Questa riforma non s’ha da fare: Dublino III e un preannunciato impasse.

Laura Gaspari
Comitato Ventotene
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8 min readJun 6, 2018

Il neoministro dell’Interno Matteo Salvini non ha fatto nemmeno in tempo a ricevere la fiducia delle Camere, che ha già criticato aspramente la riforma in cantiere del Regolamento di Dublino III, visitando uno dei punti più caldi degli sbarchi sulle coste italiane: l’hotspot di Pozzallo.

Il Regolamento di Dublino III è stato sulle bocche di tutti in questi ultimi anni di crisi migratoria ed emergenza sbarchi. Lo abbiamo sentito dai nostrani politici, nelle campagne elettorali, nei talk show, nelle riunioni di Bruxelles e Strasburgo presso le istituzioni europee, l’abbiamo letto sui giornali ecc. Ma la mia domanda è: chi davvero sa cos’è Dublino III?

Facciamo un passetto indietro e torniamo agli anni ’90. Il sistema Dublino nasce come Convenzione multilaterale tra i membri dell’allora Comunità Europea, entrata in vigore alla fine degli anni 90. Obiettivo? Armonizzare le politiche di asilo, garantire protezione e diritti ai rifugiati e ai richiedenti asilo nel rispetto della Convenzione di Ginevra del 1951, del suo Protocollo del 1967 e di tutti i trattati (internazionali e regionali) in materia di rispetto dei diritti umani.

Facciamo un altro salto temporale e passiamo al 2003. La Convenzione viene sostituita per tutti gli Stati dell’Unione Europea dal Regolamento 2003/343/CE, altrimenti chiamato Regolamento di Dublino II. Per tutti gli Stati, tranne la Danimarca che decise di opporre un opt out (rinuncia di un Paese membro di adottare una legge UE) su tutti i regolamenti in materia di spazio di libertà, sicurezza e giustizia. I danesi si sono ravveduti nel 2006, portando con sé l’adesione al Regolamento di due Paesi extra-UE: Norvegia e Islanda. Nel 2008 si rese operativo anche in Svizzera e Liechtenstein.

Cosa veniva stabilito in sostanza in Dublino II? Si regolamentava lo Stato competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata da un cittadino di un Paese terzo in uno dei Paesi membri dell’UE e del Regolamento, definendone i criteri e meccanismi. Lo Stato competente dev’essere uno e uno solo. Perché? Per evitare che un richiedente asilo facesse più di una domanda in diversi stati o per evitare che lo stesso richiedente asilo venisse spostato di qua e là. I criteri stabiliti dal Regolamento sono i seguenti:

- Principio dell’unità del nucleo familiare: riguarda prevalentemente i minori stranieri non accompagnati, lo Stato competente è quello dove risiede legalmente un parente del minore, purché si rispetti il principio del suo miglior interesse (best interest of the minor). Se il parente non c’è, è competente lo Stato dove il minore ha fatto richiesta d’asilo. Per i maggiorenni, se il familiare è rifugiato in un paese o in attesa di ricevere lo status, anche l’interessato potrà — se vorrà — fare domanda di asilo nel medesimo stato. Familiare e soggetto possono richiedere l’analisi congiunta.

- Rilascio dei permessi di soggiorno o visti: lo Stato che ha rilasciato ad un soggetto il permesso di soggiorno o il visto è competente nell’analizzarne la domanda d’asilo. Lo stesso vale se il soggetto ha dei titoli di soggiorno scaduti da meno di due anni o dei visti scaduti da meno di sei mesi e non si è mosso dai territori degli Stati membri.

- Ingresso e soggiorno illegale: se un soggetto attraversa illegalmente la frontiera di uno Stato, quest’ultimo è competente per l’analisi della sua domanda d’asilo entro 12 mesi dall’attraversamento della frontiera. Se il soggetto ha soggiornato per 5 mesi continuativi prima di fare domanda in uno Stato membro, questo è competente. Se invece si è spostato per cinque mesi tra gli Stati membri prima di fare richiesta d’asilo, lo Stato competente è l’ultimo in cui il soggetto ha soggiornato.

- Ingresso legale: se il soggetto è titolare di regolare visto in uno Stato membro, questo sarà competente ad analizzarne la domanda di asilo.

- Domanda presentata in una zona di transito internazionale (aeroporto): è competente per l’esame della domanda lo Stato su cui suolo si trova l’aeroporto.

