IL NUOVO FARMACO CHE LASCIA IL VIRUS FUORI DALLA PORTA

Ricordate che il (quasi ex) presidente degli USA Donald Trump è risultato positivo alla COVID-19? E che, come mostrato dalla sua presenza fissa in televisione nei giorni delle elezioni presidenziali, si è ripreso abbastanza in fretta? Le sue affermazioni circa la miracolosità della cura ricevuta erano prive di fondamento scientifico, soprattutto un mese fa quando le prove di efficacia erano insufficienti. La sua guarigione potrebbe non essere affatto legata al farmaco sperimentale ricevuto — e non sappiamo nemmeno quale fosse il suo reale stato di malattia. Comunque, è interessante che per il (quasi ex) Presidente degli USA sia stato scelto un cocktail di anticorpi monoclonali neutralizzanti, evidentemente ritenendoli promettenti.

Ebbene, il 9 Novembre della scorsa settimana è stato annunciato che la Food and Drug Administration statunitense (FDA) ha concesso l’autorizzazione per l’uso di emergenza (Emergency Use Authorization o EUA) al primo farmaco specificamente sviluppato contro SARS-CoV-2 e si tratta proprio di un anticorpo monoclonale neutralizzante. Ma non lo stesso dato a Trump. L’anticorpo monoclonale approvato è Bamlanivimab (LY-CoV555) 700-mg, prodotto dalla compagnia Eli Lilly [1]. L’utilizzo di Bamlanivimab è autorizzato per il trattamento di adulti e bambini sopra i 12 anni confermati positivi per COVID-19, con sintomi da lievi a moderati e che sono ad alto rischio di peggioramento. Il farmaco deve essere somministrato, attraverso un’unica infusione intravenosa, entro 10 giorni dalla comparsa dei sintomi.

L’autorizzazione EUA non è una vera e propria approvazione di un farmaco, ma la concessione del suo uso in situazioni di emergenza sanitaria — e limitatamente al periodo temporale dell’emergenza — attraverso un iter più breve, basato comunque su evidenze scientifiche, ma meno stringenti per quanto riguarda l’efficacia [2]. Infatti, nel caso di Bamlanivimab, la prova di efficacia che ha portato alla decisione dell’FDA è stato il modesto risultato, pubblicato sulla rivista NEJM (New England Journal of Medicine), della fase II di sperimentazione clinica, chiamata BLAZE-1 [3].

Quanto meglio di un placebo?

Lo studio ha coinvolto 452 pazienti con sintomi lievi o moderati, ciascuno assegnato in maniera casuale a ricevere una singola iniezione intravenosa di Bamlanivimab o di placebo. Al giorno 11 è stata misurata la carica virale: la maggior parte dei pazienti, sia riceventi il farmaco che il placebo, ha mostrato una diminuzione della carica virale, ma i pazienti che hanno ricevuto il farmaco nella dose 700 mg — quella successivamente approvata — hanno avuto in media una diminuzione lievemente maggiore (circa due volte maggiore in media, ma con grande variabilità tra i pazienti). Inoltre, solo l’1,6% dei pazienti riceventi il farmaco è stata ospedalizzata, contro il 6,3% nel gruppo di controllo. Gli effetti avversi sono stati simili per farmaco e placebo e da lievi a moderati.

Si tratta di risultati modesti ma incoraggianti, perché non sono gli unici. Per fare un esempio: a fine ottobre la compagnia Regeneron — la stessa che ha prodotto gli anticorpi dati a Trump — ha annunciato i risultati preliminari della sperimentazione di fase II/III del suo cocktail di due anticorpi monoclonali neutralizzanti REGN-COV2 [4]. Tali risultati, ottenuti su 799 pazienti, non sono ancora pubblicati su una rivista scientifica internazionale, ma i primi annunci della casa produttrice fanno ben sperare. Sembra infatti che ci sia stata una notevole riduzione della carica virale nei pazienti riceventi il cocktail rispetto al gruppo ricevente placebo, al settimo giorno dalla somministrazione. Ma aspettiamo ad esultare: non sono ancora chiare le dosi somministrate né i margini di errore delle misure, I risultati migliori che la compagnia dichiara si sono avuti con pazienti con elevata carica virale iniziale e che non avevano già sviluppato autonomamente i loro anticorpi contro SARS-CoV-2. Al momento, anche REGN-COV2 è in fase di valutazione per ottenere la EUA nella dose più bassa testata.

