Mini sintesi narrativa: tecnologie civiche e fiducia nel governo

ErikaMarconato
CivicHackingIT
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15 min readJul 27, 2019

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Questa è la traduzione di Mini lit review: civic technology and trust in government di Christopher Wilson (come tutti i pezzi del suo blog è rilasciato con licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International).

Una lit review (o sintesi narrativa in italiano) è una collezione critica di fonti — ossia di cose pubblicate — su un dato argomento (in questo caso specifico, la relazione tra tecnologie civiche e fiducia nelle istituzioni). Una specie di stato dell’arte preliminare a qualsiasi lavoro accademico. L’autore ha scelto di adottare un sistema di citazioni intertestuali e noi abbiamo deciso di rispettare questa scelta, anche se si differenzia stilisticamente dal resto dei nostri blogpost, quindi nel testo tra parentesi tonde ci sono i riferimenti essenziali alle fonti che abbiamo riportato in calce (abbiamo scelto di segnalarle in inglese: se le trovi in italiano, faccelo sapere).

Abbiamo scelto di tradurre questa specifica sintesi narrativa perché l’autore è tra i co-fondatori di the engine room (una delle cose che seguiamo con interesse) e perché parlare di civic hacking senza pensare al discorso più ampio sulla fiducia nelle istituzioni è miope.

Il ruolo dei cittadini sta cambiando, ma anche quello del governo a tutti i livelli amministrativi: non si tratta solo del ruolo del politico di turno, ma di qualcosa di più profondo. Al di là del populismo, quello che ci aspettiamo dalla relazione con le istituzioni sta cambiando. Quindi, ragionare sulla fiducia — uno degli elementi delle relazioni — è urgente. Partiamo da qui, che è un punto buono come qualsiasi altro.

(Spoiler: è complicato e poco chiaro, ma ci sono cose che possiamo imparare e aggiustare)

La fiducia è un’aspirazione intensa in questo periodo, soprattutto perché sembra essere una materia prima scarsa. Di conseguenza, c’è improvvisamente un sacco di interesse nel cercare di capire se cose come le tecnologie civiche, l’Open Government e la partecipazione digitale (che per brevità raccoglierò sotto il cappello “civic tech” o “tecnologie civiche”, come faccio di solito) possono aiutare.

Molte delle risposte sono aneddotiche o editoriali (OGP, 2017), senza una base probatoria certa. Perfino il lavoro della Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), sebbene rigoroso, collega una spiegazione puntuale delle politiche a un approccio metodologico acuto, ma non presenta alcuna prova dell’effetto delle tecnologie civiche sulla macchina governativa (Trust and Public Policy: How Better Governance Can Help Rebuild Public Trust, 2017).

Quindi ho deciso di prendere in mano la questione. Qui c’è un’analisi veloce e informale della letteratura sulle tecnologie civiche (inclusive) e la fiducia nelle Amministrazioni. Voglio sottolineare che nonostante molti studi indichino la fiducia come pre-requisito per delle tecnologie civiche significative (Mcgee et al., 2018; Sieber e Johnson, 2015), questa mini rassegna riguarda la fiducia come risultato, non come input.

Per cominciare, come spesso succede, ci sono dei problemi di misurazione.

DI CHE COSA STIAMO PARLANDO? (CONCETTI E MISURAZIONE)

Per cominciare, la variabile indipendente è confusa e disorganizzata. Tecnologie civiche, Open Government, partecipazione digitale, tecnologie per la trasparenza, politiche informatiche [policy informatics nel testo originario, N.d.T.] — tutte queste cose si sovrappongono e auto-identificano in maniera strana e confusa, sia come comunità di pratica che come ambiti di studio. Si fa confusione anche all’interno delle singole voci. L’Open Government è qualcosa che si può interpretare piuttosto liberamente (Francoli e Clarke, 2014; Gonzalez-Zapata e Heeks, 2014; Pomerantz e Peek, 2017), non si riesce a decidere chi fa tecnologie civiche e chi no e la partecipazione digitale non siamo nemmeno sicuri sia davvero una specializzazione (Susha e Grönlund, 2012).

