La rincorsa del virus

La variante inglese. La variante sudafricana. E adesso la variante brasiliana. Cosa sono? Alcune (oggi le più nominate) tra le diverse “versioni” in cui lo stesso virus, SARS-CoV-2, si presenta. D’altronde ce lo aspettavamo: il braccio di ferro, o la rincorsa, come ci ricorda l’illustrazione di Marzia, tra SARS-CoV-2 e le nostre difese o armi per combatterlo, si osserva in biologia in tutte le coppie ospite-parassita. Sapremo stare dietro al virus?

Per rispondere a questa domanda, cerchiamo prima di capire quanto un virus è in grado di “mutare” e poi perché alcune di queste mutazioni ci spaventano più di altre.

Ovviamente, la nomenclatura geografica delle varianti indica solo il luogo dove sono state isolate per la prima volta. Virus e batteri sono apolidi e, purtroppo, ottimi viaggiatori.

Quanto corre velocemente SARS-CoV-2?

I virus con un genoma a RNA sono tra le particelle biologiche replicanti — non possiamo definirli esseri viventi dato che necessitano di altri organismi per replicare — con la capacità di mutare più velocemente. Cosa significa che un virus “muta”?

Il genoma di un virus è, come tutti i genomi, una sequenza di lettere, che portano con sé l’informazione per costruire le proteine. Una mutazione è un cambiamento in una di queste lettere. Le mutazioni si verificano spontaneamente in tutti i genomi della natura, per effetto di agenti esterni o per errori nel processo di replicazione del genoma stesso. Mutazioni avvengono continuamente anche nel genoma delle nostre cellule, ma con una frequenza abbastanza bassa, grazie ai meccanismi che esse hanno evoluto per rendere la replicazione del nostro DNA un processo molto accurato.

I virus, invece, si sono evoluti per mutare più velocemente di noi, grazie a meccanismi di replicazione che sbagliano abbastanza spesso, così da far loro accumulare una buona dose di mutazioni. La prima domanda è: perché?

Le mutazioni, come spiegato sopra, non nascono con uno scopo ma si accumulano spontaneamente. È l’ambiente che poi seleziona quelle che in esso conferiscono un vantaggio. Se a disposizione c’è un ventaglio maggiore di mutazioni, sarà più probabile trovarne di vantaggiose per un maggior numero di ambienti [1]. Gli ambienti possono essere una nuova specie — pensiamo al fatto che SARS-CoV-2, modificandosi, è riuscito a passare dal pipistrello all’uomo — o il sistema immunitario dell’ospite.

Attenzione però, troppe mutazioni sarebbero dannose anche per il virus, perché con la stessa frequenza delle mutazioni favorevoli si possono accumulare quelle che ne impediscono la replicazione, portandolo all’estinzione. Per questo ogni virus tenta di trovare il giusto compromesso. Ad esempio, grazie a un meccanismo di correzione degli errori [2], i coronavirus hanno una velocità di mutazione che è circa la metà del virus HIV [3]. Nonostante ciò, SARS-CoV-2 sta avendo una grande opportunità di mutare, grazie alla dimensione globale dell’epidemia e all’elevata capacità di trasmissione. Quando poi la trasmissione è lasciata andare incontrollata, come in Brasile, il virus ha piena capacità di evolversi.

In che direzione corre SARS-CoV-2?

La variante più diffusa in Europa durante la prima ondata di marzo 2020, detta G614, è già diversa da quella che si è diffusa in Cina a fine 2019. La diversità sta in un singolo amminoacido — il numero 614 appunto — della proteina spike, utilizzata dal virus per agganciarsi alle nostre cellule ed aprirsi la porta per entrarvi. Gli amminoacidi sono i mattoni che costituiscono le proteine e ne determinano la forma e la funzione. Si inizia a dimostrare che il cambiamento di quel particolare mattone conferisce a SARS-CoV-2 una maggiore capacità di entrata nelle nostre cellule [4]. Ma come si fa a dimostrare ciò?

