È possibile piegare la curva con le sole zone gialle? Alcune indicazioni parziali da Lazio e Veneto

Dallo scorso 3 novembre, con entrata in vigore il 6, il governo italiano ha varato un meccanismo di suddivisione territoriale in base al diverso livello di rischio individuato, con l’adozione di norme di contenimento a severità crescente a seconda del colore della zona: zone gialle, arancioni o rosse. La suddivisione è basata su un modello che tiene conto dei famosi 21 parametri.

Indipendentemente dalla zona di rischio in cui sono state inserite, tutte le Regioni hanno avuto, dall’introduzione di questo sistema, un aumento delle restrizioni: la zona gialla comporta, tra le altre disposizioni, il coprifuoco [1], la chiusura dei centri commerciali nei giorni festivi, la didattica a distanza per le scuole superiori e la chiusura alle 18 per le consumazioni nei bar e ristoranti. La zona arancione aggiunge la chiusura integrale di queste ultime due attività e l’impossibilità di uscire dal proprio comune senza ragioni di lavoro, salute, necessità urgente. La zona rossa invece prevede una sorta di lockdown, in cu viene vietato ogni spostamento se non per alcune motivazioni.

Fin dai primi giorni c’è stato un certo scetticismo riguardo al fatto che alle Regioni, persino in quelle con meno criticità , potessero bastare le sole norme previste per le zone gialle per piegare le curve epidemiche. Ora, a distanza di un mese, abbiamo qualche dato in più per poterne discutere.

Le sole zone gialle sono state sufficienti a fermare la curva nelle regioni messe meglio?

Dal 6 novembre in poi le zone sono state modificate altre 5 volte e attualmente nessuna regione sta più in zona rossa. Tuttavia alcune Regioni sono rimaste sempre in zona gialla: tra le principali, il Veneto e il Lazio. Facciamo un confronto tra queste due Regioni e il Piemonte e la Lombardia, altre due tra le Regioni più grandi del Paese, che invece sono state classificate fin dall’inizio sempre in zona rossa (salvo gli ultimi dieci giorni).

Vediamo i dati sui contagi in rapporto alla popolazione di queste quattro Regioni.

Andamento dei nuovi casi sulla popolazione per Piemonte, Lombardia, Veneto e Lazio e Italia, dati Protezione Civile[2]

Si nota, intanto, come Piemonte e Lombardia abbiano avuto un’incidenza molto maggiore per tutta la parte centrale di novembre. Una salita veloce del numero di contagi, ma anche una decrescita successiva più rapida, probabilmente proprio grazie all’adozione di misure più dure.

Lazio e Veneto invece? Nessuna delle due Regioni, pur restando sempre in zona gialla, ha mai raggiunto i livelli di contagi di Piemonte e Lombardia. Una volta che però sono entrati e diventati organici gli effetti delle nuove misure, quelle delle zone rosse per Lombardia e Piemonte, delle zone gialle per Lazio e Veneto, il calo è stato certamente meno marcato per queste ultime. In un caso, il Lazio, il calo c’è comunque, e questa regione resta ancora a contagi inferiori, e quindi possiamo affermare che sembra essere riuscita a piegare la curva dei contagi anche restando sempre in zona gialla. Nel caso del Veneto, invece, la zona gialla ha solo stabilizzato i contagi, che negli ultimi giorni sembrano però addirittura aver ripreso a crescere. Qui i nuovi casi sono ora divenuti superiori a quelli di Piemonte e Lombardia.

Se guardiamo gli stessi dati per i decessi invece, vediamo che solo il Lazio ha lievemente cominciato a calare. Anche qui i numeri di Piemonte e Lombardia sono molto maggiori, e probabilmente gli effetti delle zone rosse devono ancora entrare appieno sulle curve, anche se si intravede un possibile inizio del calo. Il Veneto invece è ancora in crescita.