Questa ambiguità è esacerbata dal fatto che i progetti coinvolgono persone e informazioni con modalità radicalmente diverse. È davvero possibile dire cosa significa “tecnologia civica” attraverso una definizione che sia valida sia per una piattaforma SMS di monitoraggio parlamentare in Uganda, una gara di data science promossa dal governo statunitense e il lavoro sui contratti governativi fatto in Ucraina? Forse. Forse no.

La variabile dipendente potrebbe essere ancora più caotica. Stiamo parlando di fiducia come se tutti concordassero su cos’è, ma non serve andare molto a fondo per capire che non è così. Fiumi d’inchiostro sono stati spesi per cercare di capire la fiducia. Una sintesi narrativa ha raccolto 16 definizioni diverse usate dagli studiosi (Petts, 2008: 823).

Comunque, ci sono delle distinzioni comuni. In generale, i ricercatori distinguono tra fiducia interpersonale — basata sull’interazione — e fiducia di sistema — basata sulle istituzioni. Ci sono molte più ricerche sulla prima che sulla seconda (Bachmann et al., 2015), sebbene la maggior parte della ricerca interpersonale non abbia una componente di governance. Anche contesti istituzionali altrove considerati prominenti, come gli approcci deliberativi e partecipativi ai processi decisionali governativi, sono significativamente meno oggetto di ricerca rispetto all’attenzione dedicata alla fiducia nelle comunità e nei mercati (Petts, 2008: 822).

Questo scarto nella ricerca potrebbe essere meno problematico di quanto appaia a prima vista, dato che la distinzione tra fiducia interpersonale e fiducia di sistema non è così chiara come sembra. Il lavoro di Bachmann e Inkpen (2011) sulle istituzioni del settore privato suggerisce che “la fiducia di sistema è generalmente considerata una versione di fiducia più debole rispetto a quella interpersonale”, ma è anche più facile da generare e funziona più o meno allo stesso modo: creando “una conoscenza esplicita e tacita condivisa” tra le parti (285). L’informazione è il meccanismo in gioco qui. Quindi, mentre le interazioni sono strutturate in maniera diversa e gli attori sono posizionati differentemente in questi due tipi di relazioni di fiducia, in entrambi i casi la fiducia è costruita attraverso la garanzia della condivisione di informazioni necessarie a predire i risultati.

I ricercatori accademici che si concentrano sulla trasparenza e la responsabilizzazione [accountability nel testo originario, N.d.T.] hanno sottolineato in modo diverso il ruolo dell’informazione nella costruzione di fiducia, argomentando che le iniziative di civic tech infondono fiducia perché forniscono informazioni ai cittadini: senza quelle informazioni i cittadini potrebbero mal interpretare il compito delle istituzioni e ciò creerebbe sfiducia (Porumbescu, 2015: 822). Sebbene questo sia ipoteticamente plausibile, suonerà falso alla maggior parte delle persone che lavorano su problemi di trasparenza e responsabilizzazione, dove la fiducia è concettualizzata più chiaramente come prodotto della capacità di azione e di risposta del governo (OGP, 2017).

Questa comprensione più normativa della fiducia trova conferma nel lavoro dell’OCSE sulla questione, che concettualizza la fiducia come guidata dalla percezione sui valori e sulla competenza del governo (Trust and Public Policy: How Better Governance Can Help Rebuild Public Trust, 2017). È anche confermata dal focus posto da alcuni studiosi sul processo rispetto al contenuto delle interazioni tra stato e cittadino per la costruzione della fiducia (Bloomfield et al., 2001: 510; Petts, 2008: 822–823), e sulle raccomandazioni che i governi “migliorino la fiducia tra il pubblico […] attraverso l’impegno civico e la chiusura del divario di disimpegno pubblico-polizia” (Warren et al., 2014: 291, si veda anche Morgeson et al., 2011). Tuttavia, non tiene conto del fatto che ci sono sempre più prove che, almeno in alcuni paesi, le informazioni e i valori vengano superati dal potere concreto della faziosità politica e dell’identità sociale come fattori di fiducia (Wilkes, 2015).