Neutralizzare il virus significa non farlo entrare

Sono ormai mesi che diversi gruppi e aziende farmaceutiche stanno puntando sullo sviluppo di anticorpi monoclonali neutralizzanti. Ma cosa sono e perché potrebbero essere l’arma adatta contro SARS-CoV-2? Gli anticorpi sono le proteine che il nostro sistema immunitario produce naturalmente in risposta ai patogeni. Quando un virus vuole entrare in una cellula, un po’ come un truffatore che voglia introdursi in casa nostra, lo fa presentandosi in maniera cordiale. Comincia tutto con una “stretta di mano” tra proteine: da una parte quelle sulla superficie del virus e dall’altra i recettori — cioè le proteine che lo ricevono — sulla membrana cellulare, la porta di casa. Ma la stretta di mano è un tranello. Ora il virus può varcare la soglia e fare il suo ingresso nella cellula.

Gli anticorpi neutralizzanti “mascherano” le proteine che dovrebbero essere riconosciute dai recettori, cosicché la stretta di mano non possa avvenire e il virus non possa entrare. Nel campo della vaccinazione, è stato notato che l’efficacia dei vaccini è di solito associata alla produzione di una grande quantità di anticorpi neutralizzanti [5]. Perciò, si ritiene che questi possano essere anche potenziali armi terapeutiche. Anticorpi neutralizzanti sono stati utilizzati con successo durante un’epidemia di Ebola nella Repubblica Democratica del Congo nel 2019, quando nessun’altra terapia aveva funzionato [6].

Un’arma specifica contro SARS-CoV-2

La stretta di mano tra la proteina sulla superficie virale e il recettore umano è diversa per ogni virus, nel senso che in virus diversi coinvolge attori diversi. Per SARS-CoV-2, è una proteina chiamata Spike a riconoscere i recettori della cellula umana. Gli anticorpi neutralizzanti contro SARS-CoV-2 si legano — mascherandola — alla proteina Spike. Questo li rende specifici contro il nuovo coronavirus, a differenza degli altri farmaci che al momento possono essere utilizzati per trattare i pazienti affetti da COVID-19. Questi farmaci possono essere divisi in due gruppi: quelli che agiscono sul virus, impedendogli di moltiplicarsi nel nostro organismo [7] e quelli che alleviano solo specifici sintomi della COVID-19, come corticosteroidi, eparina ed antibiotici (qui trovate un link al nostro articolo sull’uso e abuso di antibiotici durante la pandemia: https://bit.ly/3f8zOQ0). I primi, però, al momento sono solo farmaci sviluppati contro altri tipi di virus, e che sembrano avere una qualche efficacia anche contro SARS-CoV-2. Un esempio è Veklury (remdesivir), un antivirale ad ampio spettro che agisce contro i virus che hanno un genoma a RNA, come i Coronavirus. Remdesivir è stato il primo farmaco approvato per la COVID-19, a fine Ottobre [8], ne avevamo parlato qui: https://bit.ly/2UGClr3.

L’elezione del candidato

No, non stiamo parlando ancora di presidenti statunitensi. Vogliamo raccontarvi come Ely Lilly è arrivata a “eleggere” proprio Bamlanivimab (LY-CoV555) tra i tanti anticorpi monoclonali tra cui scegliere, perché un processo simile avviene in tutti gli studi che vogliono sviluppare anticorpi monoclonali contro un virus [9].

