Come va il lavoro?

Parte 1: occupati, disoccupazione, ore lavorate… facciamo chiarezza!

Francesco Maione
Come ridurre l’entropia italiana?
8 min readMay 14, 2018

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Inizio una serie, che comprenderà tre o quattro puntate, sull’analisi del mercato del lavoro in Italia. La fonte principale è il rapporto annuale sul mercato del lavoro, pubblicato a dicembre 2017, con il contributo di Inps, Istat, Inail e del Ministero del Lavoro. Un mattone di 130 pagine che descrive approfonditamente i mutamenti nel mondo del lavoro italiano attraverso la crisi economica e la fase di ripresa. Ad esso cercherò di integrare, dove sono disponibili i dati, un confronto con altri paesi europei, per mettere nella giusta prospettiva la situazione italiana.

Il tema del lavoro è spesso citato come centrale nel dibattito politico da più o meno tutte le formazioni. Tuttavia, per poter produrre soluzioni adatte ai reali problemi delle persone nel mondo di oggi, bisogna aver ben presente la struttura della società e del mercato del lavoro attuale. Come cercherò di mostrare, solo negli ultimi dieci anni ci sono stati cambiamenti radicali, in Italia come in altri paesi, su questo fronte. Continuare a proporre ricette sicuramente di buon valore ideologico, ma adatte a tutelare figure lavorative ormai quasi “estinte” dal panorama nazionale, trascurando completamente le problematiche legate alle nuove forme di occupazione sviluppatesi negli ultimi anni, è un errore gravissimo che le forze politiche (soprattutto di sinistra) ed i sindacati stanno perpetrando da anni. Soprattutto ai danni delle giovani generazioni.

Questa prima parte, però, la voglio dedicare a sfatare qualche mito sui concetti di occupazione e disoccupazione ed ha mostrarne l’andamento negli ultimi dieci anni.

Che cos’è la percentuale di occupati? È il rapporto tra il numero di persone che hanno lavorato in un dato periodo e il totale della popolazione, in una determinata fascia di età (solitamente 15–69 anni). Di solito i periodi di osservazione sono settimanali, ed i dati su periodi più lunghi sono calcolati come media dei valori settimanali.
Che cos’è il tasso di disoccupazione? È il rapporto tra il numero di persone che non hanno lavorato in un dato periodo, ma sono attivamente alla ricerca di un lavoro, e la somma di occupati più disoccupati, nello stesso perido.

La somma del tasso di occupazione e disoccupazione, quindi, non fa 100%!
Esiste infatti una terza categoria di persone: gli inattivi, cioè coloro che non hanno un lavoro, e non ne stanno attivamente cercando uno. Il dato degli inattivi è più raramente citato, perché più difficile da interpretare in generale: possono essere studenti, pensionati, casalinghe, lavoratori in nero, persone che hanno solamente reddito da capitale, oppure sfiduciati che, pur desiderando un lavoro, hanno rinunciato a cercarlo. Spesso vengono identificati erroneamente gli inattivi con quest’ultima categoria, sicuramente interessante da studiare, ma molto difficile da riconoscere nei dati.

Come si sono mossi, quindi, questi indicatori, negli ultimi 10 anni, in Italia e negli altri paesi europei?

Partiamo dal tasso di occupazione:

Tasso di occupazione medio trimestrale, dati destagionalizzati. Fonte: Eurostat.

L’andamento dell’occupazione totale (20–64 anni) in Italia nella fase di crisi e ripresa è stato molto simile a quello dell’area Euro. La correlazione tra le due curve è del 84%. Dunque la crisi non ha avuto un impatto diverso sul nostro paese rispetto alla media europea, altri paesi (come l’esempio della Spagna) hanno avuto variazioni cicliche molto più consistenti. Il problema occupazionale italiano, a livello complessivo, è strutturale e di lungo periodo: già nel 2008, agli albori della crisi economica, avevamo un livello significativamente inferiore alle altre nazioni europee. Non possiamo quindi dare solamente la colpa alla crisi, ma dobbiamo andare a cercare molto più indietro le ragioni di questo deficit.
Interessante notare come la Germania non abbia affatto subito la crisi del debito sovrano del 2012–2013, ed abbia avuto un tasso di occupazione crescente da metà 2010 ad oggi. L’intera area Euro, e, in particolare, i paesi mediterranei, invece, hanno avuto un minimo agli inizi del 2013, da cui è cominciata una ripresa che ha ricondotto a valori simili al periodo pre-crisi.