In ogni caso, ci sono molti modi per concettualizzare la fiducia nel governo. Ma anche se ci fosse un accordo speculativo, gli operazionismi di fiducia nel governo sono altrettanto diversi. L’OCSE ha individuato una serie di metodi internazionali e chiarisce che gli strumenti di indagine variano in modo significativo sia nelle misure che nella formulazione (Trust and Public Policy: How Better Governance Can Help Rebuild Public Trust, 2017: 152–158). Alcuni evitano completamente la fiducia e fanno marcia indietro sulla “predisposizione alla fiducia” degli individui (Grimmelikhuijsen e Meijer, 2014). È una giungla là fuori.

Forse l’unica cosa sicura da dire è che è complicato. Ma di nuovo, ho trovato solo una misura operativa e multidimensionale per la fiducia in un contesto di governance (Grimmelikhuijsen e Knies, 2017). Quindi c’è del lavoro da fare per mappare quel campo.

QUINDI COSA SAPPIAMO (DOCUMENTAZIONE)
FUNZIONA?

Ci sono alcune prove dell’influenza positiva che possono avere le tecnologie civiche sulla fiducia nelle istituzioni pubbliche, nonostante la maggior parte dei risultati sia confusa. Per quanto riguarda la trasparenza governativa e il rilascio di informazioni, ad esempio, Hong (2013) cita diversi studi a sostegno della sua tesi che:

gli individui che usano i siti web governativi sono più propensi a considerare il governo come trasparente e aperto al monitoraggio dei cittadini, reattivo agli spunti dei cittadini, accessibile e disponibile a rendere conto ai cittadini del suo operato (349),

Mentre lo studio comparativo tra Corea del Sud e Paesi Bassi di Grimmelikhuijsen et al.’s (2013) evidenzia che la trasparenza governativa influenza negativamente la fiducia (anche se il contesto nazionale ha un ruolo preponderante nel moderare questo effetto).

La documentazione delle interazioni nei social media e nei siti web governativi sono ancora più complesse. Il questionario rivolto da Warren et al.’s (2014) ai malaysiani che avevano interagito con il governo attraverso i social media (n=502) [l’autore riporta il numero relativo al campione statistico usato a seconda del caso che cita, N.d.T.] ha evidenziato una correlazione positiva tra il coordinamento online di attività civiche e la propensione dei cittadini alla fiducia nei confronti del governo. La ricerca di Porumbescu (2016) tra i sudcoreani (n=1100) ha sottolineato che l’uso di siti web governativi e social media ha effetti positivi sulla fiducia nelle pubbliche amministrazioni, ma che ci sono effetti diversi a seconda della piattaforma. L’autore dello studio suggerisce che informazioni semplici, condivise spesso grazie ai social media, sono molto più efficaci nella costruzione della fiducia rispetto alle transazioni sui siti governativi e, in un’analisi successiva (2017), ha riscontrato che l’unico risultato delle piattaforme di e-gov è un effetto negativo sulla “percezione di affidabilità tra quelli che interagiscono più spesso [nelle piattaforme]” (503).

Anche lo studio fatto da Hong (2013) negli Stati Uniti (n=+2000) ha evidenziato una relazione positiva riguardo alle interazioni sia sui social media che sulle piattaforme di e-government, ma distingue gli effetti sulla fiducia di ogni piattaforma rispetto ai diversi livelli amministrativi. Nello specifico, sottolinea che

i servizi informativi online e i social media sono associati con una maggiore fiducia nelle istituzioni a livello locale e nazionale, mentre le [piattaforme di e-government] con servizi transazionali online creano maggior fiducia nel governo federale,

(nonostante noti che, a conti fatti, “un’esperienza che andava a buon fine nei canali [presi in considerazione] è più importante dell’esperienza stessa”) (346).

Queste differenze sono contraddette da numerosi studi sull’e-government che documentano un effetto positivo sulla fiducia nelle amministrazioni locali, inclusi l’ampiamente citato studio di Tolbert e Mossberger (2006) sugli utilizzatori di servizi e-gov americani e quello di Morgeson et al.’s (2011) su 787 utilizzatori finali di servizi americani di e-gov.

