Libertà è partecipazione

Cristiano Buffa
CONTAMINAZIONI
Published in
7 min readMay 21, 2020

Oggi mi voglio divertire e spero che si diverta anche mi leggerà. Stiamo tornando alla normalità della vita e devo dire che il concetto di normalità nel nostro paese un po’ mi spaventa, perché ci sono tante incrostazioni dovute ad abitudini inveterate, a una specie di atavica difficoltà a rilanciare più in alto i discorsi e a rivedere i programmi, c’è una specie di istintiva paura a porsi in ascolto degli altri cercando di cogliere gli aspetti di novità e non invece a cercare conferma del proprio punto di vista.

Vorrei quindi parlare dei “processi partecipativi”, perché è un tema che con il problema della distanza obbligata è stato visto un po’ come qualcosa che manca ma d’altra parte come qualcosa che, lo si è sperimentato, può essere tranquillamente surrogato da una ben fatta call meeting.

Qualche anno fa si parlava spesso di partecipazione, ma dopo un periodo di contestazioni e di rilancio di nuovi modelli sociali, è diventato un tema in qualche modo implicito, che veniva toccato così tanto per dire, era qualcosa di cui qualcuno si preoccupava ma, tutto sommato, se c’è bene e se non c’è chi se ne frega.

C’è stato anche chi ne faceva un problema di democrazia e creava dei laboratori appositi con notevoli e importanti esperienze che poi venivano documentate e pubblicate, come quella per esempio di Verona per la riqualificazione del quartiere Borgo Nuovo nel 2005, oppure quelle che sono state descritte nel volume “Amministrare con i cittadini” edito dal Dipartimento della funzione pubblica nel 2007, a Ivrea, Rozzano, Vercelli, Venezia, Modena, Bologna, Imola, San Gimignano, Terni, Roma, Latina, Napoli Cagliari e poi in Puglia, in Sardegna e in Toscana.

C’è stato anche qualche comune, come quello di Carrara, che ha redatto e approvato uno specifico “Piano di Partecipazione dei cittadini” con apposite normative, oppure come la Regione Emilia Romagna, che ha creato il sito https://partecipazione.regione.emilia-romagna.it/ per facilitare i processi partecipativi.

Ecco, che parlando di siti e di web iniziamo a parlare di digitale e di democrazia digitale, e di partecipazione digitale quindi. A questo proposito ricordiamo tutti le piattaforme di democrazia digitale, con le votazioni e cose così, però i cittadini rimanevano a casa loro e chi doveva decidere si metteva in qualche stanza al chiuso e decideva e chi s’è visto s’è visto. C’è stata una intera stagione politica durante la quale questo era un tema centrale di discussione. Oggi, la pandemia sembra aver dato una svolta netta in merito a come favorire la partecipazione. Ha richiesto che venisse stabilita una prassi, chiara trasparente e funzionale, utilizzando le tecnologie digitali.

Dato che non è possibile spostarsi da un luogo a un altro, dato che non è possibile che più persone che non si conoscono possano stare in una sola stanza, si fanno le riunioni a distanza, sono state riattivate vecchie app e se ne sono create di nuove, di ogni genere, per vedersi, per chiacchierare, per dialogare e anche per deliberare.

E quindi che succede? Si fanno le riunioni e si dà anche la parola a tutti rispettando rigorosamente i tempi, si prende nota dei diversi interventi e si fa il report e poi, finita la call, ci si sente per telefono in due o tre e si decide che cosa fare. La partecipazione è cosa fatta e per di più digitale, in sintonia con le nuove tecnologie e con la modernità, dimenticando magari che la connettività non è da tutti.Tutti però si dice che hanno potuto parlare, grazie alle nuove tecnologie digitali, c’è stato una cerimonia partecipativa e poi si sono prese le decisioni che occorreva, mettendosi d’accordo tra chi era giusto che prendesse la decisione giusta.

Ma ora che torneremo alla normalità, quale sarà la normalità in cui ci troveremo calati? Permettete una parentesi, ma un’altra cosa che mi ha molto divertito in questa situazione di crisi è che molte delle persone che sono intervenute nei dibattiti per la loro competenza lavorano altrove, sono docenti e ricercatori che se ne sono andati dall’Italia una decina di anni fa per andare a lavorare in Svizzera, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Germania. In paesi non ancora del tutto contaminati dalla nostra normalità.

Comunque torniamo a parlare di partecipazione perché, in ogni caso, se vogliamo rimettere mano ai problemi del nostro paese è bene che ritorni ad essere un tema di rilievo. Accenno solo a quelle che sono le linee di una corretta metodologia della partecipazione, anche perché di manuali e di piani metodologici ce ne sono davvero tanti, si studiano alle università e anche molte amministrazioni pubbliche ne trattano, e mi soffermo poi su tre aspetti che mi sembra siano da sottolineare per la loro rilevanza e perché sono poco presenti nella “normalità” italiana.

