A proposito del libro e della narrazione

Cristiano Buffa
CONTAMINAZIONI
Published in
6 min readFeb 20, 2021

Per noi e per quelli che conosciamo leggere è una cosa normale. Un libro nelle nostre case lo trovi dappertutto, in biblioteca, in salotto, sul comodino, in bagno. I libri si regalano in tante occasioni, ai compleanni, a Natale o quando si viene invitati per una cena o così, quando capita.

Ovviamente ci sono libri e libri e a volte un libro lo prendi perché t’incuriosisce, per il titolo, per l’autore che ti ha suggerito un amico, per l’immagine di copertina, o perché non sai cosa fare e allora lo prendi, gli dai una occhiata e poi lo metti in qualche posto dove poi lo dimentichi e non lo trovi più.

Il libro. Ci sono quelli che vanno di moda, quelli che tutti ti chiedono “l’hai letto?”, che li trovi dappertutto, pubblicizzati sui giornali e l’autore o l’autrice vengono intervistati o rilasciano dichiarazioni sul clima, sulla cucina vegana, sul cambio del governo, sulla sanità pubblica oppure libri che trattano argomenti che sono su tutte le pagine dei giornali, dalle epidemie alla democrazia elettronica, alla necessaria rinascita della classe politica e poi ci sono i libri di narrativa e anche qui possono essere quelli che hanno scalato la vetta delle classifiche o quelli che hanno colpito il sentimento di tutti e i loro autori hanno avuto interviste in televisione o sono andati al festival di Sanremo oppure sono incorsi in qualche curioso episodio che li ha fatti andare su tutte le pagine dei giornali.

Libri. Mi sono sempre considerato un ammirato lettore di Tzevan Todorov che mi ha aperto gli occhi quando ero giovane sui formalisti russi e sul valore dei simboli e che ho poi apprezzato per le sue analisi sui nemici della democrazia e sulle drammatiche conseguenze del colonialismo e in questi giorni per una ricerca che mi ero messo in testa di fare, mi è capitato tra le mani “L’uomo spaesato”, un suo libro del 1993 che tratta del problema dell’identità, intesa come ricerca di un sé nascosto ma anche come appartenenza a un gruppo sociale, e parla delle diverse situazioni in cui l’uomo può trovarsi in una feroce dialettica di schieramenti: a che gruppo appartieni, come ti identifichi, che cosa ne pensi degli altri, qual è il tuo criterio di valutazione delle collocazioni sociali. Un libro che parte dalla ferocia nazista e dai campi di confino dei paesi dell’est e attraversa tutti i più sottili modi in cui la nostra sofisticata cultura occidentale riesce a creare differenze e divisioni per bisogno di potere come anche per il piacere di sentirsi diversi e migliori.

Beh. Non voglio farla lunga perché quello su cui mi interessava porre l’attenzione è uno dei temi che tratta ed è quello della narrazione, ossia che cosa rappresenta un libro per chi lo legge, di che cosa può parlare un libro, di come un libro diventi una finestra aperta su qualcosa che lo scrittore vuole mettere davanti al lettore.

E devo dire che questa parte della riflessione di Todorov ve la consiglio perché pochi hanno saputo cogliere come lui gli aspetti più profondi di quella attività che è la scrittura, ossia la trasformazione in parole di qualcosa che finisce poi per affascinare il lettore.

A un certo punto lui dice che la narrazione è “il doppio immaginario”, come dire qualcosa che spalanca davanti al lettore una realtà che è il doppio di quella che lui vive, ma una realtà che è stata immaginata, non è reale, è costruita attraverso invenzioni di parole accostate le une alle altre.

All’inizio mi è venuto da pensare, perché per me è così, che la costruzione di un racconto rappresenti per un lettore l’offerta di un diverso punto di vista, la chiave per cogliere una realtà che tu normalmente sei abituato a vedere in un certo modo o che, addirittura, non hai mai preso in considerazione.

Poi mi è venuto da riflettere, in ragione di altre considerazioni che Todorov fa seguire in merito alla bellezza, riprendendo un altro grande libro di Tanizaki, “Libro d’ombra”. In merito alla bellezza Todorov dichiara che si sente assolutamente in sintonia con il pensiero orientale — che si pone in modo diametralmente opposto alla visione manichea che a partire da Nietzsche ha caratterizzato gran parte del pensiero occidentale secondo cui la bellezza appartiene di diritto esclusivamente alle celebrate opere d’arte — e pensa quindi che la bellezza rappresenti un particolare modo di dare vita, forma e nuovo significato alle cose comuni, come il cibo, l’abbigliamento, la disposizione dei mobili in una stanza, la struttura di un giardino …

Riflettendo su questa concezione della bellezza mi è venuto da considerare l’immaginario messo in luce da un libro a partire da un altro punto di vista. Ho cioè pensato che non è detto che ogni libro rappresenti una porta aperta verso un immaginario nascosto che deve essere messo in luce. E questo perché può capitare che un libro venga progettato come se dovesse necessariamente appartenere alla categoria delle opere d’arte o delle opere cui è necessario attribuire un valore a prescindere. In molti casi un libro può essere un prodotto studiato per ragioni di mercato e rivolto a precise categorie di consumatori, come avviene per i prodotti che sono collocati negli scaffali dei supermercati: come c’è il lettore sentimentale, c’è anche quello arrabbiato contro il mondo, quello che ama godere del dolore o quello che vuole a tutti i costi vivere felice e vedere tutti sorridere. E allo stesso tempo bisogna considerare che non tutti i lettori sono persone desiderose di scoprire il nuovo, ovvero qualcosa cui non avevano mai pensato o che non è presente nella visione culturale dell’ambiente sociale in cui si trovano a vivere.

Si tratta infatti di capire il senso della narrazione, ossia di quella strada che si trova a percorrere chi scrive un libro. C’è in effetti una narrazione che cerca di interpretare il pensiero comune, e cerca di rendere vivi gli affetti e i sentimenti che il pensiero comune dice che è giusto provare e in questo caso gli autori cercano di portare in soccorso del pensiero comune un po’ di fantasia e di creatività, belle immagini, parole ricercate accanto a parole semplici. Un giusto mix. Cercano di colorare i sentimenti e di creare “suspense” alla storia, secondo i criteri individuati da Propp e perfezionati da Greimas, dove in una narrazione che si rispetti il risultato finale deve essere raggiunto attraverso il superamento di adeguate prove.

Questi sono forse i libri degli scrittori che vanno più di moda. Ma per fortuna c’è anche uno scrittore che viene cercato e scelto perché è un occhio “altro”, diverso, che racconta cose che nessuno ha mai avuto voglia o coraggio di raccontare o che coglie aspetti che magari sfuggono, come le sfumature esistenti tra culture diverse, il colore delle penne di alcuni uccelli o di alcuni fiori o come certe azioni siano generate da certi sentimenti o da certi modi di pensare.

In altre parole, come dice Todorov, per fortuna ci sono anche gli scrittori che si sentono come la terza categoria degli intellettuali descritti da Montaigne: non i nichilisti o i dogmatici che appartengono alle prime due, ma “gli indagatori impenitenti che continuano la loro ricerca anche se sanno che non si potrà mai concludere”. “Coloro che cercano la verità e i valori attraverso l’osservazione del mondo e il dialogo con gli uomini”.

Coloro che sono in sintonia con una concezione orientale della cultura — quella che porta alla nostra attenzione di lettori occidentali Tanizaki — che cerca il bello nel quotidiano, nei gesti più umili della vita comune.

E allora forse si potrà scoprire qualcosa di più rispetto alla nostra identità, alla nostra appartenenza alla società umana.

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