Quindi sì, le testimonianze sono chiaramente confuse. Sebbene si possa avere la tentazione di attribuire questa confusione al numero limitato di Paesi e oggetti di ricerca (e-gov, trasparenza e social media), la confusione potrebbe avere più a che fare con alcuni dei problemi di misurazione presentati in precedenza. Prove confuse sono presenti anche nei singoli studi (Grimmelikhuijsen et al., 2013; Welch et al., 2004), dopotutto Tolbert e Mossberger (2006) notano come gli studiosi siano arrivati a conclusioni contraddittorie a partire dai dati degli stessi questionari sulla fiducia e l’e-government (358).

Pertanto, non è sorprendente scoprire che avvertenze e limitazioni sono importanti in molti di questi studi. Per molti ricercatori, sono al centro della scena. Ad esempio, uno dei principali risultati del programma Making All Voices Count [detto anche MAVC in seguito, N.d.T.], durato quattro anni e mezzo che comprendeva più di 120 pubblicazioni di ricerca e apprendimento, è che “le sole tecnologie non favoriscono le relazioni di fiducia necessarie tra governi e cittadini, e all’interno di ciascun gruppo di attori ”(Mcgee et al., 2018).

Il rapporto di sintesi del progetto rileva “una gamma limitata di condizioni” in base alle quali le tecnologie sono state sfruttate nei progetti MAVC [Making All Voices Count, N.d.T.] per “consentire la costruzione della fiducia tra cittadini e Stato” e fa riferimento a tre di questi progetti che hanno utilizzato l’interazione sostenuta e strutturata con le autorità tramite SMS e mappatura tecnologie per creare fiducia. Il rapporto non riesce a precisare esattamente quali siano tali condizioni, né a fornire dati strutturati per valutare l’affermazione (Mcgee et al., 2018: 18–19).

FATTORI CHE CONTRIBUISCONO

Quando si considerano i fattori che guidano o moderano l’effetto delle tecnologie civiche sulla fiducia, gli studi accademici sottolineano spesso le prospettive e le predisposizioni personali degli individui. Un esperimento online di Grimmelikhuijsen e Meijer (2014), ad esempio, rileva che l’effetto della trasparenza sulla fiducia è moderato dalle predisposizioni individuali alla fiducia e alla conoscenza delle problematiche precedenti, mentre Porumbescu (2017) scopre che l’uso dell’e-government aggrava la sfiducia tra i politicamente impegnati e l’indagine di Åström et al. (2016) sugli utenti svedesi di petizioni elettroniche (n=1.470) rileva che l’impegno con i sistemi di petizione elettronica non aumenta la fiducia in generale, ma che per gli utenti che si considerano già esclusi dalla politica, rafforza la sfiducia.

Naturalmente, anche le esperienze individuali di interazione con il governo e la tecnologia civica sono importanti. Hong (2013) ha scoperto che l’esperienza utente delle piattaforme tecnologiche conta di più per la fiducia nel governo, rispetto alle interazioni che tali piattaforme facilitano (346), e che le valutazioni longitudinali delle iniziative di bilancio partecipativo mostrano una maggiore fiducia in quelle iniziative che diminuiscono l’insoddisfazione delle prestazioni dell’iniziativa stessa (Barros e Sampaio, 2016).

Queste esperienze, inoltre, saranno inevitabilmente influenzate anche da fattori contestuali, che si verificano al di fuori di tali interazioni, e ciò può essere particolarmente problematico in un contesto di paesi in via di sviluppo. Come Mcgee et al. (2018) nota, quando le interazioni cittadino-stato nel portafoglio MAVC [Making All Voices Count, N.d.T.] sono riuscite a costruire la fiducia è perché sono affidate a intermediari esperti e “sono state le interazioni e i comportamenti ripetuti che hanno fatto la differenza — e questi erano in gran parte offline” (Mcgee et al. , 2018: 18–19).

Vi è, in ogni caso, poca ricerca su come la progettazione di iniziative di tecnologie civiche influenza il loro effetto sulla fiducia nel governo. Ciò può essere dovuto alla mancanza di attenzione alle tecnologie civiche in generale. In effetti, una revisione della letteratura interdisciplinare evidenzia sette fattori di fiducia nella pubblica amministrazione (efficacia del governo, coerenza delle politiche, ecc.) e non fa alcun riferimento alla tecnologia o allo scambio di informazioni (Hamm et al., 2016), sebbene faccia riferimento a uno studio che suggerisce che “la fiducia nel governo tende a essere promossa in base a determinati progetti istituzionali come quelli che includono meccanismi di partecipazione dei cittadini” (Mizrahi et al., 2009).