Questi studi si basano, da una parte, sull’analisi dei genomi di SARS-CoV-2 ritrovati nei cluster delle diverse regioni del globo, dall’altra su modelli computazionali della forma della proteina spike originaria e “variante”. I modelli della proteina spike servono a capire come il cambiamento di un amminoacido della proteina possa impattare sulla sua funzione. Nel caso di G614, la parte della proteina spike che serve a stringere la mano al “recettore” — cioè la proteina che la accoglie sulla cellula umana — sembra essere più disponibile alla stretta di mano.

L’analisi dei genomi ritrovati nei cluster serve per capire se la maggiore diffusione di una variante sia effettivamente dovuta al fatto che conferisca al virus un vantaggio, o se dipenda da altre cause. Una possibilità alternativa è ad esempio il cosiddetto “effetto del fondatore”: se un singolo individuo infetto si sposta in una nuova regione ancora libera dal virus porterà con sé solo la sua variante, che diventerà quella dominante nella regione di arrivo.

E la cosiddetta “variante inglese”?

Da quale mutazione è caratterizzata? Molteplici. E, anche in questo caso, la maggior parte dei mattoni interessati sono implicati nella stretta di mano al recettore [5], conferendo una capacità particolarmente aumentata di interazione con le cellule umane e quindi di infettività. Addirittura, ormai diversi studi basati sul tracciamento della variante nei pazienti della Gran Bretagna [6,7] convergono sul fatto che essa sia circa il 50% più infettiva. Detto in altre parole, il diffondersi di tale variante porterebbe l’ormai famoso parametro R(t) a crescere improvvisamente.

La paura è che questa variante possa anche sfuggire alla nuova arma portata dal 2021 — i vaccini. Nuovi dati si accumulano di giorno in giorno, ma da quelli oggi a disposizione, anche se in molti casi solo preliminari e non ancora pubblicati (pre-prints), sembra che per questa specifica variante questo rischio non ci sia. Nello studio di un gruppo di Seattle [8], i ricercatori hanno effettuato degli esperimenti in provetta per capire se gli anticorpi presenti nel siero di pazienti convalescenti da COVID-19 fossero in grado di neutralizzare le principali varianti conosciute di SARS-CoV-2, cioè renderle incapaci di entrare nelle cellule. I risultati mostrano, in primo luogo, che la capacità di neutralizzazione verso tutte le varianti è stata molto variabile tra i diversi individui. In secondo luogo, la variante inglese non è stata tra le varianti che hanno causato una significativa riduzione della capacità neutralizzante.

Era solo questione di tempo: la “variante brasiliana”

Lo studio dei ricercatori di Seattle mostra anche quali delle mutazioni da essi testate siano in grado di rendere inefficace la risposta anticorpale dei pazienti. Sono le mutazioni dell’amminoacido numero 484 della proteina spike. Questo tipo di mutazione era già stato rilevato in Brasile, e il 9 gennaio il Giappone ne ha riportato la presenza in 4 passeggeri dal Brasile [9], insieme ad altre mutazioni comuni alla variante inglese. Tale “caipirinha” è stata definita “variante brasiliana” e per essa i governi stanno giustamente tenendo la massima allerta.

Tante bandiere, una sola regione

Per riassumere, queste varianti, seppur diverse, hanno in comune il fatto di impattare la stessa regione di spike, quella che incontra il recettore ma anche quella che incontra gli anticorpi che produciamo naturalmente o in seguito alla vaccinazione.

Certo, bisogna sottolineare che la risposta immunitaria, anche quella sviluppata grazie al vaccino, non si compone solo di anticorpi neutralizzanti. Le nostre difese potrebbero essere comunque in grado di combattere il virus. Per ora, però, la risposta anticorpale è stata l’unica valutata dalle sperimentazioni cliniche dei vaccini approvati, quindi la comunità scientifica sta monitorando attentamente questo aspetto.

Cosa possiamo e dobbiamo fare?

