‘L’efficacia del vaccino è del 95%’. Ma che significa?

Se questo Natale ci ha regalato le prime dosi di un vaccino per la Covid-19, efficace al 95% come recitano i titoli dei giornali negli ultimi giorni, si è però dimenticato di spiegare che cos’è l’efficacia di un vaccino. In effetti non sarebbe poi così terribile, per un non-addetto ai lavori, pensare che se il vaccino è efficace al 95%, allora 95 persone su 100 a cui verrà somministrato saranno protette dal virus. In realtà non è proprio così.

Il rischio

Senza troppi formalismi, con il termine rischio si intende la probabilità che un evento (positivo o negativo) si possa verificare. In questo caso, parliamo di rischio di contrarre l’infezione da Covid-19. Il rischio non è sempre uguale per tutti, ma dipende da chi prendiamo in considerazione. In questo caso consideriamo due gruppi di persone, più o meno della stessa dimensione: a un gruppo viene somministrato il vaccino Pfizer-BioNTech e all’altro un placebo, cioè una sostanza priva di alcun principio attivo. Si osserva che nel gruppo dei vaccinati, 8 persone su 17.411 hanno sviluppato sintomi tipici della Covid-19 e sono risultati positivi al virus. Invece nel gruppo dei placebo, tra le 17.511 osservate, sono 162 ad aver sviluppato la stessa malattia con sintomi. Non servono metodi matematici avanzati per rendersi conto che c’è una differenza notevole tra i due numeri. Il rischio assoluto di sviluppare sintomi ed essere positivi al virus tra quelli che hanno preso il vaccino è dello 0,046% (8/17411*100), mentre tra quelli che non hanno preso il vaccino è dello 0,925% (162/17511*100). Sono entrambe percentuali molto basse. Meno di una persona su 100 sviluppa sintomi in entrambi i gruppi. Se calcoliamo su 10.000 persone quanti svilupperanno i sintomi, abbiamo che sono circa 5 nel gruppo dei vaccinati e circa 93 nel gruppo non sottoposto al vaccino. Su grandi numeri i risultati sembrano essere maggiori.

La riduzione del rischio

A noi però non interessa solo sapere il rischio nei due gruppi, ma vogliamo conoscere quanto efficace è il vaccino, cioè in qualche modo confrontare i due gruppi e i loro rispettivi rischi di contrarre la malattia. Abbiamo almeno due modi per farlo: in termini assoluti e in termini relativi.

In termini assoluti quello che facciamo è una semplice sottrazione tra i due rischi: 0,00925–0,00046 = 0,00879 o usando le percentuali 0,879%. L’interpretazione è semplice: la riduzione assoluta del rischio (ARR, così viene definita) è dello 0,879% e rappresenta la percentuale di persone che non hanno contratto la malattia e sviluppato sintomi dopo la somministrazione del vaccino (ma che sarebbero risultate infette senza vaccino, 156 nello studio del vaccino Pfizer-BioNTech). Possiamo anche calcolare la riduzione in termini relativi. In questo caso dividiamo la riduzione assoluta del rischio per il rischio esistente in partenza, cioè senza l’introduzione del vaccino (che sarebbe quello della popolazione che ha ricevuto il placebo). La riduzione relativa del rischio (RRR) rappresenta dunque la percentuale di rischio esistente in partenza che viene cancellata dopo la somministrazione del vaccino. Nel caso del vaccino Pfizer-BioNTech sappiamo essere del 95% (0,879/0,925), cioè il rischio di sviluppare la Covid-19 con sintomi senza vaccinazione, il 0,925%, viene ridotto del 95%, e arriva a 0,046% grazie alla somministrazione del vaccino.

L’efficacia del vaccino

Allora, il vaccino Pfizer-BioNTech ha una riduzione assoluta del rischio pari a 0.879% e una riduzione relativa del 95%. Perché due numeri così diversi tra loro? È importante capire che la riduzione assoluta dipende da quanto grande è il rischio esistente in partenza (quello che viene calcolato senza un intervento, come il vaccino). Infatti, più grande è quel rischio, maggiore è l’ARR. Supponiamo che i rischi assoluti di contrarre la Covid-19 in versione sintomatica fossero stati del 4,6% nel gruppo vaccinati, e del 92,5% nel gruppo placebo, l’ARR sarebbe stato allora 87,9% (la differenza tra infetti con sintomi nei due gruppi è di 15.600 persone). Eppure, anche se il numero di persone salvate dopo l’assunzione del vaccino fosse stato più grande (15.600 vs 156) in termini percentuali la riduzione non sarebbe cambiata: l’RRR sarebbe rimasto al 95%, cioè la percentuale di rischio esistente in partenza rimossa dopo la somministrazione del vaccino non cambia.

