Sono un trans perfezionista

Diego Angelo
Collage Mag
Published in
3 min readDec 21, 2016
Illustrazione di Michele Bruttomesso

Per anni ho cercato di essere perfetto. A volte, però, mi sono lasciato prendere dallo sconforto, constatando che, in realtà, non ero chi cercavo di essere. Ed in quelle occasioni è venuta fuori la parte peggiore di me: superficialità e svogliatezza hanno in questi casi comandato le mie azioni.

Nella mia vita ho sempre avuto la certezza che anche io potevo essere come gli altri. E gli altri non erano altro che individui maschi, con il dono del cromosoma Y, che automaticamente erano socialmente migliori o più bravi di me “per natura”.

Certo, perché era “naturale” che io, essere umano di genere femminile, fossi inferiore ed incapace di fare quello che a loro, invece, naturalmente veniva facile e bene, costantemente. E si parla di tutto. Dal giocare a calcio allo studiare, dall’andare in bici e saltare sulle dune al corteggiare le ragazze, dal poter fare o non fare quello che mi andava di fare al dover fare tutto quello che socialmente ci si aspettava da me, come, ad esempio, le pulizie di casa.

Con l’andare degli anni, realizzavo che, per poter essere anche io come gli altri, dovevo sforzarmi il doppio di loro perché, innanzitutto, dovevo sconfiggere le barriere sociali che mi imprigionavano. Ma, soprattutto, dovevo distruggere le barriere mentali e personali che mi soffocavano.

Ho sempre considerato gli uomini biologici come “portatori sani” di quella che era la perfezione per eccellenza, proprio perché già dall’inizio, a differenza mia, erano nati perfetti.

La transizione mi ha dato modo di placare questo senso di inferiorità che mi ha distrutto animo e mente per tanti anni, ma di certo non ha distrutto questo meccanismo automatico di ricerca della perfezione che mi ha accompagnato da quando ho memoria.

Questo fa sì che, ad esempio, io possa essere un inguaribile rompiscatole che vede l’errore ovunque e dovunque, sia in sé che negli altri.

E tutto questo mi porta, spesso, a portarmi troppo oltre da quelli che sono i miei limiti, come il lavorare fino ad ore molto tardive senza mangiare. Oppure mi induce ad essere il “professorino so tutto io”, che fa notare ai colleghi gli errori, che possano essere linguistici o lavorativi, che in realtà non amo essere. Oppure mi spinge a voler essere quella persona sempre disponibile con tutti e per tutto, capace di affrontare qualsiasi situazione o trovare qualsiasi soluzione a qualsiasi problema, spesso a scapito di me stesso, quindi poi obbligato a sistemare le mie questioni solo dopo aver sistemato quelle altrui, tante volte arrivando troppo tardi per raggiungere la soluzione ottimale per me.

L’essere finalmente un uomo riconosciuto all’esterno, non ha placato totalmente la mia sete di perfezionismo. Forse perché io so, in cuor mio, che, per quanto io mi sia omologato esteriormente con ciò che mi sento di essere, tutto questo non sia realmente abbastanza e che per raggiungere la famigerata perfezione ci sia ancora tanto da fare.

Probabilmente l’agognata perfezione non la raggiungerò finché non capirò che sono già perfetto così come sono.

--

--