Si parte nientedimeno che dal sangue di pazienti positivi a SARS-CoV-2, raccolto qualche settimana dopo lo sviluppo dei sintomi per dare il tempo ai pazienti di sviluppare i loro anticorpi. Questo sangue contiene non uno, ma tantissimi diversi anticorpi monoclonali neutralizzanti. ‘Monoclonale’ significa derivante da un singolo clone di cellule, cioè un gruppo di cellule tutte molto simili tra loro.

Durante una risposta immunitaria, nel nostro organismo abbiamo al lavoro tanti diversi cloni di linfociti B, le fabbriche di anticorpi del nostro sistema immunitario, che allo stesso tempo producono ciascuno il suo specifico anticorpo monoclonale. Per aumentare le probabilità di vittoria contro SARS-CoV-2, ogni anticorpo monoclonale maschera una regione diversa delle proteine di superficie del virus, perché in biologia “l’unione fa la forza”.

Così la compagnia farmaceutica parte dal sangue dei pazienti ma poi, attraverso diverse tecniche di biologia molecolare e con l’aiuto di modelli computazionali, sceglie l’anticorpo monoclonale — o la combinazione di alcuni di essi, come nel caso del cocktail di Regeneron — che mostra la maggiore capacità di neutralizzare il virus, cioè la capacità di impedire al virus di “stringere la mano” alla nostra cellula e quindi entrarvi e danneggiarla.

L’eletto viene prodotto in grandi quantità all’interno di grandi bioreattori, veri e propri contenitori di cellule, che in questo caso sono state ingegnerizzate per produrre senza sosta l’anticorpo desiderato.

E quindi?

Quindi la strategia degli anticorpi sembra promettente. Quindi, di nuovo, la natura stessa fornisce alla scienza lo spunto per la soluzione a un problema medico. Ma siccome la produzione di anticorpi monoclonali è particolarmente costosa, il compito che ci resta sarà unire l’etica alla nostra intelligenza e rendere questi farmaci disponibili per tutti.

L’articolo è scritto da Sara Formichetti , dottoranda in Biologia Molecolare, e redatto da Monica Murano. L’illustrazione è opera di Marzia Munafò.

Fonti:

[1] Annuncio dell’EUA da parte di Ely Lilly: https://investor.lilly.com/news-releases/news-release-details/lillys-neutralizing-antibody-bamlanivimab-ly-cov555-receives-fda

[2] Definizione di EUA: https://www.fda.gov/emergency-preparedness-and-response/mcm-legal-regulatory-and-policy-framework/emergency-use-authorization

[3] Articolo originale risultati BLAZE-1: https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2029849

[4] Annuncio di Regeron: https://investor.regeneron.com/news-releases/news-release-details/regenerons-covid-19-outpatient-trial-prospectively-demonstrates/

[5] https://cvi.asm.org/content/17/7/1055

[6] https://science.sciencemag.org/content/368/6491/564?ijkey=986fd6e41c23c39abc8f165a9a9786f709f2eb1d&keytype2=tf_ipsecsha

[7] Schede AIFA sui farmaci utilizzabili nella clinica sui pazienti COVID-19:

https://www.aifa.gov.it/aggiornamento-sui-farmaci-utilizzabili-per-il-trattamento-della-malattia-covid19

[8] Annuncio FDA dell’approvazione di remdesivir: https://www.fda.gov/news-events/press-announcements/fda-approves-first-treatment-covid-19

[9] Su come sono arrivati a Bamlanivimab:

https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2020.09.30.318972v3.full.pdf+html

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Sara Formichetti
Coronavirus — Dati e Analisi Scientifiche

Former PhD student in Boulard Lab @ EMBL Rome, soon PostDoc in Gregor Lab @ Institut Pasteur. Plus singer — and I do love music as much as studying the genome.