Quando si parla di efficacia di un vaccino, ci si riferisce alla riduzione relativa del rischio di contrarre una malattia nel gruppo vaccinato rispetto al gruppo placebo. Insomma, esattamente quello che prima abbiamo chiamato RRR. Quando si studia l’efficacia di un vaccino, c’è un altro modo usato per chiamare il rischio di contrarre una malattia, cioè il tasso di attacco (del virus per esempio) e l’efficacia del vaccino viene dunque definita come la riduzione relativa del tasso di attacco nel gruppo dei vaccinati rispetto al gruppo placebo. Il tasso di attacco del Sars-COV-2 nel gruppo dei vaccinati è dello 0,046% e nel gruppo dei placebo è dello 0,925% e la riduzione da 0,925% a 0,046% è del 95%, come sapevamo già.

«Orgoglioso di essere incerto» (D. Spiegelhalter)

È essenziale ricordarci che quel 95% non è il valore della reale efficacia del vaccino, ma solo una sua stima, quella osservata con i dati a nostra disposizione, ed è soggetta a diverse fonti di incertezza. È infatti importante ragionare sul fatto che non tutta la popolazione mondiale è stata oggetto di studio, ma solo un campione. E poi, quel campione poteva essere leggermente diverso da quello che osserviamo oggi e così anche le reazioni avute dai partecipanti all’esperimento potevano leggermente differire. Per esempio, il numero di casi positivi sintomatici è casuale ed è soggetto a diversi fattori, come la risposta immunitaria individuale al virus, o alle diverse occasioni in cui il partecipante è esposto a situazioni di rischio. Si può immaginare quindi che quel valore, 95%, poteva anch’esso essere diverso. Il problema è: quanto diverso? Parte dell’incertezza si può misurare e i risultati dello studio sul vaccino Pfizer-BioNTech riportano una misura di essa: un intervallo di confidenza (del 95%) per la stima dell’efficacia compreso tra 90 e 97,9, cioè un intervallo di valori calcolati dal campione che si sarebbero potuti anch’essi osservare. Se immaginiamo di ripetere l’esperimento 100 volte, in 95 di queste l’intervallo di confidenza osservato — che potrebbe essere diverso da quello riportato nello studio — conterrebbe il valore vero. In conclusione, visto che l’intervallo di confidenza non è molto largo, ci sentiamo abbastanza confidenti nell’affermare che il risultato osservato sia abbastanza preciso. Però, non tutta l’incertezza è misurabile. Infatti, stiamo lavorando con un’astrazione di un fenomeno complesso, in qualche modo semplificandolo.

Il mondo reale

Sebbene un’efficacia del vaccino del 95% (cioè una riduzione relativa del rischio di contrarre la Covid-19 sintomatica nel gruppo vaccinato rispetto al gruppo placebo) è il risultato più importante di questo studio, ci sono anche cose che invece non possono essere dedotte. Intanto, dai risultati ottenuti non si può affermare qual è la nostra probabilità di infettarci una volta vaccinati. E poi nemmeno si può dire quanto efficace sarà il vaccino nello sconfiggere il virus nel mondo (o in uno Stato). Perché? Perché per lo studio è stato fatto un esperimento randomizzato — finalizzato a stimare appunto l’efficacia del vaccino — e non è stata invece utilizzata una miniatura esatta della popolazione e nemmeno tutti i possibili fattori che possono influenzare la probabilità di contagio — sarebbe stato veramente difficile farlo -. Alcune fasce d’età sono state omesse, per esempio i più giovani di 16 anni e non si è tenuto conto di tutte le possibili malattie croniche che potrebbero interferire con la protezione del vaccino. Il rischio di contrarre la Covid-19 vale per il gruppo osservato (quello dei placebo o dei vaccinati), ma non vale — per esempio — per un cittadino Italiano medio. E poi, non possiamo dimenticarci che anche gli asintomatici possono infettare. Nella progettazione dello studio del vaccino Pfizer-BioNTech si è considerato solo positivi sintomatici. Effettivamente non sappiamo quanto sia efficace il vaccino nel proteggere contro infezioni asintomatiche. Questa mancanza potrebbe compromettere l’efficacia del vaccino nel ridurre il numero di contagi in un Paese (ma non nel ridurre il rischio di infezione, nota che i due concetti sono diversi), se, forti della protezione del vaccino, smettessimo di usare misure di sicurezza come le mascherine e l’igiene personale.

Trasparenza
Nate Silver, statistico e divulgatore, ha detto «I numeri non parlano da soli, siamo noi a riempirli di significato». E durante una crisi è facile che vengano usati da chiunque per supportare le proprie tesi e a proprio vantaggi. Nel dibattito “Vaccino si, vaccino no”, anche i risultati sopra raccontati sono stati usati per sminuire l’efficacia del vaccino (confrontandola con la riduzione assoluta del rischio) o per dimostrare che l’immunità naturale, acquisita dopo aver contratto il virus, riducesse la probabilità di re-infezione rispetto al vaccino (confrontando popolazioni non propriamente confrontabili). È fondamentale la divisione tra chi comunica i dati, interpretandoli minuziosamente e onestamente, e chi li usa per argomentare cosa pensa che vada o non vada fatto.

I risultati dello studio per il vaccino Pfizer-BioNTech si trovano qui https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2034577

* Martina Patone è ricercatrice in Statistica all’Università di Oxford.
La redazione di questo articolo è a cura di Giorgio Sestili

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