Ancora una volta, quando ci si chiede perché ci sono così poche evidenze sul come la progettazione programmatica della tecnologia civica influenzi la fiducia nel governo, è difficile non notare quanta poca ricerca ci sia sul civic tech e quanto sia difficile confrontare le iniziative di tecnologia civica e i loro effetti in tutti i contesti.

QUINDI COSA VUOL DIRE? (IMPLICAZIONI)

Questa sintesi narrativa è breve, informale e non sistematica. Tuttavia è comunque possibile trarre alcune conclusioni provvisorie basate sulle dimostrazioni finora citate e sul loro significato.

  1. Non ci sono prove chiare o coerenti che la tecnologia civica, i dati aperti, la partecipazione elettronica o l’interazione cittadino-stato in grande misura abbiano un impatto positivo sulla fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
  2. Le variazioni nei contesti e nelle modalità di programmazione probabilmente renderanno impossibile la dimostrazione di affermazioni così ampie.

Non ci sono evidenze chiare è, in questo contesto, il tema principale, ma questo non significa mollare il colpo su tutto quanto. L’assenza di prove non è una prova di assenza. Potrebbe esserci effettivamente una relazione forte e, persino, un coerente effetto causale tra civic tech e fiducia che semplicemente non è stato ancora misurato, a causa di tutte le complicate questioni metodologiche e concettuali menzionate sopra. Per affrontare questa sfida, la ricerca futura dovrebbe essere concentrata su alcune cose.

  1. Affrontare l’ampiezza e l’ambiguità nella letteratura accademica. Non pretendere che ci sia chiarezza o consenso quando non c’è. Questo non favorisce nessuno.
  2. Andare oltre la ricerca su portali di trasparenza, interazioni sui social media e siti Web e-gov. Proseguire la ricerca in una più ampia varietà di contesti nazionali e testare gli effetti dell’analisi per moderazione [si tratta di analisi dei dati: il modello della moderazione analizza l’effetto dell’interazione, cioè quando l’effetto di una variabile indipendente cambia al variare dei livelli di un’altra variabile, N.d.T.].
  3. Perseguire oggetti di ricerca definiti dalla struttura di interazioni e scambi di informazioni che riescono ad abilitare, non solo da temi cool che possano sfruttare, come la partecipazione elettronica, l’hacking civico o i dati aperti.
  4. Applicare deliberatamente metodi quant, qual o misti [sono approcci statistici, N.d.T.]. Esistono già molti dati su sondaggi e analisi associate e l’applicazione di metodi qual a questi lavori potrebbe complicare e chiarire utilmente i loro risultati contrastanti. Gli studi qualitativi di casi senza un effetto sistematico dimostrato potrebbero essere meno utili. Se quant è la tua passione, non aver paura di utilizzare fonti di dati esistenti, ci sono una gran quantità di dati di sondaggi sulla fiducia (vedi l’appendice OCSE), la cui incorporazione potrebbe rafforzare la validità esterna di studi discreti.

Infine, è possibile leggere alcune lezioni strategiche per la progettazione del programma e il lavoro pratico di quanto sopra. Le interferenze da ricerche parallele o studi inconcludenti possono integrare informazioni contestuali sul campo e contribuire a informare la progettazione di iniziative pratiche.

  1. Le informazioni che influenzano le aspettative sono probabilmente il meccanismo principale attraverso il quale viene costruita la fiducia attraverso la tecnologia civica.
  2. Le differenze tra le piattaforme tecnologiche contano, ma la struttura delle interazioni che facilitano le cose probabilmente di più.
  3. Le esperienze negative con la tecnologia e le interfacce utente possono influenzare negativamente i risultati di fiducia sulle tecnologie civiche.
  4. Non puoi sfuggire al populismo e all’identità sociale. Anticipa il modo in cui gli utenti si autoidentificano e cerca di sfruttare le loro predisposizioni per rafforzare la fiducia.

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ErikaMarconato
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