Andamento dei decessi sulla popolazione per Piemonte, Lombardia, Veneto e Lazio e Italia, dati Protezione Civile[2]

Piegare la curva senza misure dure? Quanto è possibile

Sicuramente un ruolo determinante per la riuscita del calo dei contagi lo riveste anche la risposta delle persone. Oltre alla severità delle norme serve infatti che queste vengano effettivamente osservate dai cittadini. Ed è anche vero che un’autolimitazione dei contatti, senza la necessità che questa venga imposta, può far calare le curve anche in presenza di norme meno severe.

Oltre a questo, però, un buon modo per mantenere la situazione sotto controllo è continuare a seguire la catena dei contagi, e fermarla il prima possibile. Il cosiddetto contact tracing.

Un modo per verificare la bontà del tracciamento ci viene offerto dai dati forniti dal Ministero della Salute in merito alla valutazione dell’allerta di rischio delle Regioni.

I due dati da guardare sono:

1) La percentuale di positivi di cui una Regione riesce a tracciare i contatti. L’obiettivo ideale ovviamente è il 100%, infatti più questo indice cala, più catene di contagio restano nascoste e più casi positivi emergono senza che se ne conosca la causa.

2) Il tempo mediano impiegato per “scovare” un positivo (espresso in giorni rispetto alla comparsa dei sintomi). Se infatti una persona positiva viene scoperta subito, idealmente addirittura prima che compaiano i sintomi e quindi ricostruendo unicamente le catene di contagio, ci saranno poche occasioni in cui potrà contagiare altre persone. Se invece passano giorni, o persino una settimana, una Regione può anche riuscire a tracciare tutti contagi, ma arriva molto in ritardo perché il positivo rischia di aver già contagiato altre persone. In questo caso l’efficacia del tracciamento viene meno, perché questo rimane sempre “un passo dietro al virus”.

Dati sulla mediana di giorni necessari a trovare e testare un positivo e sulla percentuale di contatti dei positivi tracciati. Per varie regioni. Dati ministero della salute, del report del 20 novembre[3] riferiti al periodo 9–15 nov.

Questi due parametri sono riportati in figura. I dati sono presi dal report del ministero della salute del 20 novembre ma si riferiscono alla seconda settimana del mese, quando sono apparse le maggiori differenze regionali in questi indicatori. Vediamo che Lazio e Veneto hanno mantenuto valori buoni in entrambi i parametri. Il Piemonte invece pur tracciando ancora il 90% arrivava nella mediana dei casi ben 9 giorni dopo la comparsa dei sintomi. La Lombardia invece ci metteva circa 5 giorni, rinunciando però a tracciare i contatti della metà dei casi.

Lazio e Veneto si sono mantenute intorno al 90%, arrivando 1 o 2 giorni dopo la comparsa dei sintomi. Il tracciamento quindi ha per lo più continuato a funzionare. Forse anche questo fattore ha giocato un ruolo nel non fare esplodere le loro curve pur con la sola zona gialla.

Altra cosa fondamentale è tenere sempre sotto controllo la pressione ospedaliera che ci dice quanto l’epidemia in una data Regione è ancora gestibile. L’Istituto Superiore di Sanità ha fissato nel 30% dei posti di Terapia Intensiva e nel 40% degli altri posti in area non critica il massimo di letti che può essere occupato da pazienti COVID senza che questo intacchi in maniera sensibile il funzionamento di tutto il sistema sanitario.

Andamento di Ospedalizzati e Terapie Intensive in Piemonte, Lombardia, Lazio e Veneto (dati Protezione Civile [2]). La soglia è ricavata da dati Agenas di metà novembre[4].

Dalla figura vediamo come queste soglie siano state superate, e in maniera significativa, da Piemonte e Lombardia nella parte centrale di novembre, quando per entrambe le Regioni il numero di ricoverati era ancora in rapida crescita. In entrambe le regioni si rendeva quindi necessario un intervento rapido e efficace per bloccare velocemente questi pericolosi andamenti, come poi sembrano essersi dimostrate le zone rosse. Il Lazio ha superato invece di poco entrambe le soglie, il Veneto ne è rimasto al di sotto. È anche banale da dire, ma ovviamente la percentuale di occupazione, oltre da quanto è diffusa l’epidemia, è determinata anche dal numero di posti totali a disposizione.

