Houston, abbiamo una bottiglietta vuota alla deriva nello spazio

Per me e molti ragazzə della Generazione Z, l’idea della natura è sempre stata accompagnata da un senso di meraviglia e urgenza. Mentre scoprivamo l’esistenza di iceberg e orsi polari, tigri e foreste pluviali, la meraviglia che accompagnava la nostra entusiasta scoperta del mondo veniva subito sopraffatta dalla consapevolezza, spesso acquisita in una sola frase, che tutto ciò era in pericolo. Un pericolo imminente, di scala evolutiva. L’insolita combinazione di meraviglia e prematura nostalgia che si mescolò in quel momento alla nostra concezione del mondo è difficile da descrivere, insieme alla schiacciante consapevolezza che tutto ciò che era meraviglioso e sconosciuto stava per essere strappato dalle nostre mani prima che potessimo farci qualcosa. Lo spazio aveva il privilegio di essere esente da queste sensazioni. Per molto tempo è rimasto la “terra promessa” dell’innocenza, l’ultimo rifugio della fantasia, dove le possibilità sembravano ancora infinite. Quando ho finalmente scoperto che anche lo spazio era stato inquinato, la capacità di sorprendermi per il comportamento umano era già stata ingoiata dai vortici di uno spensierato nichilismo.

Ma sto andando troppo velove. Partiamo dall’inizio.

Copertina della rivista “Time”, 6 giugno 1960 | Vol. LXXV №23

La Corsa allo Spazio, o “Perché non portare queste good vibes sulla Luna?”

La nostra specie è propensa a voler esplorare luoghi dove non dovremmo (a livello biologico) essere. Non abbiamo la fisiologia adatta a fare immersioni o respirare sott’acqua, eppure abbiamo ostinatamente intrapreso l’esplorazione degli oceani. Non abbiamo zoccoli o polmoni adatti a sopravvivere ad alte altitudini, eppure scaliamo le montagne più alte del pianeta per divertimento. Non siamo dotati di ali e le nostre ossa si rompono se cadiamo da altezze notevoli: ciononostante, abbiamo inventato gli aerei. Quindi ovviamente, anche prima di sapere che fosse possibile, sognavamo di esplorare lo spazio.

Un’altra cosa che caratterizza gli esseri umani è la nostra propensione/passione per la guerra. Sembriamo adorare un buon massacro, e la maggior parte degli sviluppi tecnologici di cui andiamo fieri sono stati realizzati con l’obiettivo di essere utilizzati per uccidere altri esseri umani su un campo di battaglia. Gli studiosi di scienze sociali non sanno ancora se questo sia un difetto nel sistema operativo, qualcosa di innato, o un comportamento che abbiamo adottato nel tempo. Poco importa, perché questa nostra tendenza bellicosa ci ha spinto a sviluppare tecnologie straordinarie a nostra immagine e somiglianza (nel senso che hanno un enorme potenziale sia per il bene che per il male).

Quando la tecnologia fu abbastanza sviluppata per permetterci di provare a raggiungere lo spazio, solo due attori internazionali avevano i mezzi economici per farlo, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Non erano per niente in buoni rapporti, anche se avevano appena vinto la Seconda Guerra Mondiale in quanto alleati. Quella guerra è particolare per molte ragioni, ma soprattutto perché si è conclusa con il più grande cliffhanger della storia umana: le due bombe atomiche lanciate su Hiroshima e Nagasaki, che stavano iniziando a diffondere l’idea che forse questa volta avevamo esagerato. Gli scienziati si resero conto che se avessimo usato questa nuova tecnologia nelle prossime guerre, avremmo finito per porre fine a gran parte della vita sulla Terra, il che ci porta al famoso aforisma “Non so con quali armi combatteremo durante la terza guerra mondiale, ma so che la quarta si combatterà con pietre e bastoni”[1]. Per questo motivo la guerra che seguì venne sottoposta ad un notevole rebranding: la chiamarono “Guerra Fredda”.

La “freddezza” di questa guerra è discutibile, poiché milioni di persone in tutto il mondo persero la vita in colpi di stato, brutali dittature e guerre proxy al di fuori del mondo occidentale. Ma la bomba atomica è particolare perché permette di mobilitare, in ambito strategico e militare, il potenziale distruttivo di un’arma — anche se non è usata. Gli specialisti della teoria dei giochi chiamano quello che successe nella Guerra Fredda “il gioco del pollo”, altrimenti detto “Pensi di essere pazzo? Beh, io sono più pazzo di te”. E’ un po’ come quella gag che si vede a volte nei film d’azione, in cui due personaggi cominciano a mostrare le loro armi mettendole su un tavolo e continuano a tirarne fuori altre, una dopo l’altra, sempre più assurde e impressionanti, e la tensione aumenta finché alla fine decidono di andare avanti senza usarle. In quel contesto tutti sanno che se quelle armi venissero usate sarebbe la fine, quindi la vera provocazione sta nel mostrarle e convincere gli altri che siamo pronti a farci ricorso, se necessario. Questa è, in breve, la corsa agli armamenti.

