Old but gold: i Chromatics e “Kill for love”

Voto ●●●●◐

Marco Figliuzzi
Collettivo Zero
3 min readDec 12, 2016

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Chromatics

Sono ormai passati dieci anni da quando, gli americani Chromatics sono usciti dall’anonimato nel 2007, comparsi misteriosamente all’interno della compilation italo-disco After Dark con Night Drive nel proprio bagaglio, usciti più forti dalla sovraesposizione mediatica derivante dalla hyped-colonna sonora del film Drive.

Una lunga incubazione è quella Kill For Love,(pubblicato nuovamente per la Italians Do It Better fondata dal Kevin Shields della band, Johnny Jewel),sono stati necessari cinque travagliati anni, ma nonostante la copertina possa ricordare una versione aggiornata del masterpiece Loveless (chitarra in primo piano, distorsioni visive e sfumature color magenta) le similitudini con i My Bloody Valentine finiscono qui.

L’impatto iniziale stordisce: metti play, parte diretto il famossissimo giro di chitarra di Hey Hey, My My (Into the Black) di Neil Young e ti viene il dubbio di aver mescolato per sbaglio la tua collezione di vinili. Poi attaccano i giri di basso jewlsiani e li ti tranquillizzi allora, e ti lasci cullare dalle sublimi armonie del brano, rivisitate in versione slow-dream. Dalla seconda traccia in poi troviamo i veri Chromatics, quelli che amano giocare con il synth-pop con innesti dream pop. La title-track mette in evidenza alcune peculiarità che ormai fanno parte del dna della band: il synth-effect stridulo (che ritroviamo modificato anche in Lady e At Your Door), la chitarra di scuola The Jesus & Mary Chain, il beat rigidamente eighties e un grande amore per la melodia.

Non sono però i riferimenti o il concentrato di gusto retromaniaco a rendere Kill For Love un disco magistrale, prodotto, suonato e masterizzato a regola d’arte.

Etichetta: Italians do it better

Chi ha visto Drive non farà fatica a ritrovare nella musica contenuta in Kill For Love quella sensazione di essere alla guida della propria auto in una solitaria notte metropolitana, circondati da un buio scalfito solamente da sporadici abbagli prodotti da semafori, luci al neon e riflessi dai contorni indefiniti.

La triade d’overture — Into The Black, Kill For Love e Back From the Grave — alza da solo l’asticella fissata con l’opera precedente, ma contemporaneamente risulta ingannevole sulle effettive velleità del disco: Kill For Love è molto di più di una compilation di ipotetici singoli, arrivando alla sesta traccia in cui la band manda all’aria le velleità pop e si tuffa prima negli otto minuti in auto-tune (presente anche in Running From The Sun) di These Streets Will Never Look the Same e poi nei sette minuti cinematico-ambient-strumentali di Broken Mirrors, due passaggi che fanno presagire che l’alba è lontana — Running From The Sun — e che la nostra auto ci farà compagnia ancora a lungo.

In Birds Of Paradise, la cantante Ruth Radelet, ripetendo lo slogan “Running From The Sun”, conferisce quel tocco eighties che ci piace tanto, prima che le prime luci del mattino inizino a farsi largo (There’s a Light Out On the Horizon). A questo punto siamo di fronte ad un bivio, tornare a casa o scappare dal sole per l’eternità. I Chromatics scelgono la seconda, escono dai tracciati metropolitani, si dirigono verso il fiume (The River), dove soccombono, in una apoteosi cine-romantica, annegando intrappolati (il quarto d’ora di No Escape) all’interno dell’auto.

Kill For Love è longevo quanto un viaggio, un valore aggiunto, necessario per fare immergere completamente l’ascoltatore nel trip audio-visivo che i Chromatics hanno messo in scena con tanta fatica e cura per i dettagli.

Ci sono quelle cose che nella vita capitano per caso, che siano un bacio, che sia un disco: è il come arrivano che ti cambia la vita.

Così come le cose che non cerchi, tutto ciò che è inaspettato è per natura imprevedibile anche nel suo proseguo, una relazione che ti lancia in un trip acido a un passo tra la vita e la morte.é l’esperienza che ti lascia l’ascolto di Kill For Love dei Chromatics.

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