Lo sguardo di Juliette

Cristiano Buffa
CONTAMINAZIONI
Published in
3 min readMar 8, 2023

Quando guardo una figura e un volto in un quadro mi viene da pensare a quello che vorrebbe esprimere quello sguardo, quegli occhi, che cosa stava attraversando la mente di quella persona quando il pittore impastava il pennello tra i colori e poi lo passava una o più volte sulla tela dopo aver dato un’ultima occhiata per cogliere con più precisione i particolari: i colori dell’iride, la curva delle labbra o una piega dell’abito.

E poi penso anche alla doppia vita che il quadro fa vivere a quelle persone, la prima quando la loro forza vitale ispira il pittore che li contempla mentre immobili posano nella posa richiesta e poi quando il loro sguardo riesce a trasmettere a chi osserva il quadro una forza che emerge dal loro intimo, anche anni e anni, per non parlare di secoli, dopo che loro non ci sono più.

E questi pensieri mi hanno nuovamente attraversato la mente quando davanti a una tela di David, mi sono sentito stregato dagli occhi e dal braccio destro poggiato in un modo un po’ forzato sulla gamba di Juliette Récamier, una delle bellezze più apprezzate nella Parigi di fine Settecento, insofferente e ambiziosa, nonostante e forse proprio per queste sue virtù.

Il suo sguardo, che quella grande tela ha fatto giungere fino a noi, era sicuramente rivolto a Jacques-Louis David cui aveva commissionato il ritratto nel 1800, scegliendolo perché la sua fama di artista stava crescendo, anche in modo un po’ contraddittorio, dato il suo orientamento politico in quegli anni in cui stava esplodendo il contrasto tra i rivoluzionari e la nobiltà di corte.

Ma i sentimenti che quegli occhi trasmettono sono rivolti anche a chi guarda il quadro, perché il desiderio di Juliette era sicuramente quello di trasmettere la sua capacità di sfida del pensiero corrente, la sua intelligente intraprendenza, che avrebbe poi più esplicitamente dimostrato e messo in gioco nel suo salotto culturale al numero 7 di rue de la Chaussé-d’Antin dove, tra gli altri intellettuali, erano di casa Germaine de Stael e Benjamin Constant.

Nell’osservare il quadro, quello che conferisce ancor più fascino all’immagine della giovane donna distesa sulla dormeuse è l’essenzialità dello sfondo, con solo un dritto candelabro alle sue spalle e uno sgabello a terra dalla parte dei piedi. Una essenzialità che è anche segno della sfida cui quel dipinto aveva dato vita, sfida che era sorta tra Madame Récamier e l’artista quando Juliette, insofferente della lentezza di David, occupato in quegli anni a prendere per buone tutte le più strane richieste del suo committente Napoleone, aveva commissionato un suo nuovo ritratto a Francois Gerard.

Una sfida dai risvolti incredibili in quanto quel ritratto, in cui David riuscì a cogliere e a trasmettere l’anima più profonda della capricciosa giovane donna, diede vita a ulteriori ironiche repliche, oltre a quella più seria e formale di Francois Gerard. La prima meno nota fu attribuita agli allievi di David, un’altra più vistosa è quella che fece Ingres, intitolandola “La grande odalisca” e infine, la più provocatoria, è quella che dipinse Magritte un secolo dopo, dove gli occhi e lo sguardo pieno di vita di Juliette sono definitivamente messi tacere in una bara.

Possiamo a questo punto prendere atto che anche l’ironico Magritte era in fondo consapevole che un quadro che ritrae una persona è capace di tenerla in vita per sempre.

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