Kono Bairei, One Hundred Kinds of Chrysanthemum, 1891–1896

5/7/5

Marco Caprin ci racconta l’Haiku

Collettivo Zero
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3 min readDec 23, 2016

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silenzio -

graffia la pietra

un canto di cicale

(Matsuo Basho)

Che cos’è l’haiku?

L’haiku è uno stile poetico giapponese nato nel XVII secolo e caratterizzato da componimenti di 3 versi formati in tutto da 17 more (quelle che noi definiremmo impropriamente sillabe), riunite nello schema 5–7–5. Ciò che ha fatto apprezzare questo stile al di fuori del Giappone è senza dubbio l’immediatezza, l’obbiettività delle sue figure che per l’appunto sono definite “fotografiche”. L’haiku è infatti la poesia d’immagini per eccellenza, non a caso la potremmo collegare alla tradizione e all’attenzione per la fotografia che è tipica del popolo giapponese, dalle stampe (xilografie) alle moderne macchinette fotografiche digitali. Il tema nevralgico della poesia giapponese è appunto la corsa contro il tempo, il desiderio di poterlo fissare in modo etereo ed estraneo alle opinioni umane, le quali seguono i sentimenti e le mode. Il passare delle stagioni è l’esempio più lampante, più primitivo, di questo scorrere inesorabile che si manifesta nei silenziosi e microscopici meccanismi che si ripetono in natura. Ma l’haiku è molto di più del panismo occidentale di autori come Wordsworth per la poesia inglese, Henry Thoreau per la prosa americana e D’Annunzio per la nostra poesia. Nemmeno l’ermetismo, da un punto di vista metrico, va confuso con la brevità dei componimenti giapponesi, anzi è proprio la prima lettura quella che fissa il concetto che l’autore vuole esprimere.

L’eclissi dell’autore è ciò che mi ha spinto a scrivere haiku.

Katsushika Hokusai, Cascate Amida nella remota regione lungo la strada di Kisokaidô 1832

La poesia, soprattutto nella storia italiana, è stata così spesso al centro di discussioni da risultarne snaturata, mascherata dai perfezionismi, dai tanto acclamati labor limae che sono diventati simboli della nostra letteratura nel mondo. Nella mia personale esperienza ho sentito il bisogno di non essere giudicato, in quanto l’arte esprime qualcosa di universale, che va oltre l’esperienza del singolo autore. Mi sono quindi accostato alla poesia haiku poiché che il poeta non è quasi mai presente all’interno dei suoi componimenti, preferisce infatti descrivere immagini naturali che, nella loro essenzialità, sappiano restituire appieno il suo stato d’animo. Al giorno d’oggi, un’immediatezza di questo genere viene spesso intesa come un impoverimento, un’ennesima rivoluzione popolare nell’arte, un “andare incontro” ad un lettore meno colto e meno attento. Si può invece interpretare come un tentativo di fare chiarezza, di farci capire dove stiamo andando, di porre una nuova attenzione alla poesia, senza i preconcetti e gli intellettualismi che affossano la sensibilità poetica (soprattutto italiana) in questo momento. Dunque l’haiku per me è solo un modello di riferimento per riuscire a scrivere nella nostra lingua qualcosa che abbia la stessa freschezza dei componimenti giapponesi. In Italia alcuni temi che hanno da sempre caratterizzato il genere poetico sono diventati dei tabù, primo fra tutti l’amore. Esso, a mio parere, è stato violentato dalla letteratura italiana, infatti i poeti contemporanei stanno molto attenti a parlarne senza cadere nella banalità. Si è creata questa sorta di malizia che irrigidisce subito colui che legge una poesia d’amore, è un meccanismo sottile e credo si verifichi tanto nei lettori più superficiali quanto in quelli più sensibili.

felci di nubi

si scostano — falce di

luna araba

(Marco Caprin)

Per Collettivo Zero: Marco Caprin

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