COVID-19: in Danimarca la variante inglese sembra resistere anche al lockdown

Un gruppo di ricercatori del Statens Serum Institut ha dimostrato che, mentre il valore di Rt in Danimarca è ampiamente al di sotto di 1 grazie alle rigide misure di contenimento tuttora in vigore, lo stesso parametro calcolato per la sola variante inglese risulta 1,07. Si tratta di un’ulteriore prova scientifica della maggiore contagiosità di questa nuova variante.

In Danimarca ci sono due epidemie: la prima, in forte decrescita, causata delle vecchie varianti del SARS-CoV-2; la seconda, che invece sta crescendo con un Rt di 1,07 e nonostante le rigide misure di contenimento intraprese, dovuta alla variante B.1.1.7 o anche conosciuta come ‘variante inglese’.

A rivelarlo sono gli scienziati del Statens Serum Institut, un istituto di ricerca sulle malattie infettive situato a Copenaghen. I ricercatori danesi si sono concentrati su un grande lavoro di sequenziamento del virus che gli ha permesso di monitorare con molta accuratezza l’ascesa della nuova variante della Covid-19, e i risultati non sono affatto rassicuranti. Sembra infatti che la variante inglese si diffonda 1,55 volte più velocemente rispetto alle precedenti e che possa resistere anche all’irrigidimento delle misure adottate da inizio gennaio dal governo danese, che aveva già chiuso scuole e ristoranti e che ha deciso di ridurre da 10 a 5 il numero di persone autorizzate a radunarsi e ha raddoppiato il distanziamento interpersonale da 1 a 2 metri. Questi provvedimenti hanno contribuito a portare Rt complessivo a 0,78, un valore decisamente rassicurante che indica che l’epidemia è in forte miglioramento. Lo scenario cambia però se, come hanno fatto gli scienziati danesi, si va a guardare al numero riproduttivo delle singole sequenze del virus: in questo caso si scopre che la variante B.1.1.7 ha un Rt ancora maggiore di 1 e presto diventerà dominante anche in Danimarca. Basti pensare che da inizio dicembre 2020 a fine gennaio 2021 i casi Covid-19 dovuti alla nuova variante sono passati dallo 0,5% al 13%.

I NUMERI DANESI

La Danimarca è un Paese di soli 5,8 milioni di abitanti che dall’inizio della pandemia ha registrato poco più di 200mila casi, con un’incidenza di 35mila casi ogni milione, e 2.200 morti, ovvero 379 ogni milione. Se la prima ondata di marzo e aprile 2020 ha toccato un picco di “soli” 390 casi giornalieri, la seconda è stata ben più dirompente, con un picco che ha superato a dicembre 2020 i 4.500 casi positivi in un solo giorno. Proprio per questo il governo ha optato per un lockdown nazionale e per un ulteriore irrigidimento di alcune misure di contenimento già in vigore dalla prima ondata, che hanno avuto l’effetto di abbattere molto velocemente la curva dei contagi che oggi registra in media 450 unità al giorno.

I ricercatori danesi non si sono però soffermati solo su questi numeri e hanno deciso di andare più in profondità nelle loro analisi. «Certo, i numeri sembrano belli» afferma su Science Magazine Camilla Holten Møller dello Statens Serum Institute, che guida un gruppo di esperti che modellano l’epidemia. «Ma se guardiamo i nostri modelli, questa è la calma prima della tempesta. Se B.1.1.7 continua a diffondersi allo stesso ritmo in Danimarca, diventerà la variante dominante alla fine di questo mese e farà aumentare nuovamente il numero complessivo di casi, nonostante il blocco.»

IL SEQUENZIAMENTO DEL VIRUS

La variante inglese è al momento stata individuata in oltre 50 nazioni, Italia inclusa, e come riporta Giancarlo Sturloni su Oggi Scienza «In Gran Bretagna, Irlanda e nei Paesi Bassi è già diventata dominante, mentre in Francia e negli Stati Uniti si teme che lo diventerà entro marzo.»

