Lo spigoloso vagabondare di Jack London

Alessandro Frau
Serendipity (for a better world)
4 min readNov 1, 2015

Anche gli uomini più intelligenti sono a volte crudeli. Gli imbecilli lo sono in modo incredibile

Ci sono libri che sono capaci di sorprenderci, fin dal titolo. Quando scelsi Il vagabondo tra le stelle di Jack London avevo due certezze: mi sarei perso all’interno di una scrittura spigolosa, piena di angoli e spine, capace anche di ferirmi e avrei sorriso ogni qualvolta la Storia sarebbe stata giudicata, offesa e perdonata. Perché pur non apprezzando in toto la mancanza d’armonia dello stile dello scrittore americano sapevo che sarei rimasto affascinato dalla sua cruda e diretta visione del mondo. Una visione che parrebbe contemporanea e che invece appartiene ad un tempo molto più remoto.

Nell’uomo, riuscire a dimenticare è segno di uno spirito forte ed equilibrato, mentre l’ossessione di un ricordo è l’inizio preciso di una mente malata.

Subito dopo essere arrivato all’ultima frase, mi sono reso conto che, pur essendo un lettore abbastanza forte, quasi mai mi ero trovato di fronte a un titolo così apparentemente distante dalla storia ma così perfetto per descriverla. Un ossimoro vero, difficile da spiegare.

Di cosa parla il libro

Il protagonista è un condannato a morte che sta per esser impiccato per due motivi: uno futile, aver dato un pugno ad una guardia; uno reale, la paura del direttore delle carceri che possa aver nascosto della dinamite nel perimetro del carcere dov’era rinchiuso. (Cosa, peraltro, non vera). E nel descrivere le condizioni inumane in cui il suo personaggio è costretto a vivere, compresa la sua tenacia, la sua resistenza, la sua claustrofobia, la sua capacità di sopportazione, le sue emozioni, la sua privazione di libertà fisica (ma non mentale), la sua mancanza di speranza e futuro, c’è tutto il Jack London che ricordavo in altri scritti come Martin Eden e Il tallone di ferro.

Più l’uomo s’indebolisce, meno sente il dolore. In un corpo debole la sofferenza si attenua. E man mano che l’energia vitale se ne va, le reazioni diventano meno violente. Così successe anche a me. Diventai, a poco a poco, una specie di larva inerme, che si ostinava a vivere.

In quelle pagine ci sono giudizi forti sulla pena di morte, sulla tortura, sul senso di giustizia, sull’amicizia, sul senso di appartenenza al mondo, sulla solitudine, sulla cecità umana e sul desiderio inconfutabile di resistere alle difficoltà della vita. Anche quando quest’ultima ci costringe a stare con le spalle al muro mentre le pareti si avvicinano, inesorabilemente, sempre di più.

Dato che gli chiedevano che cosa pensasse della pena di morte, egli, burlone com’era sempre stato per tutta la vita, rispose: «Signori, io penso di vivere abbastanza per vederla abolita un giorno… Dopo le mie innumerevoli vite, posso dire che dalla creazione del mondo, la barbarie umana non ha fatto un solo passo verso il progresso. Nel corso dei secoli, l’abbiamo soltanto ricoperta con una mano di vernice; nient’altro.

Perché vagabondo tra le stelle?

Il titolo è presto spiegato. Ed è, a mio avviso, una trovata geniale. Il nostro condannato, durante le sue sedute di isolamento forzato e completo, con tanto di camicia di forza indossata, riesce a staccare l’anima (o qualcosa di simile) dal suo corpo per visitare le sue vite passate. Vite che lo portano a spasso per le epoche storiche, che sono legate a personaggi incredibili come Gesù e che rappresentano, nel libro, delle storie nelle storie (in un respiro letterario ampio e molto meta-narrativo).

Jack ci suggerisce che nulla, neanche il buio pesto e l’immobilità più dura, è in grado di segregare la parte più sensibile e riflessiva che conserviamo dentro di noi; quella che guida il nostro pensare; il nostro “provare”; persino il nostro amare (in questo caso il desiderio di essere, di esistere).

Allora comprenderete come, immerso nella sofferenza, io sono fuggito vivente da questa vita e divenuto padrone dello spazio e del tempo, ho potuto volare fuori delle mura della prigione, fra le stelle.

Ed è quello che alla fine rimane di questo libro: un assurdo e ossessivo attaccamento alla vita e un’amara riflessione sulla cattiveria, sull’egoismo, sulla violenza gratuita (spinta dal timore e dall’insicurezza) che l’uomo impone ai propri simili. Un’oppressione così violenta da apparire però completamente vana, perché capace solamente di sopprimere la materialità della carne e non la forza dello spirito.

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Alessandro Frau
Serendipity (for a better world)

Giornalista @agenzia_italia (desk digital). Sport, radio, tech, books (and other things) addicted