L’accordo oltre Trump, le prospettive per UE ed Iran
L’annuncio della Casa Bianca di martedì 8 maggio scorso non è giunto inatteso, molti analisti erano concordi nel prevederlo e già diverse indiscrezioni erano trapelate, ma la notizia resta comunque di impatto: gli USA usciranno dall’accordo sul nucleare iraniano siglato nel 2015 da Barack Obama. Più precisamente, Trump ha dichiarato che non verranno tolte le sanzioni americane verso Tehran la cui eliminazione era invece prevista dai termini dell’accordo e questo pone di fatto gli USA in violazione dell’trattato e della principale regola del diritto internazionale, pacta sunt servanda, ovvero il principio secondo cui gli accordi vanno rispettati salvo mutazioni sostanziali della situazione. Mutazioni che però ad oggi non ci sono state perché l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica ha confermato in questi stessi giorni come l’Iran stia rispettando gli impegni sottoscritti. Oltre alle presunte violazioni iraniane, Trump ha motivato la scelta sostenendo che l’accordo sia stato dannoso per gli interessi USA, per la sicurezza nella regione e per il fatto che non serva a contenere varie attività di Tehran in Siria, Libano, Iraq e Yemen. Si tratta effettivamente di comportamenti pericolosi e allarmanti per Israele e Arabia Saudita, i due principali alleati USA in Medio Oriente, ma esse non sono materia del JCPOA il quale, essendo un trattato sul nucleare, ha un solo scopo: frenare la corsa di Tehran verso la bomba atomica ed in questo stava riuscendo piuttosto bene, come ribadito dal Capo di Stato Maggiore delle IDF. In pratica questo accordo era nato per comprare tempo, tempo in cui ingaggiare l’Iran in un dialogo regionale dove raggiungere dei compromessi sugli importanti temi per la sicurezza. Il JCPOA va quindi visto non come la soluzione alla crisi in Medio Oriente, ma come la base su cui costruirne una.
Se la scelta di Trump ha ottenuto il plauso di Israele ed Arabia Saudita (quest’ultima impegnata da anni con Tehran in uno scontro per il Golfo), lo stesso non si può certo dire dell’Europa. L’Alto Rappresentante per la politica estera Federica Mogherini si è detta molto preoccupata dalla decisione americana ed ha fermamente sostenuto che per l’UE l’accordo è ancora valido e che finché l’Iran lo rispetterà l’Europa onorerà gli impegni presi. Lo stesso messaggio è stato confermato dai leader di Francia, Regno Unito e Germania e dall’Italia con un tweet di Gentiloni. Per l’Europa l’accordo sul nucleare iraniano non rappresenta infatti soltanto una chiave per la sicurezza in Medio Oriente, ma anche il più grande successo diplomatico dell’Unione Europea. Per un’UE che troppe volte fatica a trovare spazio in politica estera anche a causa delle divisioni interne, il JCPOA aveva il grande merito di aver presentato un’Europa coesa sulla sua visione e finalmente sullo stesso piano dei grandi attori internazionali. A ciò si aggiunge l’interesse economico dell’Europa verso Tehran: l’UE è storicamente legata alla Repubblica Islamica da importanti rapporti commerciali ed è decisa a recuperare il terreno perduto a favore di Cina, Russia ed Emirati Arabi Uniti negli anni delle sanzioni. Se in termini assoluti non si tratta di scambi di enorme entità il boom che ha seguito l’entrata in vigore del JCPOA sembra ben promettere per il futuro. Proprio per questo e per la necessità dell’Unione di costruire una sua identità all’estero anche in opposizione alle scelte scellerate dell’amministrazione USA (basta pensare alle varie dichiarazioni di Macron e Merkel su clima o dazi) l’Europa deve provare in ogni modo a mantenere in vita l’accordo. Le difficoltà sono però duplici.