Mentre i russi e gli americani erano occupati ad ammucchiare artiglieria, l’idea dello spazio stava proprio cominciando a piacere ai leader dei rispettivi Paesi. Ed è allora che la corsa agli armamenti è diventata anche la corsa allo spazio. USA e USSR iniziarono a investire in tecnologie spaziali sempre più sofisticate e avanzate con l’obbiettivo di raggiungere lo spazio prima del nemico e poterli finalmente minacciare con il migliore attacco dall’alto fin’ora mai organizzato.

La corsa spaziale — Via Ultra Swank Flickr Group

Alcune regole: non si prende niente nello Spazio e facciamo in modo che Star Wars resti fantascienza e non un documentario.

Nel 1957 l’URSS lanciò il primo satellite nello spazio e questo precipitò immediatamente gli Stati Uniti in un ciclo vizioso di terrore e paranoia, poiché cominciarono a sentire l’egemonia mondiale (il vero obbiettivo della Guerra Fredda) scivolargli fra le dita. Dato che la capacità di riconoscere le similitudini storiche non era ancora scomparsa del tutto, avvocati e analisti politici sapevano che era imperativo distanziarsi il prima possibile dall’idea che nello Spazio “tutto è lecito” e stabilire alcune regole di base. Ecco quindi che si arriva allo sviluppo del Diritto Aerospaziale, il corpo legislativo con il nome più fico di tutti, inaugurato nel 1966 con il Trattato sullo Spazio Extra-Atmosferico. Scenderemo più nel dettaglio sul Diritto Aerospaziale, ma per ora ci sono quattro principi da tenere a mente, quattro pilastri, se preferite.

Il principio di non appropriazione (1) stabilisce che lo spazio, i pianeti e gli asteroidi non possono essere conquistati o essere oggetto di appropriazione e che tutte le attività spaziali devono essere a beneficio dell’intera umanità. In termini tecnici, “Lo spazio extra-atmosferico, incluso la Luna e gli altri corpi celesti, deve poter essere esplorato e utilizzato da tutti gli Stati senza discriminazioni”[2] e “non è soggetto all’appropriazione nazionale tramite rivendicazioni di sovranità, mediante il suo uso o occupazione, o in qualsiasi altro modo”[3].

Il principio di libero accesso (2) afferma che chiunque è libero di andare nello spazio, se può permetterselo. Più precisamente, “Lo spazio extra-atmosferico, ivi inclusi la Luna e gli altri corpi celesti, deve poter essere liberamente esplorato ed utilizzato da tutti gli Stati senza alcuna discriminazione, in base al principio di uguaglianza e in conformità con il diritto internazionale, e libero accesso dev’essere garantito ad ogni parte dei corpi celesti”[4].

Il principio di responsabilità (3) stabilisce che in caso di potenziali danni causati dalle attività spaziali, i responsaibili giuridici sono gli Stati: “I firmatari del Trattato sono responsabili a livello internazionale per le attività nazionali condotte nello spazio extra-atmosferico […] sia che tali attività vengano svolte da agenzie governative o da entità non governative […]”[5].

L’ultimo (4) è il principio dell’uso pacifico, che vieta l’uso di armi di distruzione di massa nello spazio e dimostra che non abbiamo completamente perso la nostra sanità mentale. “Gli Stati […] si impegnano a non collocare in orbita intorno alla Terra oggetti che trasportano armi nucleari o qualsiasi altro tipo di armi di distruzione di massa, a installare tali armi su corpi celesti o a posizionarle nello spazio esterno in qualsiasi altro modo. La Luna e gli altri corpi celesti devono essere utilizzati esclusivamente per scopi pacifici da tutte le parti contraenti del Trattato”[6].

Ed eccoci alla fine degli anni ’60, con degli esseri umani nello spazio e una serie di regole interessanti da seguire. Vedremo più nel dettagli nei prossimi articoli il motivo per cui il diritto internazionale e soprattutto il diritto aerospaziale sono complessi da far rispettare. Ma la cosa importante è che proprio in questo momento ha avuto inizio l’inquinamento spaziale.