Se nessuno dei criteri sussiste, è competente il primo Stato membro in cui la domanda d’asilo è stata presentata. La domanda poteva essere presa in carico anche da altri Stati su richiesta dello stato competente per ragioni umanitarie e previo consenso del soggetto che ha presentato domanda d’asilo. Lo Stato competente ha l’obbligo di esaminare la domanda d’asilo.

Tale Regolamento è stato abrogato nel 2014 con l’entrata in vigore del Regolamento di Dublino III. Cosa è cambiato?

Il Regolamento 604/2013/UE, detto anche Dublino III, ha come fine lo stesso del suo predecessore, modificandone alcune disposizioni e aggiungendo delle specifiche in più. Quali sono state le novità? Vediamole brevemente insieme:

- Il Regolamento introduce delle modifiche e delle espansioni delle definizioni di familiari;

- Viene introdotto nel Regolamento l’effetto sospensivo del ricorso;

- Vengono esplicitati i termini per una procedura di ripresa in carico:

- Viene introdotta la possibilità di trattenere il richiedente asilo in caso di pericolo di fuga;

- Si possono scambiare le informazioni sanitarie a tutela del richiedente asilo.

La principale novità è stata la costruzione di un complesso Sistema Europeo Comune di Asilo (Common European Asylum System — CEAS) che uniformasse i sistemi di protezione dei Paesi membri e che fosse ai sensi dell’articolo 78 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), che è uno dei due trattati costitutivi dell’Unione insieme come il Trattato sull’Unione Europea (TUE).

Non solo il Regolamento di Dublino III ne fa parte, ma anche le tre Direttive che stabiliscono le procedure (Direttiva Procedure originariamente del 2011 e rifusa nel 2013), le qualifiche per l’attribuzione uniforme dello status di rifugiato a soggetti di paesi terzi o ad apolidi o di una protezione sussidiaria (Direttiva Qualifiche 2011/95/UE) e le norme relative all’accoglienza (Direttiva Accoglienza 2013/33/UE). Dello stesso CEAS fa parte anche l’Ufficio Europeo di sostegno per l’asilo (EASO), nato per dare adeguato supporto agli stati affinché diano corretta applicazione alle norme contenute nel Regolamento e nelle Direttive, intervenendo in modo immediato in caso di afflussi massicci (come nel 2015, nda). Anche il sistema EURODAC ne fa parte, istituendo una banca dati di impronte digitali di chi fa domanda di protezione internazionale sul suolo europeo. Il sistemo è attivo dal 2003 e si prefigge di aiutare a determinare lo stato responsabile per la disamina della domanda d’asilo.

Vi risparmio i puri tecnicismi del Regolamento di Dublino III, magari in un altro articolo, intanto vi lascio qui questa simpatica brochure fatta dalla Commissione Europea che spiega brevemente tutti i contenuti.

Con la crisi migratoria del 2015 il sistema si è dimostrato particolarmente pieno di criticità: la prima in assoluto, e che riguarda l’Italia da vicino, è l’imposizione della responsabilità sul primo paese di prima accoglienza. Ciò è significato che il peso fosse scaricato sui paesi costieri che costituiscono quella che potremmo definire le “porte d’Europa”: Italia, Spagna, Grecia, su tutti. Ciò ha decisamente alimentato l’onda di un clima populista e xenofobo molto pesante e grosse difficoltà di gestione dell’accoglienza e una saturazione del sistema di protezione internazionale per questi paesi, lasciandoci immagini drammatiche di morti in mare durante le pericolose traversate nel Mediterraneo, campi profughi di fortuna, centri di prima accoglienza che sembrano lager e testimonianze di gravi violazioni dei diritti umani fondamentali dei migranti, soprattutto in Libia e lungo la Rotta Balcanica.

Senza contare che la confusione generale e l’instabilità di un sistema fallace ha fatto sì che crimini internazionali come il traffico di esseri umani (smuggling) si intensificasse e si arricchisse per via dei massicci flussi di migranti e richiedenti asilo che necessitavano del passaggio e che quindi, in mancanza di canali legali, si sono affidati alle reti criminali. Anche le reti criminali internazionali (e pure nazionali, per quanto ci riguarda) dedite alla tratta di esseri umani (trafficking) hanno giovato della situazione drammatica. Per farvi un esempio, è assodato che i trafficanti di esseri umani hanno iniziato ad approfittare della saturazione del sistema di richiesta d’asilo e delle Commissioni Territoriali per far restare “legalmente” le loro vittime sul territorio e lucrarci sopra, addestrandole a compilare in modo corretto la domanda una volta sbarcate, o mentendo sui ricongiungimenti familiari, finendo nelle mani dei contatti della rete in loco.