Come fare quindi a tracciare l’evoluzione di una variante rispetto alle altre, per comprenderne gli sviluppi e anticiparne le mosse, anche quando i dati epidemiologici sembrano rassicuranti? La parola chiave è sequenziamento, ovvero la codifica delle istruzioni presenti sui frammenti di DNA o di RNA dei virus, informazioni fondamentali per comprenderne il funzionamento. Il Regno Unito per sequenziare il virus preleva ogni giorno circa il 10% dei tamponi effettuati (riescono a farne oltre il doppio rispetto all’Italia) e li manda in appositi laboratori proprio per farli sequenziare. In questo modo si riesce ad avere un monitoraggio molto più accurato dell’evoluzione dell’epidemia, che non si limita ad osservare una generica curva dei contagi salire o scendere, ma che è in grado di rappresentare più curve, una per ogni variante del virus individuata.

Lo stesso stanno facendo in Danimarca e il risultato è quello dei grafici in Figura 1: il primo, in alto, è quello delle vecchie varianti di SARS-CoV-2, in rapida discesa; il secondo, in basso, della variante B.1.1.7, che al contrario è in salita.

Figura 1 — In alto il grafico dell’andamento dei casi Covid-19 settimanali dovuti alle vecchie varianti del Sars-CoV-2. In basso i casi dovuti alla variante inglese B.1.1.7.

COME SI STA MUOVENDO L’ITALIA?

L’Italia purtroppo è partita in ritardo e soltanto il 19 gennaio è stato istituito dal Ministero della Salute un tavolo tecnico per la sorveglianza viro-immunologica di infezioni emergenti, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità con il patrocinio della Società Italiana di Virologia. La task-force italiana lavorerà sulla falsariga del consorzio Genomic UK (COG-UK) inglese, nato ad aprile 2020 e che a metà gennaio 2021 aveva analizzato oltre 200mila genomi del SARS-CoV-2, scovandoli nelle case di cura, nelle scuole, nelle università e negli ospedali, attraverso «diffuse attività di monitoraggio e con lo sviluppo di strumenti di bioinformatica e condivisione dei dati liberamente disponibili», spiega sul Sole24Ore Massimo Ciccozzi, responsabile dell’Unità di Statistica medica ed Epidemiologia dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. «Nel consorzio saranno impiegati i laboratori di virologia regionali attrezzati per la produzione delle sequenze genomiche e con tutte le informazioni epidemiologiche che servono per fare delle analisi filogenetiche e bioinformatiche, così da poter capire se e dove ci può essere una circolazione di ceppi virali varianti, fare una analisi di mutazioni per capire fenotipicamente se ci sono stati adattamenti evolutivi e di che tipo (contagiosità, letalità e così via). E così si costituirà anche un database contenente sequenze italiane messe a disposizione dei ricercatori di tutto il mondo».

RIFERIMENTI

[1] Danish scientists see tough times ahead as they watch more contagious COVID-19 virus surge, Science Magazine, Feb. 2021, http://bit.ly/36JJltI

[2] Status for udvikling af B.1.1.7 og andre mere smitsomme varianter i Danmark, Statens Serum Institut, Feb.2021, https://bit.ly/3oO3e9n

[3] Quanto sono davvero pericolose le nuove varianti del coronavirus?, di Giancarlo Sturloni su Oggi Scienza, Feb. 2021, http://bit.ly/3pUJKRA

[4] Coronavirus, come funzionerà la task-force italiana per lo studio delle varianti, di Nicola Barone su Il Sole24Ore, Gen. 2021, http://bit.ly/3rk0Oki

Giorgio Sestili, fisico e comunicatore scientifico, è fondatore del progetto Coronavirus — Dati e Analisi Scientifiche e del sito http://giorgiosestili.it/

La redazione di questo articolo è a cura di Valeria Persichetti, laureata in Bioingegneria ed editor di Coronavirus — Dati e Analisi Scientifiche.

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