Tartarughe spaziali strangolate da imballaggi di plastica

Mandy Barker, Refused, dalla rivista “Times”

Quando pensiamo all’inquinamento spaziale, potremmo pensare a lattine di bibite che fluttuano tra i satelliti e pezzi di ferro che rimalzano sugli asteroidi in slow-motion. Ma gli oggetti nello Spazio non sono fermi: tutto si muove, tutto il tempo, ad una velocità impressionante. Lo Spazio stesso si muove, si espande, fin dai tempi del Big Bang.

Ma torniamo all’inquinamento spaziale. La maggior parte degli oggetti che lanciamo nello Spazio finiscono in orbita. Spiegheremo meglio le caratteristiche e le proprietà delle orbite in un altro articolo, ma ciò che è importante sapere per ora è che ciò che viene messo in orbita ruota intorno alla Terra molto velocemente. In caso di collisione, anche un minuscolo pezzettino di vernice può fare un buco delle dimensioni di un proiettile su un satellite. Quelli che chiamiamo “detriti spaziali”, o “spazzatura spaziale”, sono dovuti a pezzi di macchinari (a volte microscopici, a volte no) che si staccano durante il lancio o una volta nello Spazio, satelliti non più operativi che continuano ad orbitare la Terra (ingombrando così “l’autostrada spaziale”), e dalle esplosioni di satelliti non operativi dovute a carburante in eccesso o residui nella batteria. E’ per questo che la spazzatura spaziale è diversa da quella che troviamo ai bordi delle autostrade terrestri: i rifiuti terrestri non si moltiplicano spontaneamente, mentre più detriti spaziali ci sono più se ne creano, poiché urtando l’uno contro l’altro a velocità elevate creano ulteriori pezzi di ferraglia e schegge, che poi continuano ad orbitare la Terra. Al momento non c’è modo di raccogliere questa spazzatura spaziale e l’inquinamento spaziale dovuto ai detriti è irreversibile.

Ed è qui che entra in gioco “Cosmos for Humanity”.

Entrano in scena gli “Cosmos Rangers”

La Croce Rossa dello Spazio

Cosmos for Humanity è un’ONG dedicata alla protezione dello Spazio. Come avete capito dall’articolo le orbite sono una risorsa limitata, proprio come l’acqua potabile e le foreste, e sono fondamentali per il nostro attuale stile di vita. Sareste sorpresə di sapere quanto cambierebbe la vostra vita se tutti i satelliti scomparissero[7]. La localizzazione GPS, la TV satellitare, le previsioni meteorologiche, il monitoraggio del cambiamento climatico e dei disastri naturali sono solo alcune delle cose che verrebbero colpite. Inoltre l’esplorazione dello Spazio e le ricerche sull’Universo e sulle origini della vita sulla Terra diventerebbero impossibili se non potessimo più utilizzare le orbite. Per tutte queste ragioni, noi ci Cosmos crediamo che, poiché lo Spazio è una risorsa comune, dovremmo tutti avere la responsabilità di proteggerlo. Uno dei modi in cui progettiamo di farlo è attraverso la creazione della “Outer Space Footprint”, un indicatore che aiuterebbe i consumatori (noi) e le agenzie spaziali (sia governative che private) ad adottare comportamenti più responsabili.

“Non c’è più nulla da fare” — ma siamo sicuri?

Sebbene sia impressionante sapere che siamo riusciti ad inquinare lo Spazio subito dopo averne iniziato l’esplorazione, e ancora di più scoprire che siamo vicini a perdere una risorsa che abbiamo appena iniziato a utilizzare, non tutto è perduto. D’altronde non è troppo tardi fare qualcosa per il cambiamento climatico sulla Terra, e non è ugualmente troppo tardi per fermare l’inquinamento spaziale. In effetti, questi due tipi di inquinamento sono collegati, perché sono molte le tecnologie spaziali che ci aiutano a monitorare il nostro pianeta e a proteggerlo meglio.

Se sei appassionato di sostenibilità ambientale e sei interessato alla preservazione dello spazio, ti invitiamo a informarti di più sull’inquinamento e sostenibilità spaziali grazie ai nostri articoli (che pubblicheremo qui) e sostenendo la nostra organizzazione! Puoi aiutare condividendo questo articolo sui tuoi social, seguendo Cosmos for Humanity su Twitter, Discord e LinkedIn e donando su Gitcoin e Giveth!

Rebecca Franzin

[1] Einstein
[2] Article I, Trattato sulle norme per l’esplorazione e l’utilizzazione, da parte degli Stati, dello spazio extra-atmosferico, compresi la luna e gli altri corpi celesti
[3] Article II, Ibid
[4] Article I, Ibid
[5] Article VI, Ibid
[6] Article IV, Ibid
[7] https://www.ted.com/talks/moriba_jah_what_if_every_satellite_suddenly_disappeared

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