Brexit: la versione di Boris

Alberto Rizzi
Comitato Ventotene
Published in
4 min readJul 31, 2019

La scorsa settimana Boris Johnson, ex sindaco di Londra e per pochi mesi anche Ministro degli Esteri di Sua Maestà, è divenuto Primo Ministro del Regno Unito. Come da pronostico, l’eccentrico BoJo ha sbaragliato la concorrenza per la leadership del Partito Conservatore (66% dei voti, quasi il doppio di quelli di Hunt) e si è insediato al numero 10 di Downing Street, un sogno coltivato almeno dall’ultimo mandato nella City.

Un obiettivo raggiunto, ma anche una sfida che si apre. Governare il Regno Unito in questo momento non è certo il lavoro più invidabile al mondo e la ragione è sempre la stessa, Brexit. La questione dell’uscita dall’Unione Europea si impone costantemente nella vita politica britannica ed è l’elemento stesso che ha determinato la tragicomica parabola politica di Theresa May (e molto probabilmente segnerà quella di BoJo). L’ormai ex Primo Ministro si era infatti trasformata da Remainer convinta a sostenitrice della Brexit per sostituirsi a Cameron, screditato dopo il mal gestito referendum. La Brexit si è però presto rivelata la maledizione della May, incapace di superare le forti divergenze all’interno del suo esecutivo e di far approvare l’accordo di recesso a Westminster. Nonostante i termini piuttosto vantaggiosi per il Regno Unito infatti, il testo è stato bocciato ben tre volte e Theresa May, che su quel testo aveva ormai imperniato la sua esperienza di governo, è stata costretta alle dimissioni.

L’insediamento di Boris Johnson a Downing Street — CNN.

Nuovo leader, altra storia? In realtà no, perchè la situazione di fondo rimane la stessa. Sono passati ormai diversi anni dal referendum, ma le scelte per Londra sono sempre le stesse: uscire con un accordo, no-deal o restare. L’ultima la si può tendenzialmente escludere, dato che BoJo è stato fin dall’inizio uno dei sostenitori più vocali del Leave. Il problema non è però se uscire, quanto come uscire. Poche ore dopo l’insediamento a Downing Street di Johnson, la Commissione UE ha ribadito per l’ennesima volta che il testo dell’accordo è quello e che non sono previste modifiche. Dall’altra parte invece, il Primo Ministro britannico ha intensificato le preparazioni in caso di no-deal, dichiarando come si tratti di un’eventualità sempre più probabile.

La strategia di Boris Johnson sembra quindi quella di minacciare un’uscita senza accordo per vedere fino a che punto l’Unione Europea sia disposta a rischiare. In una sorta di grottesco gioco del pollo, BoJo spera che sia l’UE a scansarsi per prima evitando la collisione. Londra punta a spingere in direzione del no-deal, nella speranza che Bruxelles, intimorita dalle conseguenze di un’uscita senza accordo, accetti qualche modifica al testo concordato in precedenza. Un minimo margine esiste, quantomeno perchè da parte europea si è sempre cercato di evitare una situazione di no-deal, preferendo un’estensione negoziale alla rescissione improvvisa di tutti i legami. Non è poi un mistero come Berlino, preoccupata dal rallentamento dell’economia globale e dal suo basso livello di crescita, veda con timore un’uscita di Londra senza accordo e preferirebbe evitarla.

Quello che BoJo però si dimentica è che in questo gioco del pollo lui guida un motorino e gli altri 27 un furgone: per quanto gli effetti di un’uscita senza accordo siano forti in molti dei principali membri dell’Unione, quelli per il Regno Unito saranno indiscutibilmente assai peggiori. La sterlina debole non ha in passato stimolato particolarmente l’export britannico, che continua ad accumulare deficit, ed ha sostanzialmente impattato gli standard di vita in UK. Senza accordi commerciali è assai arduo prevedere un futuro di crescita ed in caso di no-deal Londra sarebbe costretta ad accettare qualunque termine imposto dagli USA pur di avere accesso a quel mercato. Washington vede poi con preoccupazione la questione irlandese. Il ritorno ad una divisione ed un confine presidiato in Irlanda, conseguenze automatiche del no-deal, sarebbe difficile da digerire per il Congresso americano, cui spetta approvare ogni futuro accordo commerciale. Se si dovesse quindi arrivare allo scontro frontale Londra-Bruxelles, a farne le spese sarebbe soprattutto lo UK.

Le conseguenze di un’uscita senza accordo per UK e membri UE — Statista.

Oltre al fatto che Londra dovrebbe subire pesantissime conseguenze da un’uscita senza accordo, va considerato come per l’UE non sia semplice rivedere in parti sostanziali l’accordo di uscita. Non solo il quadro generale è già piuttosto favorevole a Londra (almeno considerando la rispettiva forza negoziale) e renderlo ancora più generoso sarebbe inaccettabile per molti stati membri, ma anche la procedura sarebbe assai lunga e complessa. La posizione comune sulla Brexit è infatti già essa stessa un compromesso tra i Paesi più intransigenti (Francia in primis) e più accomodanti (Germania, ma anche Italia) e nuove negoziazioni con Londra richiederebbero in contemporanea nuove negoziazioni tra i 27. Si riaprirebbe un capitolo che tutti speravano di tenere chiuso, specialmente all’insediamento della nuova Commissione. Dal canto suo, Ursula Von der Leyen si è limitata a lasciar intendere la possibilità di estendere la scadenza (ora prevista per il 31 di ottobre), ma nient’altro. Vi è infine la questione politica: riaprire i negoziati e tornare indietro rispetto al testo già deciso rappresenterebbe un segnale di debolezza e indecisione che l’UE non può assolutamente permettersi in questo momento e l’accelerata sugli accordi commerciali con varie realtà risponde in parte proprio alla paura di un no-deal. Se commerciare col Regno Unito diventerà impossibile, l’Unione si è dotata nel frattempo di numerosi partner alternativi, segnalando a Londra che non è insostituibile.

La scommessa di Johnson sembra dunque assai ardua e, per quanto possa portare ad una vincita enorme, i rischi sono così alti da rendere difficile che il gioco valga la candela. Anche perchè, come in ogni gioco del pollo, se si sceglie troppo tardi di scansarsi l’impatto diventa inevitabile.

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Alberto Rizzi
Comitato Ventotene

International Relations, Wars, European and Middle Eastern Politics.