Quello che l’esponenziale non dice

A distanza di circa 8 mesi dal primo caso autoctono di Covid-19 in Italia (e di qualche mese in più nel mondo) si può dire che più o meno tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta della ‘curva esponenziale’ e ne abbiamo osservato il grafico. Con una sola linea continua, questa curva, nella sua onestà, ci racconta come velocemente un’epidemia può crescere fino ad immobilizzare un Paese e il suo sistema sanitario. Ne abbiamo avuto esperienza diretta: l’abbiamo vista crescere, e ci siamo letteralmente fermati tutti; abbiamo ansiosamente aspettato che raggiungesse quel famoso ‘picco’ e con sollievo l’abbiamo vista scendere. E così siamo potuti uscire e ricominciare a muoverci. Oggi però, anzi da un bel po’ di tempo ormai, la vediamo — di nuovo — salire rapidamente (e ripidamente). E da questo capiamo che sta per tornare quella fase di silenzio e di immobilità, che per ora sembra l’unico modo accettato per frenare la sua salita.

La curva esponenziale è intimidatoria e il messaggio che lancia è chiaro: la crescita incontrollata si frena solo al raggiungimento del naturale picco, cioè quando tutti saranno stati infettati. Sempre assumendo che non sia possibile una reinfezione. Però, tante altre caratteristiche dell’epidemia (e del virus) non può fornirle. Non è nella sua natura.

INTUIZIONE E SCIENZA

Una critica osservatrice (o un abile osservatore) della curva esponenziale, nell’osservare la sua salita, inizierà a porsi delle domande e avrà una buona intuizione che molto facilmente le permetterà di fare assunzioni plausibili. Essa si chiederà infatti cosa è cambiato dai mesi estivi ad oggi, cioè nel momento in cui la curva ha preso quel brutto cambio di direzione e da lì proverà a dedurre cosa possa aver determinato la crescita dei contagi che stiamo vivendo. Questi fattori sono multipli e tutti apparentemente validi: le basse temperature hanno fatto sì che la vita sociale si spostasse in luoghi chiusi e in più hanno anche abbassato le nostre difese immunitarie; poi, con l’autunno, le vacanze sono finite e contemporaneamente alla riapertura delle scuole c’è stato il ritorno al lavoro. Se non bastasse, tutti questi fattori hanno contribuito all’aumento di flusso sui trasporti pubblici, notoriamente luoghi di affollamento.

Però, come possiamo dimostrare quale di questi fattori è associato alla crescita dell’esponenziale? Tutti allo stesso modo? Qualcuno più di altri? Per rispondere scientificamente a queste domande l’esponenziale da sola non basta. I metodi che gli scienziati usano, e hanno usato, per validare le loro intuizioni durante questa epidemia (ma vale anche in momenti più sereni) sono svariati, così come i dati di cui hanno bisogno. Nel migliore dei casi questi dati vengono appositamente collezionati per rispondere alla domanda di ricerca, molto spesso invece bisogna accontentarsi di quello che c’è a disposizione.

LA DINAMICA DI DIFFUSIONE DEL VIRUS

Cosa ci dice la curva esponenziale della dinamica dei contagi? Praticamente nulla. Non ci dice se tutti gli infetti sono contagiosi, o se qualcuno contagia più di un altro. Non ci dice quali sono i luoghi che il virus “preferisce” per diffondersi e quindi dove noi siamo più a rischio. E nemmeno ci dice se la suscettibilità varia in base alle caratteristiche demografiche. Insomma, vediamo la curva salire, ma non sappiamo esattamente come.

Nel frattempo continuiamo a osservare la realtà che ci circonda, e sentiamo che una donna in Sud Corea, da sola, ha contagiato 37 persone in una chiesa. E ancora, a Washington, in Mount Vernon, 53 membri di un coro si sono infettati dopo aver provato con una persona che aveva sintomi “influenzali” (come avremmo detto all’epoca, oggi sappiamo che si trattava di Covid). Insomma, la nostra osservazione ci porta a pensare che ci siano persone che da sole possono infettarne tante altre: queste persone le chiamiamo ‘super-diffusori’. Ancora non sappiamo cosa distingue un super-diffusore da un infetto che non contagia nessuno, ma siamo riusciti a descrivere questa dinamica, specifica del Sars-Cov-2, attraverso un modello stocastico di trasmissione firmato dal matematico Adam Kucharski, della London School of Hygiene & Tropical Medicine e dai suoi colleghi [1]. Il loro modello, e non la curva esponenziale, ci racconta infatti che il virus si diffonde “a grappoli” e non uniformemente tra la popolazione: in particolare l’80% dei casi è dovuto al 20% dei positivi. Questo concetto viene sintetizzato attraverso il cosiddetto fattore k, o fattore di diffusione che, per chi fosse interessato, è stato stimato dagli autori essere poco più basso di 1. Infatti, un valore basso di k indica la presenza di dinamiche di super-diffusione, un valore alto che il contagio si distribuisce uniformemente tra le persone (ne abbiamo già parlato qui: shorturl.at/ijswX)

«SE CONOSCI IL NEMICO E TE STESSO, LA TUA VITTORIA È SICURA»

Così diceva Sun Tzu nel libro “L’arte della guerra”. Essenziale per capire come bloccare la catena dei contagi è dunque capire come il virus si propaga, ma anche sapere quali nostri atteggiamenti lo hanno messo in difficoltà (o l’hanno aiutato a “crescere”).