Per capire veramente cosa è cambiato nell’occupazione attraverso queste trasformazioni, è necessario andare oltre ai valori medi (spesso fuorvianti), e guardare invece la sua distribuzione attraverso alcuni indicatori, come area geografica, fasce di età, sesso, tipo di attività, tipo di contratto, ecc. Di questo cercherò di occuparmi nelle prossime puntate.

Come spiegato prima, è utile dividere la popolazione tra occupati, disoccupati e inattivi. Il seguente grafico mostra l’andamento di questi tre indicatori per i paesi analizzati in precedenza:

Divisione della popolazione in occupati, disoccupati ed inattivi. Fonte: Eurostat.

Confrontando il punto finale e iniziale, si nota che in Italia (e anche nell’intera area Euro) nel terzo trimestre 2017 l’occupazione ha ripreso il valore iniziale, finita la fase ciclica negativa, mentre il numero di disoccupati è aumentato per un aumento strutturale della percentuale di popolazione attiva, iniziato in maniera significativa nel 2011 (sarà interessante approfondire la sua distribuzione per fasce di età). Viceversa, in Spagna la componente ciclica sull’occupazione ha avuto un peso dominante, rendendo invisibile l’effetto della progressiva diminuzione degli iniattivi. Infine in Germania si presenta uno scenario completamente diverso: non avendo avuto un peso significativo, come nel resto d’Europa, la crisi del debito sovrano del 2012–2013 (la Germania ha mantenuto una crescita del PIL positiva a partire dal 2010), la frazione di popolazione disoccupata è diminuita nel tempo, grazie al forte e constante aumento dell’occupazione. Anche in questo caso, la dinamica dell’occupazione è dominante rispetto a quella della percentuale di inattivi, che, come visto prima, ha avuto invece variazioni relativamente più significative in Italia.

Infine, è interessante guardare al tasso di disoccupazione (calcolato sulla popolazione attiva e non su quella totale, quindi assumerà valori diversi rispetto alla banda verde della figura precedente):

Tasso di disoccupazione sulla popolazione attiva, su tutte le fasce di età. Fonte: Eurostat

Osservando il tasso di disoccupazione, si può notare un comportamento molto differente dei diversi paesi analizzati, in particolare del caso italiano. La disoccupazione nell’area euro e, con una dimensione molto più rilevante, in Spagna, appare dominata da una componente ciclica, con un massimo nella prima metà del 2013, ed una ripresa successiva che, pur non recuperando ancora i livelli pre-2008, ha già ampiamente recuperato il livello precedente alla crisi del debito sovrano (inizio 2011). La fase di ripresa mostra una pendenza della curva significativamente negativa, cioè una elevata velocità della diminuzione della disoccupazione, che, continuando a questo ritmo, a breve ritornerà ad i livelli pre-crisi.
Viceversa, la Germania, come nel caso dell’occupazione, mostra di non aver per nulla subito la crisi del 2012–2013, con una costante diminuzione della disoccupazione dal picco di metà 2009 (periodo in cui, curiosamente, la disoccupazione tedesca era allo stesso livello di quella italiana).
Il caso dell’Italia è il più interessante: la disoccupazione cresce notevolmente a causa delle due crisi consecutive (come la media dell’area euro), ma la ripresa è invece molto più modesta. Il picco della disoccupazione non corrisponde a quello della crisi, ma l’aumento si prolunga nel tempo fino alla fine del 2014, per un anno e mezzo in più del resto d’Europa. Una prima analisi superficiale porterebbe a ipotizzare che ci sia stata, durante il periodo di massima crisi, una mancanza di politiche espansive (a causa dell’imperante ideologia di austerità), che ha prolungato l’agonia per i lavoratori italiani. Ovviamente una conclusione basata su fondamenti scientifici richiederebbe ben altre analisi di qualche paragrafo su un blog. Un miglioramento alla disoccupazione è arrivato solamente in conocomitanza della forte decontribuzione avviata nel 2015 insieme al Jobs Act (si parla di una ventina di miliardi di euro solo per i contratti iniziati nel 2015). Una prova che l’effetto positivo sulla disoccupazione sia stato causato solamente dall’incremento di spesa pubblica (una-tantum) e non dalla de-regolamentazione è il fatto che la ripresa si sia subito interrotta, con un aumento della disoccupazione nel 2016, a cui hanno contribuito la riduzione della decontribuzione e della popolazione inattiva (probabilmnete grazie all’aumento della fiducia trasmesso dal miglioramento delle condizioni economiche nell’anno precedente). Infine, nel 2017 sembra essere finalmente cominciato anche da noi una vera ripresa ciclica, tuttavia di impatto molto modesto rispetto al resto d’Europa (basta confrontare la pendenza delle curve nel periodo più recente). Ai ritmi attuali, un ritorno alle condizioni pre-2008 appare impossibile.