Il Veneto ad esempio ha circa 20 posti in TI ogni 100mila abitanti (ultimi dati Agenas), Il Lazio 16, il Piemonte 14 e la Lombardia 13,5. È chiaro che in caso di contagio in espansione accelerata (per esempio di raddoppio dei casi ogni settimana) non c’è molta differenza tra 20 e 14, ma se invece il contagio progredisce più lentamente e comincia a flettere prima, i posti in più possono dare un piccolo margine di manovra extra.

Per finire possiamo notare alcuni interessanti parametri sulla mobilità: la figura mostra alcuni dati nelle varie regioni dell’indice Apple Mobility.

Dati Apple Mobility sulla mobilità nelle varie regioni [5]

Ci fa vedere in particolare come nel Lazio la mobilità si era già ridotta rispetto a quella normale ancor prima che iniziassero le limitazioni. In Piemonte invece la mobilità era molto superiore a ottobre, con Veneto e Lombardia che si collocano in mezzo tra le due. Anche questo è un parametro da prendere in considerazione. Nelle curve di Piemonte e Lombardia vediamo poi l’enorme differenza avviata con l’inizio di novembre dovuta alle zone rosse, una conferma di come queste misure rigide riducano effettivamente la mobilità. Anche Lazio e Veneto però riducono la mobilità rispetto a ottobre, anche grazie all’introduzione delle sole zone gialle.

Si può piegare la curva senza finire in zona rossa?

La risposta forse volendo essere ottimisti potrebbe essere “sì”. Serve però che molte cose funzionino al meglio. D’altronde le curve di figura 1, soprattutto per il Veneto, ci mostrano che non ci sono comunque garanzie e che la zona gialla potrebbe non bastare anche nei casi migliori, con tracciamento funzionante e molti posti letto per assorbire l’aumento dei casi critici. Il Lazio però per ora sembra effettivamente aver mantenuto la situazione sotto controllo senza bisogno di misure rigide.

D’altro canto, sembra che le zone rosse portino a effetti di calo molto marcati: ne abbiamo forti indizi per quanto riguarda la curva dei casi e stiamo ancora aspettando conferme dagli andamenti dei decessi. Se questo è vero abbiamo quindi un freno di emergenza che sembra essere efficace. Tentare la strada delle misure più morbide quindi non sembra del tutto inutile, specie se l’obiettivo è soprattutto salvaguardare la tenuta del sistema sanitario, ma con un “interruttore” per cambiare colore, ossia regime, con prontezza qualora la situazione peggiorasse.

Francesco Luchetta è dottore in fisica e editor della pagina.

La redazione di questo articolo è a cura di Valeria Persichetti

Fonti:

[1] Vademecum Governo su norme zone gialle, arancioni, rosse:

http://www.governo.it/sites/new.governo.it/files/Dpcm_20201103_aree.pdf

[2]Dati Protezione Civile

https://github.com/pcm-dpc/COVID-19/tree/master/dati-regioni

[3] Report 27 Monitoraggio Fase 2 Dati relativi alla settimana 9–15 novembre 2020 — Ministero della Salute:

http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_notizie_5182_0_file.pdf

[4] Agenas Dati Occupazione Ospedaliera Covid

https://www.agenas.gov.it/covid19/web/index.php#

[5] Apple Mobility Trend:

https://covid19.apple.com/mobility

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Francesco Luchetta
Coronavirus — Dati e Analisi Scientifiche

Fisico, calabrese, romano di nascita E di adozione, data analyst, drogato di caffeina, editor di “coronavirus dati e analisi scientifiche”, movies addicted.