Il nonno e il treno — racconto

Racconto di Valeria Fraccaroli

La storia della mia famiglia è legata alla ferrovia. Ne parlava il nonno perché ferroviere lo era stato tutta la vita e ne parlava mio padre che aveva rischiato di entrarci a sua volta, ma che una fascinazione per i treni aveva conservato per tutta la vita anche se le necessità professionali lo avevano legato all’automobile. I suoi racconti di gioventù prevedevano però sempre un treno come mezzo di spostamento dalla scuola al militare, ai viaggi con gli amici.

Due cose mi tornano in mente prima di questo viaggio: il nonno non aveva mai preso la patente e al nonno non piaceva la Germania e i tedeschi.

Il nonno non aveva mai preso la patente, ma questo non gli aveva mai impedito di spostarsi, anche quotidianamente. Era stato un ferroviere, sin da giovanissimo, finito il militare e sceso dalle montagne veronesi era entrato in Ferrovia e, tra vari spostamenti regionali, un matrimonio e due figli, ci era rimasto fino alla pensione.

L’Italia del dopoguerra era intessuta di binari che collegavano le città e i più piccoli paesi delle province, giù fino in Sicilia, dove il nonno e la famiglia avevano trascorso quasi cinque anni per ottenere una promozione a capo-manutenzione prima di tornare “al nord”.

Il nonno viaggiava gratis e così la moglie e i figli fino alla maggiore età. E questo era il motivo per cui non aveva mai avuto bisogno di prendere la patente.

Per quanto riguarda l’odio verso i tedeschi, lo ricordo emergere dalle sue parole durante le nostre partite a briscola quando i miei genitori mi portavano a trovare quei nonni in città, troppo impegnata con i miei cugini la nonna, così accogliente e sornione il nonno, pronto a dedicarsi a me e ad intrattenermi insegnandomi quel gioco popolare. E chiacchierando. Di tutte le chiacchiere che ricordo fra noi, le uniche rimaste impresse erano i suoi ricordi del campo di prigionia in Germania e sui due anni lì trascorsi quando, giovane soldato, nel 1943 era stato fatto prigioniero all’indomani dell’armistizio e trasportato — in treno, sempre treno per lui — in Germania in un campo di lavoro. Le difficoltà della vita in prigionia, le umiliazioni subite da lui e dai compagni, le privazioni e quanto erano disposti a fare per mangiare, la fame, i rischi per portare del cibo la sera ai compagni rimasti nelle baracche da lui, che era stato così fortunato da essere costretto a lavorare in un mulino: il nonno raccontava tutto e la sua voce, solitamente così pacata com’era lui nella quotidianità, contraeva una nota amara, risentita, astiosa. Non li perdonava e questo era rimasto involontariamente impresso nella me bambina e forse mi aveva portato a covare un sordo e ingiustificato risentimento verso quel paese che di fatto non avevo mai visitato, a parte un fine settimana nella capitale dove tutti andavano: era stata una destinazione obbligata più che una scelta.

La storia della mia famiglia è così legata alla ferrovia. Almeno fino ad un certo punto.

Ripenso a questo mentre mi accingo a salire sul mio vagone OBB per questi pochi giorni di vacanza obbligata nella routine serrata degli ultimi tempi.

Una nuova personale sfida legata alle letture sempre più stressanti sul cambiamento climatico mi avevano portato ad elaborare ad alta voce l’impegno verso un taglio sull’acquisto di voli per spostarmi in Europa, ahimè fatto a voce alta sia in famiglia che fra amici durante le festività natalizie. Dire qualcosa a voce alta impegna. Io, figlia dei voli low cost, detentrice di punti-volo, contribuente sicuramente onoraria della compagnia irlandese che aveva cambiato il modo di viaggiare in Europa a noi giovani a partire dall’Erasmus. In qualsiasi momento della mia vita negli ultimi quindici anni, io avevo senza dubbio almeno un a/r Ryanair per i successivi mesi nella mia cartella “prenotazioni”. Improvvisamente mi proponevo di non viaggiare più in aereo.

  • E come pensi di andare in giro? In auto? — mi aveva chiesto mia sorella durante la cena festiva in risposta alla mia uscita.
  • In treno! — avevo esclamato trionfante, preparata dalla recente lettura di un reportage che parlava della nuova tendenza in Europa e delle molte tratte già a disposizione o in procinto di essere rimesse in circolazione. Treni notturni, nuovi collegamenti internazionali: non pareva esserci problema!

iUn mese dopo mi ero trovata a visitare per la prima volta il sito delle ferrovie austriache che passavano per Verona, e di scoprire che le destinazioni a disposizione non erano moltissime, ma puntavano verso un paese che, pur vicino, non avevo mai visitato. Dopo alcunI inspiegabili tentennamenti, avevo acquistato un biglietto per Monaco di Baviera.

Germania: patria dell’efficienza. Il mio treno arriva con 5 minuti di ritardo e riparte ormai in ritardo di 15 sulla tabella di marcia. Un pacato accenno di soddisfazione si affaccia nel mio retro pensiero anche se questo significherà un ritardo per me. La rivincita per il nonno? Ho covato tutti questi anni uno strano e ingiustificato astio verso i cugini del nord, devo ammetterlo.

Lo scompartimento di prima classe non è nuovo, ma piacevole: poltrone ampie in pelle, poggiabraccio spazioso e comodo. Piccoli scompartimenti da 4 o 6 posti come nei vecchi intercity su cui viaggiavo da bambina. Il finestrino non mi interessa al momento perché l’uscita da questa città mi è nota. I compagni di scompartimento sono al momento solo due e fingendo interesse per la vista del corridoio controllo le prenotazioni agganciate alla porta: uno di loro scenderà presto, a Trento; la signora sportivamente elegante alle prese con un libro mi accompagnerà fino a Monaco.

La corsa lungo la Val d’Adige mi affascina dopo un disinteresse iniziale: il panorama mi è noto, visto a ripetizione durante la mia intera vita per le gite in montagna, le settimane bianche, le escursioni estive e le domeniche sulle piste. La Val d’Adige è solo l’ingresso alle vere montagne, per me. Il bello arriva però una volta lasciata l’autostrada e inoltratisi nelle valli con i loro prati verdi e le cime.

È la prima volta però che la vedo da questo lato: la ferrovia corre affiancata ai monti della sinistra Adige, una prospettiva nuova, sebbene di poco. Rovereto. Trento. Bolzano. Viaggiare in treno significa entrare in città mentre le autostrade le toccano solo nelle periferie tutte simili, distinte solo dai cartelli di uscita. Il treno rallenta e ti permette di scorgerle sebbene da lontano e brevemente, ma un incontro ravvicinato.

Brennero. Il treno si ferma alla grande stazione del passo. Si lascia l’Italia. Il tratto perde la direttrice dritta e e il treno è costretto a rallentare scorrendo fra valli strette, larici sottili e scuri, il sole si incaglia in alto fra le pareti, illumina l’azzurro ma non il fondovalle. Innsbruck. Kufstein. E poi è Baviera. Il panorama si allarga, i prati pascolati cedono il posto alla vista delle pareti e lo sguardo può spaziare, scorrendo in avanti tra il verde e i campanili aguzzi, i prati illuminati e i tetti coperti da pannelli solari — quanti!

Ultimo tratto: Munich — XXX. Andiamo a completare la spedizione. Andiamo a fare pace con il ricordo del nonno./ ad omaggiare il ricordo del nonno/a permettere al nonno di fare pace in modo vicario.

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