Tre parole chiave: vaccinazione (massiva e rapida), tracciamento, aggiornamento.

Il virus continuerà ad accumulare varianti che lo renderanno sempre più trasmissibile ed eventualmente più in grado di evadere le nostre difese. La rincorsa tra virus e ospite converge verso un buon compromesso tra letalità e trasmissibilità: un numero sempre maggiore di ospiti mantenuti vivi, ma allo stesso tempo non troppo veloci a uccidere il virus, in modo da essere comunque in grado di trasmetterlo al vicino. Ma non è chiaro dove sia questo traguardo per SARS-CoV-2, mentre sembra chiaro che ci saranno fasi di crescita dell’infettività senza che la mortalità smetta di essere un problema.

Una campagna vaccinale rapida — limitando la sintomatologia più grave — permetterebbe al virus di fare meno vittime e, sperabilmente, anche di circolare e quindi mutare meno.

Date le nuove varianti, servirebbe una campagna ancora più rapida di quanto pianificato.

Il tracciamento delle varianti può e deve essere effettuato parallelamente ai test per la positività. Infatti, per fare un esempio, le mutazioni presenti nella variante inglese sono riscontrabili utilizzando in maniera opportuna il classico tampone molecolare. Inoltre, alcuni test sviluppati negli ultimi mesi, come LamPORE della compagnia Oxford Nanopore [10], permettono il contemporaneo rilevamento e sequenziamento del genoma di SARS-CoV-2 presente nello specifico paziente testato. Sequenziare un genoma significa leggerlo lettera per lettera, individuando tutte le mutazioni presenti.

L’aggiornamento dei vaccini al virus mutato è ciò che avviene regolarmente con i nuovi ceppi di influenza. Può funzionare bene sia con i vaccini più tradizionali, come quello di AstraZeneca o quello cubano, sia con i vaccini a mRNA (qui https://bit.ly/2XY6x2s il nostro ultimo approfondimento sui vaccini).

La ricerca scientifica si è dimostrata molto veloce a rispondere all’emergenza. La capacità produttiva delle singole aziende farmaceutiche, le costrizioni imposte dai brevetti e la capacità dei governi di organizzare il piano vaccinale sembrano gli attuali colli di bottiglia. Per i quali lanciamo la palla (e il nostro appello) alla politica.

L’articolo è scritto da Sara Formichetti , dottoranda in Biologia Molecolare, e redatto da Giorgio Sestili.
L’illustrazione è opera di Marzia Munafò.

Fonti:

[1] https://jvi.asm.org/content/92/14/e01031-17#sec-3

[2] https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S1097276520305189?via%3Dihub#bib52

[3] https://bmcecolevol.biomedcentral.com/articles/10.1186/1471-2148-4-21

[4] https://academic.oup.com/mbe/advance-article/doi/10.1093/molbev/msaa337/6059230?guestAccessKey=d4fda8f1-5c61-4f20-9c6f-16f5eb65c429

[5] https://virological.org/t/preliminary-genomic-characterisation-of-an-emergent-sars-cov-2-lineage-in-the-uk-defined-by-a-novel-set-of-spike-mutations/563

[6] https://virological.org/t/lineage-specific-growth-of-sars-cov-2-b-1-1-7-during-the-english-national-lockdown/575

[7] https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/mrc-gida/2020-12-31-COVID19-Report-42-Preprint-VOC.pdf

[8] https://www.biorxiv.org/content/10.1101/2020.12.31.425021v1.full.pdf

[9] https://www.news-medical.net/news/20210115/COVID-19-Developments-in-the-Brazilian-SARS-CoV-2-variant.aspx

[10] https://nanoporetech.com/covid-19/lampore

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Sara Formichetti
Coronavirus — Dati e Analisi Scientifiche

Former PhD student in Boulard Lab @ EMBL Rome, soon PostDoc in Gregor Lab @ Institut Pasteur. Plus singer — and I do love music as much as studying the genome.