“L’Internet” sta uccidendo l’editoria (locale)?

Michele Tesolin
CoopMercurio Blog
Published in
5 min readJan 11, 2016

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L’editoria è probabilmente il settore che più è stato segnato dall’avvento della “rivoluzione digitale”; insieme al mercato della musica (che però ha saputo rinnovarsi puntando su download legale e streaming a pagamento) è infatti il modello di business che più ha patito la disruptive innovation dei nuovi media.

In particolar modo, ovviamente, mi riferisco al campo legato all’editoria delle news, che ha dovuto scontrarsi fin da subito con nuovi modelli fino a quel momento non immaginabili. La diffusione rapida e immediata di siti di news free, il boom dei blog, il fenomeno del civil reporter sono tutti fattori che hanno contribuito ad un declino veloce e apparentemente inarrestabile delle testate di news tradizionali. E se le testate nazionali sono state scosse dalla “crisi dell’avvento di internet”, ma sono rimaste (almeno finora) in piedi, questo non si può dire di molte testate locali, colpite dalla mancanza di lettori paganti e di inserzionisti. Il momento per tutti di rendersi conto che non si sarebbe più tornati indietro è stata l’esplosione dell’uso dei Social Network su mobile (smartphones). Più del 60% degli iscritti a Twitter e Facebook ritengono le due piattaforme delle risorse su cui potersi informare.

“Facciamo una pagina su internet”

(cit. l’editore buontempone)

La soluzione alla crisi dei quotidiani sembrava il classico uovo di colombo: nessuno legge più il nostro giornale su carta?

Facciamoci il sito, dove inserire altra pubblicità, mettiamo alcuni degli articoli del cartaceo, più altra roba che troviamo più o meno legalmente online e compensiamo la mancanza di lettori che vogliono pagare per leggere le nostre news con lettori che invece vengono a cercare le nostra testata solo per il nome e gli articoli “curiosi”.

Questo in gran parte il ragionamento delle testate nazionali e locali. In fondo i video di gattini e “altro”, che si trovano nelle homepage dei giornali online, ti dicono, tirano, ci sono click, ci sono visitatori, (lettori?) e quindi possiamo inserire sempre più banner e pubblicità.

Grazie a Datamediahub per la vignetta giusta al momento giusto!

Un disastro

I lettori hanno iniziato a considerare le testate dei quotidiani online alla stessa stregua di qualunque altro sito con due notizie copia-incollate e due gallerie di foto. Giornali, giornalisti e giornalismo hanno perso la fiducia dei propri lettori, scavalcati da nuove forme di news online, ugualmente free e che si possono sostenere grazie ad un costo nettamente inferiore (con pochissimi redattori e spesso nessun giornalista).

Nel frattempo nel mondo anglosassone i giornali si confrontavo con lo stesso problema, rispondendo però in modo diverso: cercando di convincere i lettori a pagare per leggere le loro notizie anche online.

Così, mentre in Italia i giornali cercavano di restare al passo con i tempi facendo uscire delle app per abbonarsi alla versione PDF del giornale stampato (sigh) altri facevano sul serio, inventandosi nuovi modi per sostenere il proprio business.

Il Paywall

Il New York Times nel 2011 decideva che per leggere più di 20 (poi abbassati a 10) dei suoi articoli online al mese si doveva fare una cosa molto semplice: pagare. In questo modo ha aumentato i ricavi dall’online e sono cresciuti gli abbonamenti al cartaceo, senza però perdere la possibilità di essere letti dai “casual reader”, che non hanno necessità di pagare perchè leggono meno articoli di quelli richiesti per l’abbonamento. Il NYT non è stato il primo giornale a impostare un paywall e soprattutto non è stato l’ultimo, recentemente anche il Wahington Post di Bezos ha inserito un sistema simile. E in Italia? Il Corriere ha recentemente iniziato la stessa politica, i lettori saranno interessati a pagare per leggere gli editoriali delle glorie del Corriere? Il tempo ce lo dirà.

Il Crowdfounding

Un caso interessante, anche perchè italiano, è quello di Valigia Blu, testata giornalistica online che invece si è affidata al crowdfounding. La testata ha raccolto più di 14.000 euro per poter continuare a proporre del giornalismo di qualità e per poter esplorare altre tipologie contenutistiche che altrimenti sarebbero state non sostenibili. E l’ha fatto chiedendo aiuto alla propria comunità e ricevendo in cambio un sostegno entusiasta.

La comunità è il nucleo centrale su cui ogni testata, online o meno, deve puntare.

I lettori devono amare quello che viene scritto e per questo saranno disposti a pagare, tramite abbonamento o donazioni o pagando per i singoli articoli, per far sì che quel giornale che amano resti in vita. Because they care.

Ma…e i giornali locali del titolo?

Gli editori locali in questo contesto, che ho velocemente sintetizzato, si ritrovano a dover inventarsi una nuova tipologia di testata giornalistica, una testata fortemente incentrata sulla propria comunità, in grado di attirare nuovi lettori dalle fasce più giovani della popolazione, che sia fortemente orientata alla lettura in mobilità e che soprattutto produca notizie di qualità e per le quali il nuovo lettore abbia interesse a investire. Investire emotivamente, investire tempo e investire denaro.

I giornali locali (testate online o cartacee che siano) hanno l’assoluta necessità di confrontarsi reciprocamente su un nuovo modello di business, che vada al di là delle lamentele e degli aiuti più o meno evidenti delle istituzioni locali, devono confrontarsi al proprio interno e fra di loro per identificare, prima che sia troppo tardi, una rotta.

Provocatoriamente (ma neanche troppo) lancio il mio suggerimento: una piattaforma comune di paywall per i giornali locali, basato su questo modello:

Una piattaforma mobile dove l’utente sceglie gli articoli che vuole leggere delle diverse testate, disponibili attraverso un abbonamento comune, garantirebbe la pluralità, la qualità e la concorrenza e consentirebbe soprattutto ai quotidiani locali di poter reinventare il proprio modello di business e “sopravvivere all’internet.”

Ma al di là delle proposte è necessario da parte degli editori locali di iniziare una riflessione urgente, prima che sia troppo tardi.

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Michele Tesolin
CoopMercurio Blog

Sociologist, Station Manager, Social Media Lover and basically a geek