Le prime riguardano le reazioni di Tehran. Se Rouhani ha sostenuto la sua volontà di rispettare l’accordo a prescindere dalle scelte USA ed ha subito dato mandato al Ministro degli Esteri Zarif di incontrarsi con i partner europei per elaborare il nuovo corso, non tutte le voci in Iran sono concordi sul restare nel quadro del JCPOA. L’esecutivo non è mai stato così debole e si trova sotto il fuoco incrociato di chi lo accusa dalle piazze di non aver consegnato i risultati promessi (crescita e occupazione principalmente) e di chi da sempre lo considera troppo morbido verso l’Occidente (per i più intransigenti la bomba è indispensabile per la sopravvivenza stessa dell’Iran), troppo disposto a compromessi e decisamente troppo libero rispetto ai dettami della Guida Suprema. Proprio Khamenei, da sempre contrario al JCPOA, ha infatti attaccato pesantemente Trump e ribadito che no ha fiducia in lui né nei partner europei. A ciò si aggiungo le varie dimostrazioni di risentimento verso gli Stati Uniti, come il rogo di una bandiera americana nel Majlis (Parlamento iraniano) da parte dei conservatori radicali e le parole di Larjiani, uno dei possibili successori di Khamenei, che ha minacciato il ritorno all’opzione nucleare se saltasse definitivamente l’accordo. Gesti e dichiarazioni che mostrano come la mossa di Trump abbia fatto saltare la fiducia degli Iraniani verso gli interlocutori, elemento base della costruzione di accordi internazionali, in modo da rendere molto arduo qualunque nuovo dialogo ed azzoppare i negoziati anche senza gli USA. Allo stesso modo però dimostrano come in Iran all’accordo fossero in molti a tenere, anche solo perchè forniva tempo per valutare le varie opzioni. La scommessa di Trump, assumendo che dietro alla decisione ci sia davvero un piano B, prevede che con un ritorno pesante delle sanzioni il regime di Teheran sprofondi nuovamente in ĺiplomatiche e si riesca ad ottenere la caduta della Repubblica Islamica. Speranze ottimistiche a dir poco, sia perché l’Iran di oggi non è più debole ed isolato come una decina di anni fa, sia perché l’esaurimento quasi spontaneo delle proteste di inizio anno dimostra che non c’è oggi alcuna opposizione forte ed unita al modello politico iraniano. Più facile quindi che un inasprimento dell’atteggiamento americano porti al tracollo dei pragmatici a Tehran e ad un ritorno delle fazioni più oltranziste al potere. Inutile dire quanto sarebbe pericoloso un simile scenario.
L’altro problema per l’Europa sono proprio le sanzioni. Se Trump decidesse di punire anche tutte le aziende europee che fanno affari con l’Iran, in particolare negandogli l’accesso al mercato USA la situazione sarebbe davvero grave. Costrette alla scelta tra l’enorme commercio con l’America e la limitata (seppur in espansione) economia iraniana la decisione sarebbe ovvia: le compagnie europee sarebbero forzate, in mancanza di adeguate contromisure, ad accettare il male minore e chiudere la porta a Tehran. Questo farebbe scivolare Teheran sempre più nell’abbraccio soffocante di Russia, Cina e India, che resterebbero i suoi ultimi clienti, danneggiando gravemente gli interessi economici e politici dell’UE nella regione (ma in prospettiva anche quelli degli USA), senza contare i risvolti a quel punto inevitabili nella politica interna iraniana. Risulta quindi indispensabile seguire la strada tracciata dalla Francia nei giorni scorsi: mantenere in vita l’accordo, rifiutare l’extraterritorialità della sanzioni USA e prevedere dei meccanismi per permettere alle attività economiche tra Iran ed Europa di continuare. Se Obama tra Accordo di Parigi sul clima, JCPOA e TTIP aveva compreso come la chiave per arrestare il declino economico e politico degli USA e contrastare la crescita di altri attori fosse una partnership maggiore con l’Europa, magari concedendo spazio all’UE interno dell’alleanza per non perderne però all’esterno sul piano globale, Trump sembra avere una visione opposta: insistere sulla primacy americana, rifiutare il multilateralismo e ribadire come gli USA vengano prima, anche a costo di tagliare qualche ponte con gli alleati storici europei (America First, del resto). Naturalmente uno strappo netto con quello che resta e resterà il principale alleato e partner europeo in nome di uno stato come l’Iran, secondario sia politicamente che economicamente, per l’Europa non avrebbe senso. Urge però una riflessione interna importante sul ruolo dell’UE nel mondo. Trump e Putin attaccandoci o minacciandoci continuano ad offrirci occasioni per compattarci e rimarcare con forza cosa sia l’Unione Europea, sarebbe ora di coglierle.