Bang Back to the 80s, baby

Chiara Artioli
Come ti spaccio le serie TV
6 min readJun 5, 2022

Cosa saremmo disposti a fare per amore?

Bella domanda. Peccato che nel momento in cui ci troviamo davanti a questo dilemma siamo già fottuti. Qualunque scelta faremo un po’ della nostra anima si sporcherà per sempre. Non saremo più quelli di prima.

Alice Giammatteo lo capisce nell’istante in cui decide di aiutare Santo, quel padre creduto morto, nella speranza di avere in cambio quella quotidianità, fatta di gesti e momenti tra padre-figlia, che la malavita le ha negato per dieci anni. Da quel momento inizia la sua discesa agli inferi, che in realtà ha più il sapore della resurrezione.

Saranno state le luci bluastre e violacee o le canzoni anni ’80 (improvvisamente tornate in auge anche grazie alla quarta stagione di Stranger Things), o forse la malinconia suscitata dalle Big Babol, con le quali da bambina mi slogavo la mascella a forza di gonfiare quelle appiccicose bolle fucsia. Sarà stato tutto questo e molto altro, fatto sta che ho divorato i dieci di episodi di Bang Bang Baby con la stessa dedizione con cui finisco un pacchetto di tortillas piccanti. Nonostante l’iniziale scetticismo dovuto a un trailer un po’ kitsch (e lo dice una che ama il kitsch) è bastata la prima puntata a farmi ricredere.

In amore e in guerra tutto è lecito

Alice Giammatteo (una fantasmagorica Arianna Becheroni) è la classica sedicenne un po’ sfigata, che vive insieme alla mamma femminista e operaia in una periferia del nord Italia, vicino a Milano. A scuola subisce le prese in giro dei compagni insieme al suo migliore amico Jimbo, anche lui costantemente bullizzato per la sua omosessualità.

Il padre? Ucciso dalla mafia quando Alice aveva sei anni. O almeno così le ha sempre detto sua madre, visto che lei ricorda poco di quel tragico avvenimento. Invece, come scoprirà Alice nella prima puntata, suo padre Santo (Adriano Giannini) è vivo e vegeto, in carcere e bisognoso del suo aiuto per uscire dai casini nei quali si è cacciato.

La nostra piccola protagonista scopre così di essere in realtà una Barone: un potente clan affiliato all’ndrangheta ai vertici dello spaccio di eroina nella Milano degli anni ’80. Quel genere di famiglia che è meglio non fare incazzare, insomma.

L’evento scatenante è la scomparsa di ‘U Damerino (Salvatore Ferraù), un politico della famiglia rivale ai Barone che avrebbe dovuto portare a termine l’affare Malpensa. Una scomparsa che suona subito sospetta e che manda in cortocircuito i progetti delle due famiglie calabresi. Giuseppina (Denise Capezza) moglie di Salvatore Ferraù e Santo ben presto diventano i principali sospettati. Da questo momento, puntata dopo puntata, Alice si ritrova a dover fare i conti con l’affetto per suo padre, il desiderio di salvarlo da morte certa e il fascino suscitato da quel mondo fatto di sangue, violenza e onore.

Il paese delle meraviglie

Durante l’arco dei dieci episodi vediamo il mondo, nel quale Alice è cresciuta, sgretolarsi poco a poco sotto il peso delle sfide e delle scelte a cui è costretta a ricorrere per salvare anche se stessa, oltre a Santo. Mentre la vediamo sparare, minacciare o dare ordini con la stessa arroganza e disinvoltura di un boss navigato, Alice si trasforma. La principessa di papà perde così brandelli di innocenza per strada, abbracciando quel lato oscuro che le ribolle nelle vene. Perché quando sei una ragazzina con la pistola e incontri un uomo disarmato, l’uomo disarmato è un uomo morto. E questo è un potere che solo il mondo del crimine riesce a dare.