Uno studio dell’Università di Edimburgo pubblicato recentemente su The Lancet [2], propone un’analisi statistica condotta attraverso dati provenienti da 131 Paesi mirata a trovare un’associazione tra i nostri comportamenti e un decremento (o incremento) del fattore Rt , parametro che misura la potenziale trasmissibilità del virus: più è alto, più il virus si diffonde. I comportamenti che l’epidemiologo You Li e i suoi colleghi hanno utilizzato sono l’implementazione (o il rilascio) delle misure di contenimento non farmaceutiche prese dai diversi Stati. Quello che ne è emerso è che il divieto di eventi pubblici e di situazioni in cui partecipano più di dieci persone è associato a una riduzione di Rt del 29% dopo 28 giorni dall’intervento. Se poi a questa strategia aggiungiamo anche la chiusura degli uffici, adottando il lavoro da remoto, la riduzione diventa del 38%, sempre al ventottesimo giorno. E si va avanti: si sale al 42% limitando pure i movimenti (cittadini, regionali, nazionali) e al 52% con la richiesta ulteriore di restare il più possibile a casa. Gli autori precisano che l’effetto delle misure non è immediato, infatti sono necessari in media 8 giorni per osservare il 60% dei benefici, il che sarà poi visibile anche attraverso l’esponenziale.

Anche la chiusura delle scuole viene considerata nello studio: dopo il divieto di eventi pubblici risulta essere la misura più efficace — 15% — per la riduzione di Rt dopo 28 giorni. Va però detto che gli autori non sono stati in grado di considerare gli scenari in cui misure di protezione individuale vengano inserite all’interno del contesto scolastico, come l’uso di mascherine, il distanziamento fisico e il controllo della temperatura.

Capirete che queste associazioni non sono facili da determinare solo guardando alla curva esponenziale.

LA CALMA DOPO LA TEMPESTA (E COME MANTENERLA)

Quando vediamo l’ormai famosa curva intraprendere la sua discesa lo sappiamo: il peggio è passato. Eppure, anche se la curva non ci sembra più così minacciosa, non significa che non potrà ricominciare a risalire da lì a poco, come abbiamo visto nell’ultimo mese.

Uno studio pubblicato su Scientific Reports [3] spiega bene come il rilascio delle misure di lockdown, se fatto troppo presto, possa far riemergere velocemente l’epidemia. E anche che differenze geografiche e d’età sono due dimensioni fondamentali da tenere in conto nel pianificare strategie di uscita dal lockdown mirate a evitare una futura ondata ancora più violenta. Antonio Scala, ricercatore del CNR, e i suoi collaboratori non possono utilizzare per dimostrarlo una curva esponenziale ma utilizzano un modello SIOR, una variante del classico modello epidemiologico SIR . Ai tre compartimenti classici del SIR, S(uscettibili), I(nfetti) e R(imossi, perché morti o guariti), viene aggiunto un quarto compartimento, gli O(sservati), cioè coloro che presentano sintomi severi, e dunque facilmente identificabili. Gli osservati saranno con alta probabilità conteggiati nei dati ufficiali e anche incapaci di infettare, perché prontamente isolati. I modelli comportamentali si basano su delle ipotesi per simulare matematicamente la dinamica delle epidemie che, una volta conosciuta, può anche essere controllata.

Utilizzando questo modello, i ricercatori mostrano come l’epidemia insorge in ogni regione in modo indipendente, giustificando la necessità di misure differenziate per regioni o per gruppi di regioni. Inoltre, secondo gli autori e il loro modello, l’eterogeneità regionali tendono ad abbassare e distendere la curva dei contagi e spostare il picco dei contagi a livello nazionale. In questo articolo si stima anche che siano i più giovani (0–19 anni) e i più anziani (70+ anni) ad interagire di più. Misure indirizzate a modificare i comportamenti e interazioni degli individui appartenenti a queste due classi sono quindi necessarie per limitare l’epidemia post-lockdown: maggiore distanza fisica tra gli anziani e più informazione e regole da adottare nelle interazioni sociali per i giovani.

COSA CI DICE L’ESPONENZIALE

Senza dubbio guardare l’esponenziale è un modo per monitorare la crescita dei diversi indicatori di una pandemia (casi, terapie intensive e decessi) e ci fornisce un ottimo campanello di allarme. La facilità e la prontezza nel poter seguire il suo andamento sono caratteristiche che la rendono uno strumento importante in un momento di emergenza, quando il tempo non è spesso dalla nostra parte.

Ma l’esponenziale da sola non basta per avere una descrizione reale e dettagliata della realtà, e altri modelli e analisi più sofisticate (che però richiedono più tempo) sono fondamentali per l’attuazione di misure mirate al contenimento della diffusione del virus.

Daniel Bernoulli fu tra i primi ad applicare la teoria della matematica alle epidemie, formulando un modello per mostrare i vantaggi derivanti da una vaccinazione preventiva nel contesto dell’epidemia del vaiolo. Da quel momento in poi, c’è stato un notevole progresso nei modelli epidemiologici, che si sono evoluti con l’obiettivo di riuscire sempre meglio a catturare le dinamiche spazio-temporali della propagazione di un virus e anche di valutare l’effetto delle strategie di controllo sulla sua propagazione.

Oggi abbiamo a disposizione strumenti e tecniche più accurate che devono essere usati per controllare il virus, perché, come scriveva lo stesso matematico e fisico svizzero:

«Mi auguro solo che in una questione che riguarda così da vicino il bene dell’umanità, si decida con la piena consapevolezza che un po’ di analisi e di calcolo possono fornire.»

La redazione di questo articolo è a cura di Monica Murano.

Referenze:
[1] https://wellcomeopenresearch.org/articles/5-67...
[2] https://www.thelancet.com/.../PIIS1473-3099(20.../fulltext#
[3] https://www.nature.com/articles/s41598-020-70631-9#Sec6

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