Sono anni che ne parliamo di riforma del sistema Dublino e sono anni che facciamo tentativi per applicare quel principio di solidarietà (art. 80 TUE) e ripartizione equa di cui molti si riempiono la bocca. Abbiamo provato con le quote, ostacolate da paesi come l’Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia (baci da Viségrad).

Il primo testo della Commissione UE, per farvela breve, riportava un criterio di ripartizione basato su PIL e popolazione. Superata la capienza di un Paese, scatta una penale per ogni richiedente d’asilo respinto. Ricordo che il respingimento di un richiedente asilo è espressamente vietato internazionalmente dal principio di non-refoulement, contenuto all’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sullo stato di rifugiato, che recita:

“Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.”

Il testo contenente il nuovo sistema è stato approvato dal Parlamento Europeo lo scorso novembre, con modifiche rispetto il testo originale proposto dalla Commissione Europea. Per esempio, viene abbandonato il criterio del primo paese d’ingresso e viene ulteriormente ampliata la regolamentazione dei ricongiungimenti, introducendo il concetto di legami significativi (per esempio, chi ha già soggiornato precedentemente in un dato paese può farvi richiesta di asilo). Infine, viene introdotta la sponsorizzazione. Il criterio del parametro PIL/popolazione e il concetto di legame significativo costituiscono i due pilastri più importanti della riforma.

Ora il testo approderà in Consiglio Europeo e i timori di affossamento sono concreti. Solo due giorni fa, ASGI (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) si appellava al Ministro dell’Interno Matteo Salvini, chiedendogli di non votare contro la riforma e ricordandogli che il superamento del Regolamento di Dublino era contenuto nello stesso contratto di Governo siglato con i Cinque Stelle.

Plot twist: è arrivato sul tavolo del Consiglio dell’Unione Europea (vertice dei Ministri dell’Interno e Giustizia) del 5 giugno un compromesso proposto dalla Bulgaria, che detiene la Presidenza del Consiglio Europeo. Una proposta che rendeva le quote non obbligatorie e che permetteva a quegli Stati che non vogliono accogliere i richiedenti asilo di fare dell’altro per aiutare, come ad esempio provvedere ad expertise e soldi.

Il no italiano è stato secco e in coro con il gruppo di Viségrad (vedi sopra). Una risposta negativa è arrivata anche da Germania, Estonia, Lettonia e Lituania. Il Regno Unito non si è espresso, effettivamente la sua permanenza è sulla lancetta dell’orologio. Gli altri Paesi, tuttavia, non hanno espresso l’intenzione di chiudere i negoziati, tra cui Grecia, Malta e Cipro, da sempre sostenitori dell’Italia e delle sue richieste.

Per la prima volta nella mia vita potrei condividere la posizione presa da Salvini, ma non voglio dirlo troppo ad alta voce. Qual è però il problema adesso? Più tempo passa, più i problemi aumentano. Queste discussioni in materia di asilo e immigrazione si confermano il punto debole dell’Europa. Qualche giorno fa Amnesty International commentava che questa riforma è un test di leadership per l’Europa. Condivido in pieno la dichiarazione della Ministra dell’Interno Svedese Hélène Fritzon quando parla di “clima politico più duro” e che rende le cose più difficili. Sono invece meno d’accordo con il Sottosegretario di Stato responsabile dell’immigrazione Belga Theo Francken (sì, lo stesso di Puidgemont) che vuole cominciare a respingere le imbarcazioni e aggirare l’articolo 3 della Convenzione Europea Dei Diritti dell’Uomo (proibizione della tortura, di trattamenti inumani e degradanti, nda, divieto che influenza il principio di non-refoulment di cui sopra.).

Sinceramente spero che il Ministro Salvini non abbia votato contro la riforma bulgara per fare lo sgambetto all’Unione Europea, ma per una vera presa di coscienza e che sostenga la proposta approvata dal Parlamento a novembre. Io me lo auguro e credo ce lo stiamo augurando tutti. È vero, la “pacchia” deve finire, ma non riferito a chi attraversa il mare o i confini in condizioni limite. La pacchia di chi sta in quest’Unione di diritti e vantaggi, ma anche doveri, responsabilità e solidarietà deve finire.

Nel frattempo, continuiamo ad aspettare, anche se il tempo sta per scadere.

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Laura Gaspari
Comitato Ventotene

International Relations graduated. Copy and medical writer. Balkan lover. RPG player. Human rights defender. Activist. Polemical person.