Per quanto riguarda le linee metodologiche mi sembra opportuno ricordare una preliminare chiarezza sulle caratteristiche e sulle regole del processo partecipativo, che comporta l’individuazione dell’obiettivo o degli obiettivi e delle relative problematiche e l’individuazione dei soggetti che sono direttamente o indirettamente coinvolti dalla decisione. Poi il tema dell’ascolto con la valutazione delle problematiche e dei diversi punti di vista, affrontato con la competenza di un facilitatore, capace di gestire i conflitti e le fasi di negoziazione per giungere a scelte condivise. Infine la valutazione delle ricadute delle decisioni e la progettazione di linee operative con una valorizzazione delle competenze emerse nei confronti. Il tutto gestito con adeguate attività di informazione per tutte le persone coinvolte e interessate.

Parliamo ora degli aspetti che vorrei mettere in evidenza. Devo anzitutto precisare che ritengo siano dovuti a cattive abitudini, ad atteggiamenti di semplificazione per evitare “complicazioni” e sono strettamente connessi alle “liturgie di dovere”, ossia a pratiche che sono ormai diffuse e ripetute come rituali che danno soddisfazione a tutti, celebranti e fedeli.

La prima riguarda una corretta informazione. Tutti devono essere informati, tutti gli aspetti devono essere condivisi, l’informazione deve essere circolare. Anche l’informazione di ritorno deve essere condivisa, ossia è doveroso dare a tutti la possibilità di conoscere pensieri e interessi degli altri.

Il problema dell’informazione va poi a toccare altri due aspetti che sono poco considerati: chi sono i soggetti che devo coinvolgere? Che riguarda la poca attenzione che si ha in merito agli stakeholder, ossia alle persone che possono avere interesse o competenza nella progettazione che sta alla base del percorso partecipativo. La pratica che viene solitamente adottata assomiglia molto al rito religioso: alle 10 c’è messa, i fedeli lo devono sapere perché ormai le campane non suonano più, il prete celebra il rituale e chiuso, chi voleva venire è venuto. Oggi molti amministratori o politici usano il loro altare facebook dove pubblicano avvisi, selfie, suggeriscono letture, fanno comizi e magari lanciano qualche comunicazione di interesse pubblico. Con ciò hanno esaurito tutte le loro attività informative e la messa è finita.

Se vogliamo discutere su questa procedura ormai “normale” c’è da aggiungere lo scarso rilievo che viene solitamente dato al tema della comunicazione, ossia quali canali utilizzare per raggiungere le persone, gli attori, gli stakholders e come organizzo le informazioni, quali contenuti metto.

Un’altra debolezza della “normalità” riguarda le competenze che vengono coinvolte nel processo partecipativo. Si tratta, in altre parole, di conoscere bene il problema nella sua complessità valutandone tutti gli aspetti ed essere capaci di interpellare le persone che hanno una conoscenza specifica dei problemi, uscendo dalle logiche di vicinato che spingono a chiamare amici, conoscenti che dichiarano di avere qualche vaga infarinatura e che sono disposti a “dare una mano”.

Infine c’è il discorso dell’ascolto, che davvero richiede un cambio di paradigma rispetto alle consuete abitudini da parte di chi ritiene un dovere esercitare i “suoi” diritti e doveri per risolvere i problemi.

Quello dell’ascolto è un tema che mi sta particolarmente a cuore e con questo chiudo, sperando in una impossibile svolta nel ritorno alla normalità e citando un verso di una canzone di Gaber postato da una delle guide ai processi partecipativi: “La libertà non è star sopra un albero,/e nemmeno il volo di un piccione./La libertà non è uno spazio libero./ Libertà è partecipazione.”

Dicevo dell’ascolto, che vuol dire cercare di cogliere dall’altro aspetti nuovi di cui non si era tenuto conto o che non si conoscevano piuttosto che (come è d’uso) interpretare le parole dell’altro come conferma di quello che si è detto o pensato. E per far capire meglio questo difficile concetto mi sembra divertente utilizzare una riflessione dell’Associazione Labsus che nel 2019 ha pubblicato un glossario dell’amministrazione condivisa.

Alla voce ascolto attivo cita le “Sette regole d’oro dell’arte di ascoltare” di Marianella Sclavi e poi riporta il delizioso racconto della mamma che entra in cucina dove i figli stanno litigando per un’arancia:

“E’ mio!” “No, l’ho preso prima io!” “Lasciamelo!” Impazientita, li sgrida, afferra l’arancia e la taglia a metà. Entrambi le si scagliano contro. Infatti la ragazza voleva grattare l’intera buccia per una torta e il maschio farsi una spremuta. Questa storia illustra due principi dell’arte di ascoltare. Il primo: anche quando il significato di un certo evento ci sembra assolutamente scontato (ognuno dei due figli si comporta da egoista, vuole l’arancia tutta per sé) faremmo bene, specialmente se si tratta di un conflitto, a verificare la interpretazione delle altre parti in causa. Se la madre l’avesse fatto, la soluzione sarebbe stata diversa da quella che ha frettolosamente messo in atto. In secondo luogo questo esempio rende chiaro che alla domanda “Cosa succede qui?” una risposta adeguata non può limitarsi alla semplice descrizione dei fatti. I fatti sono importanti (i figli sono in cucina e si stanno contendendo una arancia), ma “da soli” non parlano, si prestano a una molteplicità di interpretazioni. “

È alla molteplicità di interpretazioni e alle competenze necessarie per farne fronte che dobbiamo pensare per il ritorno alla normalità.

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