in classe» dimostra solo una comprensione parziale di cosa significa aperto e, conseguentemente, una comprensione limitata del perché aperto sia poderoso. (Per una panoramica sul perché i permessi garantiti dalle licenze aperte sono assolutamente fondamentali per abilitare le future innovazioni in campo educativo, leggi questo post. Il tl;dr — troppo lungo, non l’ho letto — è: prova a immaginare la progressiva affermazione di internet e le sue migliaia di piattaforme, strumenti e risorse senza sistemi operativi Open Source come Linux, senza server software Open Source come sendmail, apache, mysql, perl, php e ruby e senza standard aperti come TCP/IP. Notizia flash: non puoi! Perfino Blackboard era originariamente una app Linux/apache/mysql/perl, o LAMP!)

Quindi, dove sta il dibattito?

Ricorda, l’articolo dichiara che «è in corso un dibattito su cosa si intenda con aperto nel contesto dell’educazione». Avendo dimostrato che c’è un forte consenso su cosa significa aperto in una varietà di termini pertinenti all’istruzione e alle tecnologie educative, potremmo arrischiarci a chiedere “dove sta il dibattito?”.

Da quello che vedo, le uniche persone attivamente partecipi nel dibattito attorno alla parola open nel contesto educativo sono (1) quelli che l’hanno mal interpretata perché non sono ancora parte della comunità e (2) quelli i cui modelli di business potrebbero collassare se la gente avesse libero accesso e licenze aperte per i loro prodotti.

L’articolo sembra ricadere nella prima categoria.

Da un po’ di tempo, il termine è sinonimo di contenuto gratuito, solitamente disponibile online, che gli insegnanti possono usare nelle loro classi. Nonostante le risorse gratuite abbiano un ruolo importante nell’educazione, una definizione molto più utile di open è una tecnologia o un contenuto che possono essere integrati senza fatica ad altre risorse.

Devo ammettere che concordo completamente sul fatto che definire open come gratuito non è molto utile e bisognerebbe trovare una definizione migliore. In ogni caso, come abbiamo visto sopra, equiparare aperto con gratuito è inaccurato e una definizione nettamente migliore già esiste. Ma open=gratuito sembra essere quello che Laster ha davvero capito di aperto quando scrisse l’articolo; sembra anche che questa incomprensione sia ciò che lo ha spinto ad argomentare in favore di una definizione di open più significativa. Lo capisco e lo appoggio. In passato, mi è piaciuto quello che ha scritto Laster e sono incline a dargli il beneficio del dubbio riguardo alle sue intenzioni su questo commento da opinionista.

Un sollecito amichevole sull’openwashing

Avendo detto — e credendo veramente — che concedo a Laster il beneficio del dubbio, fallirei i miei doveri di anfitrione dell’open se non mi fermassi per un momento e non dicessi un paio di parole sull’openwashing, come piccolo appunto e avvertenza generale per qualsiasi persona e qualsiasi organizzazione.

Siccome il potere, la visione etica e il marchio di open sono così universalmente riconosciuti e rispettati, molte organizzazioni vogliono esserci associate. Se un’organizzazione non riesce a ricalibrare il suo modello di business per essere davvero aperta (ossia, fornire libero accesso e licenze aperte ai propri prodotti), l’unico modo per poter approfittare della benevolenza della gente nei confronti dell’open è ridefinire la parola in modo da descrivere qualcosa che il loro modello di business concede. I membri delle comunità legate all’open riconoscono immediatamente questo comportamento e lo additano come openwashing, ossia «dichiarare che un prodotto o un’azienda sono open, quando in realtà non lo sono».

Il desiderio di beneficiare della buona predisposizione nei confronti dell’open è una delle ragioni per fare openwashing, ma non è l’unica. Un’altra motivazione per l’openwashing è distrarre le persone dai benefici pragmatici dell’open. Sfortunatamente, molte persone (incluse molte persone nell’istruzione) ancora non sanno che esiste l’open. Ad esempio, come la recente indagine Babson ha dimostrato, il 65.9% degli istituti sono completamente all’oscuro delle OER, anche con la più liberale delle misurazioni. Con criteri di misurazione più stretti, ben il 73.6% delle facoltà è completamente ignaro. Se le persone sono inoculate contro l’open attraverso una prima esposizione con una forma debole — tipo “abbiamo delle API, quindi siamo aperti” — potrebbero non essere totalmente consapevoli del vero potere dell’open quando lo incontreranno in futuro. Quando un’azienda riconosce la propria inabilità di essere veramente aperta, questa strategia inoculativa potrebbe proteggerla da competitor che stanno davvero sfruttando il potere dell’open.

Da notare che la strategia inoculativa è differente dalla strategia FUD (N.d.T. strategia di marketing basata su paura, incertezza e dubbio) degli anni Novanta e primi Duemila, che tentava semplicemente di convincere le persone che aperto portava a bassa qualità, nessun supporto e mancanza di sostenibilità. Vediamo ancora una piccola parte di queste cose, ma, vent’anni dopo, è così chiaramente falso che pochissime persone decidono di perseguire questa strategia di attacco. Invece, stiamo assistendo all’emergere di strategie anti-open molto più sofisticate, come “buona volontà” e “inoculazione” nel fare openwashing.

Mi ripeto di nuovo: non sto accusando Laster di aver fatto openwashing. Penso che lui rientri nel gruppo di persone che ha semplicemente mal interpretato cosa vuol dire aperto. Spero che, se leggerà questa risposta, sia attirato un po’ più dentro la comunità e che la sua comprensione di quello che intendiamo con open migliori.

Stringiamo un accordo

Laster conclude il suo articolo scrivendo:

Le tecnologie per l’istruzione sono avanzate più negli ultimi cinque anni che negli ultimi cinquanta, ma la mancanza di apertura è uno dei fattori che impediscono l’effetto enorme che dovrebbero avere. Impegnandoci verso un futuro più aperto e collaborativo, possiamo raggiungere il nostro obbiettivo mettendo studenti e insegnanti in una posizione migliore per raggiungere i loro.

Non potrei essere più d’accordo: una maggiore apertura — accesso libero e permessi che rispettino le 5R su piattaforme, strumenti e risorse — metterà insegnanti e studenti in una posizione infinitamente migliore per raggiungere i loro obbiettivi.

Per quanto Laster stia argomentando a favore dell’interoperabilità nel suo articolo, dovrei sottolineare un punto finale. Concordo profondamente che aziende, associazioni e altri creatori di piattaforme, strumenti e risorse educative dovrebbero aderire agli standard che massimizzano l’interoperabilità: standard come HTML5 per i contenuti, LTI per gli strumenti e QTI per le valutazioni. Spero che MH (McGraw-Hill, N.d.T.) diventi un modello che vale la pena copiare su questo. In ogni caso, quando le piattaforme, gli strumenti e le risorse sono veramente aperti, la comunità ha i permessi necessari per risolvere i problemi di interoperabilità che troviamo nelle piattaforme, negli strumenti e nelle risorse che pensiamo siano di valore, nonostante quei problemi. Questo è solo un ulteriore beneficio di essere davvero aperti.

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ErikaMarconato
CivicHackingIT

#CivicHackingIT e #scrivo. Leggo molto, a volte troppo. Sto cercando di capire il legame tra #opensource e cultura. Di #opendata parlo su @spaghetti_folks.