Srebrenica: vent’anni e non sentirli

Valerio Mocata
Controverso Magazine

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Dagli atroci fatti successi l’11 Luglio 1995 sono passati oggi vent’anni. La maggior parte di noi era viva, molti di voi probabilmente si ricorderanno le notizie al telegiornale. Stento a credere che più di una manciata di adulti in Italia non abbia mai sentito quel nome. Noi siamo qui, a pochi passi di distanza dalla Bosnia. Un mare solo, e anche abbastanza stretto, a dividerci dal più grosso massacro commesso in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. Qualcosa successo vent’anni fa e, diciamocelo, vent’anni non sono poi molti.

Eppure qualcosa mi dice che prima di svegliarvi stamattina e trovare la vostra bacheca Facebook intasata di notizie, articoli commemorativi come questo, video e status di amici troppo zelanti (quelli che in queste situazioni non riescono proprio a trattenersi dal #minutodisilenzio, #JeSuisMadriDiSrebrenica, #RispettoXLeVittime), in pochi avrebbero pensato a Srebrenica. Qualcosa mi dice che in pochi ci ricordiamo che il massacro è successo.

Non è che io pretenda che la gente sia brava con le date, figuriamoci. Ho buona memoria dell’orrore che certe persone hanno per esse: metà dei miei amici non saprebbe dirmi su due piedi cos’è successo l’8 Settembre, e l’altra metà non ricorda la data di compleanno dei propri genitori. Io stesso confondo (a volte) le indipendenze americane e francesi (ups!). Il problema, in piccolo, è quando molti di Srebrenica sanno il nome, ma non i fatti.

I Fatti

Fatti che per la loro atrocità non dovrebbero essere mai dimenticati. Negli ultimi mesi della guerra in Bosnia del 1992–1995, le milizie della Republika Srpska (la regione etnicamente serba della neonata Repubblica di Bosnia ed Herzegovina) entrarono nell’enclave di Srebrenica. L’enclave era sotto la protezione dei caschi blu olandesi dell’ONU, e per questo motivo molti cittadini etnicamente bosniaci e musulmani di religione vi si rifugiarono sperando nella protezione dell’ONU. Non avendo il permesso di ingaggiare un conflitto a fuoco con le milizie del conflitto però, i caschi blu non poterono contrastare l’arrivo dei soldati ultranazionalisti del generale Ratko Mladić.

I soldati separarono gli uomini dalle donne, e iniziarono a giustiziare i primi. Nel giro di una settimana i serbi uccisero a sangue freddo più di ottomila uomini e ragazzi musulmani. Prima caricati su autobus pagati e inviati dal governo di Belgrado, poi trasportati verso luoghi ignoti in cui ricevettero una pallottola nel cranio e una sepoltura frettolosa in una fossa comune. Ottomila. Non ottocento. Ottomila, mentre gli autisti dell’autobus si occupavano di rifornire i soldati di cibo ed acqua, così che le uccisioni potessero continuare senza interruzioni.

I corpi poi venivano riesumati e spostati da una fossa all’altra nella speranza di nasconderli. Alcuni sono stati nascosti così bene, che molte delle trentaduemila donne di Srebrenica che hanno perso padri, fratelli, figli e mariti ancora cercano le ossa dei propri cari.

C’è ancora chi nega

Il problema “grande” invece è che anche tra chi si ricorda bene i fatti, anche tra chi lì a Srebrenica c’era, c’è chi ancora oggi nega giustizia alle vittime. Dopo vent’anni, c’è ancora chi, in Serbia, in Bosnia e nel mondo, nega che i fatti di Srebrenica fossero la punta dell’iceberg di un vero e proprio genocidio. Le autorità Serbe hanno ammesso che si sia trattato di un massacro, ma la parola genocidio ancora non è stata ufficialmente pronunciata dai governi che si sono susseguiti a Belgrado.

Non ci dimentichiamo certo che nella guerra del 1992–1995 di piccole Srebrenica ce ne sono state a centinaia, commesse da tutte le parti in un folle raptus di pulizia etnica, ma i fatti di Srebrenica (e Žepa, poco lontano e negli stessi giorni dove morirono altre cento persone) rimangono i più assurdi, i più scioccanti e i più gravi. E finchè la Serbia non riconoscerà la sua responsabilità, la riconciliazione di due nazioni non potrà avvenire. “Il negazionismo rappresenta l’ultima fase di un genocidio”, scrive Azra Nuhefendić.

Quel che è peggio è che la stessa Russia, da sempre amica del governo di Belgrado, ha negato l’8 Luglio 2015 al Consiglio di Sicurezza dell’ONU di usare la parola genocidio per descrivere i fatti di Srebrenica. Una risoluzione per la commemorazione dei vent’anni dal genocidio è stata bocciata dal veto russo dell’Ambasciatore Churkin a quattro giorni dall’anniversario. Una manovra politica, che non fa che gettare sale su una ferita aperta dell’Europa.

Non solo un massacro

Che si sia trattato di un genocidio o meno non è oggetto di discussione. E’ un fatto, inciso nella roccia. La guerra in Bosnia è stata una delle guerre più documentate della storia, la prima i cui aggiornamenti ci arrivavano quasi in diretta sugli schermi televisivi. Due tribunali internazionali hanno definito i fatti di Srebrenica un genocidio (la Corte Internazionale di Giustizia -ICJ- e il Tribunale Penale Internazionale per i Crimini di Guerra nell’Ex-Yugoslavia -ICTY-) e questo grazie a milioni di pagine di testimonianze, video, prove forensi e trascrizioni audio. Più di mille persone hanno testimoniato, e in possesso degli inquirenti erano perfino filmati girati dagli stessi miliziani serbi durante il massacro. Cinque ufficiali serbo-bosniaci sono stati condannati e Mladić e Radovan Karadžić, leader della Republika Srpska sono attualmente sotto accusa per crimini di guerra e genocidio al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja.

Il genocidio non “succede” per caso, è pianificato con attenzione. Giustiziare ottomila persone nell’arco di pochi giorni non è una passeggiata, e la metodologia usata, la presenza di autobus inviati da Belgrado per aiutare nel trasporto dei prigionieri e degli aiutanti di campo, la riesumazione dei corpi per nasconderli, sono tutte prove innegabili dell’intenzione da parte dei serbo-bosniaci di eliminare la popolazione civile in quanto bosniaca e musulmana. Come abbiamo detto, dopotutto, Srebrenica è solo uno dei tanti massacri. Di gran lunga il più atroce, il più grande, il più famoso, ma solo uno.

E’ assurdo che a vent’anni da questi fatti e alla luce di queste prove ci sia ancora chi pubblicamente nega la propria responsabilità, specialmente le rappresentanze politiche della Republika Srpska e della Serbia, che da decenni ne vivono l’onta agli occhi della comunità internazionale. E assurda è la decisione della Russia di bocciare una risoluzione commemorativa per Srebrenica al Consiglio di Sicurezza dell’ONU perchè il testo, secondo l’Ambasciatore Churkin era “politicizzato” e “avrebbe creato inutili tensioni nella regione”.

Come se negare giustizia alle vittime di un genocidio dopo vent’anni non contribuisse ad alimentare tensioni che in un paese ancora oggi diviso come la Bosnia, si stanno facendo ogni giorno più pericolose.

Originally published at www.controversomagazine.com on July 11, 2015 by JDM.

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