Anatomia di uno scandalo (già visto)

Chiara Artioli
Come ti spaccio le serie TV
3 min readMay 11, 2022

Prendete un sexgate da manuale come quello tra Bill Clinton e la stagista Monica Lewinsky, unitelo a serie tv come Scandal o House of Cards, mescolate il tutto con una massiccia dose di aplomb inglese ed ecco a voi Anatomia di uno scandalo.

Niente di nuovo sotto il cielo delle serie TV, dunque. Un cliché narrativo che si ripete, e questa volta in salsa british. Ma quando una ricetta funziona perché stravolgere tutto? Quando conosci bene i punti deboli della natura umana, solleticarli diventa un gioco da ragazzi. E noi (volenti o nolenti) ci caschiamo. Sempre.

Lo sanno bene gli autori David E. Kelley e Melissa James Gibson, creatori di successi internazionali come Big Little Lies, The Undoing (Kelley) e House of Cards (Gibson), che hanno saputo riadattare e trasformare l’omonimo romanzo Sarah Vaughan in un mega trip psicologico.

Così quando scopriamo, già nella prima puntata, che la povera Sophie Whitehouse, moglie del parlamentare conservatore britannico James Whitehouse, è cornuta (il marito le confessa una tresca di cinque mesi con una sua collaboratrice, tale Olivia Lytton) e mazziata (ben presto il marito viene accusato di stupro dalla stessa Lytton) la frittata è fatta: le nostre dita fremono già per cliccare sul tastino “prossimo episodio”.

Perché andiamo…scagli la prima pietra chi non ha mai goduto a vedere i potenti messi alla gogna e socialmente distrutti.

La verità essenziale, darling

«Non vi è alcun dubbio che il rapporto sessuale sia avvenuto. Quel che mettiamo in dubbio è la natura dell’atto: si è trattato di un atto di stupro a cui la signorina Lytton non ha acconsentito o è stato un atto di passione? Sì o no? È proprio a questo che si riduce il consenso.»

Ed è proprio attorno al tema del consenso, del confine labile tra verità oggettiva e la sua interpretazione, che ruotano attorno i sei episodi di questa stagione.

Dal mio punto di vista, Anatomia di uno scandalo fa molto di più che condannare i privilegi del potere (soprattutto quelli di cui gode una certa classe sociale nata e cresciuta nella ricchezza e nella convinzione che tutto gli sia dovuto). Va oltre il tema del #MeToo, degli abusi sessuali, del ruolo della donna (assistente o moglie, ma pur sempre accessorio del maschio Alfa di turno).

Il concetto di “consenso” diventa una porta spalancata su un altro tema ben più importante: la verità. Crediamo sempre che bastino i fatti a determinare cosa sia vero o falso, ma fin dalla prima puntata veniamo messi di fronte a due narrazioni diverse dello stesso fatto. Uno stupro.

Insieme ai protagonisti riviviamo ossessivamente ogni dettaglio, ogni ricordo, ogni frase o gesto che possa confermarci la nostra verità. A Sophie la sicurezza di aver sposato un brav’uomo, a James di aver condiviso un momento di intensa passione, a Olivia e Kate Woocroft (legale di Olivia) la certezza di avere giustizia per una violenza subita.

Su un punto sono d’accordo con chi ha criticato la serie: alla fine ti lascia con l’amaro in bocca. Iniziata con le migliori premesse è finita in modo monco. Potremmo dire che il buon vecchio “è bravo ma non si applica”, qui calza a pennello.

Ma come insegna James, l’importante è dire «the core thruth», la verità essenziale.

Se non l’avete ancora vista vale la pena darle una possibilità. Non sarà il capolavoro dell’anno ma nel complesso è un buon espediente per staccare il cervello e illudersi che la nostra vita, in fin dei conti, fa un po’ meno schifo di quella di Sophie Whitehouse.

Trailer ufficiale di Anatomia di uno scandalo

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