Attorno ad Alice si muove davvero il Paese delle Meraviglie, popolato da un caleidoscopio di personaggi diversi e unici: a partire proprio da Santo Barone, il padre donnaiolo e un po’ furfante che con lo stesso sorriso sornione dello Stregatto incanta la nostra Alice e la convince a sporcarsi le mani per salvarlo; alla Regina di Cuori (aka nonna Lina, interpretata da Dora Romano) che sogna di essere la prima donna capofamiglia e entrare nella “Santa” ed è disposta a tutto pur di ottenere quello che vuole. Compreso “tagliare la testa” al figlio Santo e se necessario anche alla nipotina Alice.

Meravigliosi in tutta la loro tragica imperfezione i cugini Ferraù, Nereo (Antonio Gerardi) e Assunta (Giorgia Arena) che secondo me assomigliano rispettivamente al Cappellaio Matto e la Lepre Marzolina. Il primo, un boy scout di professione, fan sfegatato di George Michael e un po’ tocco, sfrutta i piccoli lupetti per il traffico di eroina. La seconda è una cartomante un po’ maga che con il suo legnetto di San Giuseppe legge il futuro a tutto il paese. Insieme partono alla volta di Milano per vendicare la morte del fratello/cugino Salvatore diventando i principali antagonisti di Alice, anche se un po’ mediocri come cattivi. Perché lavare il sangue con il sangue è cosa buona e giusta, ma Milano ha anche un sacco di altre attrazioni tra cui scegliere. Attrazioni tra le quali Nereo e Assunta si perderanno, per un po’ liberi di essere loro stessi, finalmente lontani dallo sguardo giudicante dei compaesani.

Last but not least, Gabriella (Lucia Mascino). La mamma di Alice incarna perfettamente il personaggio della Regina Bianca: dolce e un po’ svampita. Consapevole della brutalità a cui la famiglia Barone è solita ricorrere, cercherà più volte di riportare sua figlia sulla retta via, inciampando tra sensi di colpa e uno sconfinato affetto materno.

L’eccezione

Ideata da Andrea Di Stefano (regista di Escobar), diretta da Michele Alhaique, Giuseppe Bonito e Margherita Ferri, e ispirata al romanzo autobiografico di Marisa Merico L’intoccabile, la serie di casa Amazon è un mix di crime e teen drama, che si intrecciano alla perfezione creando un vero capolavoro.

Come canta Madame Bang Bang Baby rappresenta una vera Eccezione nel panorama televisivo di quest’anno. Un prodotto di altissima qualità in ogni sua forma: dal cast galattico alla fotografia pop e stroboscopica che rende tutto un po’ psichedelico, fino ai riferimenti alla cultura anni’80 (come gli M&Ms, le Big Babol, le sitcom americane, i cartoni giapponesi, la soap opera Dinasty e le iconiche Charlie’s Angels) alla quale la serie si ispira fedelmente.

Ma il vero fiore all’occhiello è la sceneggiatura: capace di dare spessore alle riflessioni di Alice conservando un linguaggio tipicamente adolescenziale, e a costruire una narrazione degli eventi e dei personaggi mai banale.

Perché guardare Bang Bang Baby

Perché è la dimostrazione che anche la serialità italiana può competere con quella americana, creando un prodotto di altissima qualità senza scimmiottarla.

Perché tutti gli interpreti, Arianna in primis, sono superlativi e non puoi non amarli.

Perché ci ricorda che distinguere bene e male è facile solo quando siamo piccoli, poi crescendo capiamo che in realtà sono due facce della stessa medaglia. Solo che quella medaglia, siamo noi.

«Da bambina non vedi l’ora di diventare grande, di trasformarti nella versione migliore di te stessa. Tipo le ragazzine dei cartoni animati. Ma quando cresci ti accorgi che non è vero. Devi fare dei sacrifici, devi sporcarti per ottenere quello che vuoi. Nella vita, quella vera, non ci sono il bianco o il nero, il bene o il male. E i cattivi, quando nessuno li vede, a volte stanno di merda anche loro. Invece i buoni, magari finisce che diventano loro i veri cattivi. Perché il magico mondo dei cartoni, quello che ti faceva sognare da bambina non esiste.»

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Chiara Artioli
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