L’accordo oltre Trump, le richieste dell’Iran all’UE
Dopo la lunga lista di punti, presentati dal Segretario di Stato USA Pompeo all’Heritage Foundation ad inizio settimana come indispensabili per poter trovare un nuovo accordo con l’Iran e ridurre le sanzioni, è giunta la risposta di Teheran, per voce della Guida Suprema. Giù il fatto che l’ayatollah Ali Khamenei si sia rivolto unicamente all'Unione Europea segnala come la Repubblica Islamica non consideri più l’America come interlocutore ed abbia dunque deciso di negoziare solo con l’altra sponda dell’Atlantico. Inoltre, al di là della retorica piuttosto dura contro Washington, le parole del successore di Khomenini sono sembrate più concilianti di quelle della Casa Bianca. Se le richieste di Pompeo sembravano essere state preparate con il preciso intento di essere inaccettabili per l’altra parte — sarebbero equivalse de facto ad un disarmo unilaterale da parte di Teheran — quelle di Khamenei sono invece per due terzi piuttosto vicine alle posizioni europee e per la restante parte non rappresentano alcuna riduzione degli impegni del JCPOA, quanto piuttosto un rifiuto di procedere oltre.
Khamenei ha chiesto che l’UE fornisca all’Iran tre garanzie per la sopravvivenza dell’accordo sul nucleare:
1) Gli europei devono continuare ad acquistare greggio iraniano e proteggere questi acquisti dalle sanzioni USA;
2) L’UE ed in particolare i suoi istituti bancari devono proteggere gli scambi commerciali con la Repubblica Islamica.
3) Germania, Francia e Regno Unito non devono seguire la richiesta americane di negoziare sul programma missilistico iraniano e sulle attività regionali dell’Iran.
Le prime due richieste sembrano sostanzialmente echeggiare le dichiarazioni del Ministro degli Esteri iraniano Zarif che aveva constatato come il supporto politico dell’UE non fosse sufficiente da solo a garantire la sopravvivenza dell’accordo e come fosse necessario anche il mantenimento dei flussi commerciali e degli investimenti. Entrambi sono a rischio per le sanzioni secondarie che la Casa Bianca potrebbe mettere in atto e proprio per questo l’UE ha già iniziato la procedura di aggiornamento di una norma pensata inizialmente per Cuba negli anni ’90 che metterebbe le aziende europee al riparo da sanzioni extraterritoriali, cioè degli Stati Uniti. Persistono dubbi sulla applicazione reale di questa legislazione che è pensata principalmente per le aziende medio-piccole, nell'idea che quelle maggiori non sarebbero fortemente a rischio di sanzioni da parte degli USA per evitare shock nel mercato americano. Ciò nonostante la francese Total ha annunciato la sua intenzione di ritirarsi da parte degli investimenti in Iran se non sarà esclusa dalle sanzioni della Casa Bianca e questa decisione appare come un’evidente richiesta all'UE e indirettamente anche a Trump di garanzie sul suo futuro. Proprio il settore degli idrocarburi è il segmento dell’economia iraniana che all'UE interessa maggiormente e dove è meno disposta ad accettare riduzioni: gli acquisti di greggio iraniano da parte europea sono letteralmente decollati dopo la firma del JCPOA e pochi all'interno dell’Unione hanno intenzione di cercare altri venditori a prezzo più alto e ancor meno di lasciare l’intero mercato iraniano a Cina, India e Russia, che sarebbero ben felici di prendersi la fetta ceduta dall'Europa. Una delle possibili azioni europee sarebbe il passaggio dal dollaro all'euro come valuta di conto, come richiesto già in aprile da Teheran, in modo da evitare le potenziali limitazioni USA sulle transazioni. Si tratta di un’azione i cui effetti dipendono però molto dalla disponibilità degli attori finanziari di accettare pagamenti in euro e per questo si renderà necessaria un’azione da parte della BCE a garanzia degli istituti di credito e di assicurazione.
Più complessa è la terza richiesta della Guida Suprema. Il programma missilistico iraniano e le attività regionali della Repubblica islamica sono infatti i due elementi che più preoccupano gli USA ed i loro alleati locali ed una delle accuse da sempre rivolte da Trump al JCPOA era proprio che l’accordo non comprendesse questi due punti. Lo stesso Macron aveva più volte accompagnato le sue richieste alla Casa Bianca di restare nell'accordo con la promessa di discutere questi punti in un futuro negoziato con l’Iran. Ora Khamenei sembra però chiudere la porta - almeno nel breve termine - a questa prospettiva. Le ragioni non sono poi così difficili da comprendere se si analizza la situazione strategica iraniana. La Repubblica islamica possiede infatti un’aviazione decisamente inferiore a quelle dei suoi principali avversari regionali — una difficoltà che si porta dietro dalla fine degli aiuti militari USA allo Shah — ed ha quindi deciso di dedicarsi ai missili come unico deterrente possibile: ora l’Iran possiede l’arsenale missilistico più ampio e diversificato del Medio Oriente. Nell'ottica di Teheran è un asset difensivo, in quella israeliana o saudita è invece uno strumento di attacco. Lo stesso vale per le milizie sciite in Iraq e per i vari attori militari sostenuti da Teheran: Hezbollah, al-Quds e Houthi. Nella dottrina strategica iraniana si tratta della prima linea di difesa dalle minacce esterne. Conscio della sua relativa debolezza militare (ha il più grande esercito regionale in termini di effettivi, ma le dotazioni non sono certo lo stato dell’arte) l’Iran intende difendersi dagli attacchi tramite l’utilizzo di proxies, che offrono il vantaggio di non costare in vite umane nazionali e di tenere il conflitto fuori dai propri confini, rappresentando al contempo una spina nel fianco degli avversari diretti. Pensare ad una rinuncia totale a queste attività appare quindi assai improbabile, anche se nella scelta di Khamenei di non specificare quali attività si può osservare uno spiraglio negoziale. Se risulta impossibile infatti una formale e sostanziale riduzione delle milizie regionali che Teheran sostiene non si può invece escludere che l’UE chieda informalmente all’Iran di fare pressione per un restraint dalle attività aggressive delle sue formazioni in Siria e Libano, senza quindi puntare ad un utopico disarmo, ma ad un più realistico congelamento (o calo) dei comportamenti più aggressivi. Forse non sarà sufficiente a rassicurare Arabia Saudita ed Israele, ma può rappresentare un superamento, seppur non ufficiale, di uno dei principali scogli al mantenimento di un accordo dalla cui fine entrambe le parti avrebbero solo da perdere.