Questa ultima considerazione dovrebbe rimanere ben scolpita nella mente di tutti: anche se il totale degli occupati ha avuto una ripresa, sono notevolmente aumentate le persone che vorrebbero un lavoro (per necessità), ma non riescono a trovarlo. E non possiamo aspettarci che la disoccupazione diminuisca solo grazie alla nostra (debole) crescita economica. Servono interventi significativi e mirati, se si vuole aspirare a dare una risposta ai milioni di persone che cercano attivamente lavoro senza successo.

Ultimo grafico per indagare un aspetto interessante e spesso trascurato, a cui il report INPS dedica numerose pagine: il numero di ore lavorate.

Variazioni percentuali tendenziali (rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente) del totale monte ore lavorate, scorporate in variazione delle ore lavorate per lavoratore e del numero di posizioni lavorative. Fonte: Rapporto annuale sul mercato del lavoro. L’andamento è diverso dal grafico dell’occupazione perché qui vengono studiate le posizioni lavorative disponibili nelle industrie. Sono indagati quindi solamente i lavoratori dipendenti, e il rapporto tra posizioni lavorative ed occupati non è sempre 1:1 (per esempio, più persone possono occupare la stessa posizione se hanno contratti più brevi di tre mesi, o una persona può occupare meno di una posizione se lavora part-time).

Il rapporto INPS/Istat dimostra che il monte ore lavorate è significativamente correlato con l’andamento complessivo dell’economia, mentre il tasso di occupazione non lo è (spesso ha un ritardo). Questa evidenza è chiara nel periodo di ripresa in Italia: a partire da inizio 2014, il PIL italiano ha ripreso a crescere, e con esso il totale delle ore lavorate. Tuttavia, questa crescita non ha portato creazione di nuovi posti di lavore, ma solamente uno sfruttamento più intenso di coloro che già erano occupati. L’incremento della domanda di lavoro inizia solamente dal secondo trimestre 2015, in concomitanza con gli incentivi. È difficile a posteriori determinare se il calo della disoccupazione iniziato nel 2015 sia da attribuirsi principalmente ai contributi dello Stato o al raggiungimento del pieno utilizzo della forza lavoro già impiegata. Nel rapporto INPS/Istat, a questo proposito, è citata una ricerca (del 2016) a cui il 38% degli imprenditori nella manifattura e il 46% nei servizi hanno dichiarato di aver assunto perché avevano raggiunto il pieno utilizzo degli occupati presenti, e solo il 12.6% nella manifattura e il 10.5% nei servizi ha dichiarato di averlo fatto per sfruttare la decontribuzione.
L’ultima, preoccupante osservazione che si può trarre dal grafico riportato sopra è che nel 2017 la crescita dei posti di lavoro ha coinciso con una leggera diminuzione delle ore lavorate per lavoratore. Sarà interessante vedere come questa tendenza proseguirà nel 2018, per capire se si tratta di un cambiamento strutturale delle tipologie di contratto di lavoro, o di un primo segnale che, per lo meno alcuni settori, hanno già coperto il proprio fabbisogno di ore lavorate, per cui dovremmo attenderci un’interruzione della ripresa ciclica.

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Francesco Maione
Come ridurre l’entropia italiana?

Ph.D. in Fisica teorica, venduto al lato oscuro del rischio di credito. Mi interesso di politica, scienza, economia, giochi, software open source.