Immagine di copertina: ILARIA TREES MERIDIO

Blues Run The Game

Una riflessione su Jackson C. Frank

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L’oblio della musica è profondo, buio ed affollato da miti e mitomani. Qualche volta si può uscirne dopo decenni, facendosi largo tra le sfolgoranti luci di colleghi assai meno riluttanti alla vita da stella.

Abbiamo da poco affrontato la tragicomica vicenda riguardante l’assegnazione del premio Nobel per la letteratura a Robert A. Zimmerman (ai più noto come Bob Dylan), abbiamo da poco affrontato la dipartita di Leonard Cohen ed abbiamo da poco affrontato-passatemi il termine-l’ultimo disco di Paul Simon. Tre dei nomi più appariscenti per chi ama i folksingers. Noti a tutti ed immediatamente riconducibili ad uno stile, ben collocati nell’universo della musica d’autore. Storie lunghe.

Un loro diretto collega, uno in particolare, ha raccontato la propria vita con leggerezza, pesantezza, splendore, ombra e con non meno talento, ma con un finale diverso.

Jackson Carey Frank nasce nel 1943 a Buffalo, NY. Una tragedia lo travolge all’età di undici anni: la caldaia della scuola elementare che frequenta, a Cheektowaga, espolde uccidendo i suoi diciotto compagni di calsse. Lui sopravvive rimanendo ustionato per l’intera parte destra del proprio corpo. Riceve in dono una chitarra e decide che nella vita avrebbe raccontato il mondo attorno e dentro di sé.

Jackson C. Frank durante un’esibizione in un club del Greenwich Village

Ma la ruota gira per tutti. Dopo dieci anni di stenti, Jackson incassa il risarcimento per le lesioni subite nell’esplosione: 100'000 dollari. Si imbarca per l’Inghilterra e lascia il mondo del giornalismo nel quale lavorava saltuariamente come collaboratore dopo aver frequentato il Gettysburg College. Una vita sfrenata, al limite, ma senza una vera meta. È il 1965, l’anno che segnerà la sua entrata nell’Olimpo dei secondi. Conosce Paul Simon, il quale decide di produrre il suo primo LP Blues Run The Game. È un capolavoro senza pari, registrato in sole tre ore nascosto dietro un grande pannello per mascherare la tensione. Ma se Inghilterra e Scozia riconoscono il talento di questo giovane folksinger in America non si muove una foglia. Uno ad uno i vari Bob Dylan, Tim Hardin, Joan Baez solcano l’oceano ed approdano nel Regno Unito mettendo in ombra tutto ciò che li circonda. Jackson ha sperperato il rimborso nel giro di due anni, ha abusato di se stesso fino al limite.

Decide di tornare in America: nel 1966 si trasferisce a Woodstock dove lavorerà per il Woodstock Week (piccolo giornale locale). Si allontana progressivamente dal mondo della musica e cade in un lenta depressione aggravata dalla morte del figlio. Rimane recluso in un istituto psichiatrico fino al 1972. Vive con i genitori a Buffalo fino al 1984 quando fa le valigie per New York sperando nell’aiuto del suo amico Paul Simon: viene rifiutato. Comincia una vita senza fissa dimora, divorato da una psiche debole ed inadatta ad una grande metropoli.

Sparisce dal mondo per vent’anni.

A metà degli anni ’90, un suo fan, Jim Abbott (più tardi diverrà il suo biografo con “The Clear Hard Light Of Genius” / Paperback, 2014), compra un disco di Al Stewart in un negozio di vinili usati. Su questo disco c’è una dedica a Jackson C. Frank.

Jackson C. Frank, anni ‘90

Jim parte alla volta della Grande Mela con l’obiettivo di ritrovarlo e dopo lunghe ricerche lo incontra in un istituto psichiatrico della periferia. Jackson ha perso un occhio per un proiettile vagante, è igrassato a dismisura ed è difficilmente in grado di intendere e di volere. Abbott decide di dedicare la sua vita all’artista che tanto aveva amato in giovinezza e trova per lui un posto in un ospizio a Woodstock. L’intento è quello di fargli registrare un altro disco per completare l’opera di una vita. Nel 1997 incide alcuni brani, ma la mente è offuscata e la mano trema.

Muore nel 1999 per un attacco di cuore.

A sua insaputa artisti come Nick Drake, Simon & Garfunkel, Marianne Faithfull avevano celebrato la sua memoria riproponendo i suoi pezzi, esaltandone la leggera sofferenza, al semplice mestizia.e

Di lui rimane una perla di luce opaca in un abisso profondo ed irraggiungibile, la certezza di un capolavoro senza tempo.

“Maybe tomorrow, honey, someplace down the line,
I’ll wake up older, so much older, mama,
wake up older and I’ll just stop all my trying.”

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