La perfezione non è di questo mondo

Collage Mag
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5 min readDec 30, 2016

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Quando avevo diciassette anni avevo scoperto il favoloso mondo dei giochi di ruolo online — no, non i videogiochi, e no, nemmeno quelli in cui fai la raccolta punti stile dadi, intendo i giochi di ruolo testuali, quelli in cui scrivi una storia insieme a persone sconosciute — e in quel contesto avevo a lungo provato a costruire un personaggio praticamente perfetto sotto ogni aspetto.

Nei giochi di ruolo testuali c’erano delle regole non scritte, una delle quali che per avere un personaggio perfetto non bastava dire “il mio personaggio è perfetto”, ma scriverlo e interpretarlo in modo che tutti gli altri lo percepissero come perfetto — il che, per inciso, rimanda al concetto show, don’t tell (mostra, non raccontare) che sta alla base della scrittura creativa.

Come si crea un personaggio perfetto?

‘Mr. Nobody’, un dipinto di Valerie Savchits

Da adolescente imperfetta sotto ogni aspetto, non ne avevo idea. Sapevo solo che invidiavo le persone ai miei occhi perfette, quelle con le idee chiare sul futuro, una vita relazionale piena di soddisfazioni e — soprattutto — i capelli sempre in piega. Non so perché fossi così tanto fissata con i capelli in piega, forse perché i miei erano tantissimi e grossi e tendenti al mosso e l’unica che riusciva a piastrarli in modo che non si gonfiassero era la parrucchiera, ma la prima cosa che decisi del mio personaggio perfetto furono i capelli castani, lunghi, sottili e dritti come spaghetti: nemmeno i peggiori duelli di incantesimi avrebbero potuto arruffare i capelli di Charlotte, questo il nome della ragazzina che avevo in mente.

Poi, iniziai a guardarmi intorno. A diciassette anni stavo ancora cercando di capire chi ero e che cosa mi piaceva: visto che non avevo grandi idee, avevo deciso di appropriarmi dei gusti delle mie compagne di classe che mi sembravano più risolte di me con l’esistenza.

Ogni tanto le mie amiche mi prendevano in giro per la mia passione per il rosa e i glitter, quindi avevo iniziato a prendere mentalmente appunti su cosa avrebbe potuto invece sostituire le calze a righe, gli scaldamuscoli ricamati e le Converse con le farfalle. Ricordo con un mezzo sorriso il giorno in cui, nello spogliatoio all’ora di ginnastica, mi ritrovai a frugare tra le cose di alcune ragazze, cercando di capire quale fosse la marca di quelle scarpe bianche tanto carine o dove avrei potuto trovare i jeans che sembravano stare tanto bene a tutte.

Aguzzavo la vista quando vedevo la ragazza dell’ultimo banco darsi lo smalto, cercando di capire quale fosse esattamente la tonalità vinaccia che utilizzava, e mi informavo distrattamente sul braccialetto di quella che sedeva accanto a lei. Come diceva la mia insegnante di danza quando facevamo la sbarra: si impara copiando.

Per costruire Charlotte, il mio personaggio perfetto, iniziai a fare qualcosa del genere. Cominciai a osservare attentamente quelle stesse ragazze, sforzandomi di ascoltare di più e di parlare di meno. Ognuna di loro aveva ovviamente il suo modo di comportarsi, qualcuna era più esuberante, qualcuna più riservata, ma nel giro di un paio di settimane arrivai alla conclusione che la perfezione c’entra con l’essere appropriati, con la giusta misura. C’entra con il non dire e il non fare nulla di inopportuno, con il non essere eccessivi. E così, io che ero esagerata e inopportuna qualsiasi cosa facessi, nonostante tentassi disperatamente di non esserlo, mi ritrovai a scrivere di questa ragazzina così tanto diversa da me.

Non fu facile, in realtà. Le azioni dei personaggi andavano scritte in pochi minuti, e specialmente all’inizio mi ritrovai a scrivere di una ragazzina che sembrava più nevrotica che perfetta, perché finiva sempre per rispondere o reagire come avrei risposto o reagito io, il che strideva tragicamente con tutte le premesse iniziali. Le persone mi facevano i complimenti perché il mio personaggio era divertente (da leggere), ma non era esattamente quello che avevo in mente. Almeno nella finzione, mi dicevo, volevo scoprire cosa si provasse a essere appropriati e continuavo a insistere. Anche nella vita reale — come me stessa — stavo provando a fare qualcosa del genere, ma era ancora più difficile, non avevo neppure quei tre minuti per riflettere sul mio comportamento.

La vita scorre velocemente, non ti aspetta.

Piano piano, questa ricerca di perfezione cominciò a diventare parte di me. Lasciai perdere dopo qualche mese Charlotte, il mio personaggio che voleva essere praticamente perfetto, ma continuai a cercare di prendere spunto dalle persone che avevo intorno e a cercare di raggiungere questa benedetta perfezione.

Avevo una lista mentale degli aspetti di me che non andavano a genio agli altri, e giorno dopo giorno cercavo di lavorare su qualcuno di questi: manchi di senso pratico, mi dicevano ad esempio, così lasciavo perdere la facoltà che avrei voluto davvero fare per iscrivermi a un’altra, più scientifica, più pragmatica.

Sei infantile, mi facevano notare, ed ecco che almeno in pubblico bandivo ogni riferimento alla cultura pop e ai fumetti che tanto mi piacevano, cercavo di parlare meno, di darmi un tono.

Ascolti della brutta musica, leggi dei libri stupidi, leggi troppo, leggi poco, ti vesti troppo da adolescente, ti vesti troppo da vecchia, come mai sei trascurata, non lavorare, studia, non studiare, lavora, smetti di essere così testarda, smetti di essere così remissiva.

Credevo di star lavorando su me stessa, invece giorno dopo giorno stavo facendo a pezzi la persona che ero, distruggendo tutto quello che faceva parte di me. Mi guardavo allo specchio, con i capelli non troppo chiari, né troppo scuri, le sopracciglia curate, ma non eccessivamente e gli occhi stanchi, chiedendomi chi era la ragazza che mi guardava dall’altra parte del riflesso.

La mia ricerca di perfezione mi ha portato vicino all’autodistruzione. Soltanto da poco tempo ne ho preso consapevolezza e ho cercato di rimettere insieme i pezzi, provando a chiedermi ogni volta cos’è che davvero mi piace, cos’è che davvero posso essere. Sono sempre convinta che si debba vivere tendendo al miglioramento, così come sono sempre convinta che senza confronto con gli altri non si cresce, né si cambia, ma al centro di tutto ciò ho capito che devo mettere me stessa.

Se mi chiedessero adesso cos’è la perfezione, prima di tutto risponderei che non è di questo mondo. La cosa che più ci si avvicina credo che sia riuscire a essere felici di quello che si è e dove si è.

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