È caduto l’aereo della Chapecoense

Crampi Sportivi
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2 min readNov 29, 2016

Nella notte tra il 28 e il 29 novembre, l’aereo sul quale la Chapecoense viaggiava per disputare l’andata della Copa Sudamericana contro l’Atletico Nacionàl è precipitato in Colombia, a 50 km da Medellin. L’aereo trasportava in tutto 81 persone, al momento in cui vi scriviamo si contano solo cinque sopravvissuti, tra cui il portiere brasiliano Danilo e il terzino Alan Ruschel.

La Chapecoense, squadra della città di Chapecò, nello stato di Santa Catarina, solo nel 2009 militava nella Serie C brasiliana. Era stata promossa in Serie A nel 2013, arrivando seconda nella serie cadetto dietro ai cinque volte campioni brasiliani del Palmeiras, quindi si era affacciata da poco, e con successo, alle massime competizioni. La Copa Sudamericana, infatti, sta alla Libertadores come l’Europa League sta alla Champions.

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Come ci accade ancora oggi, ogni qual volta ci troviamo a raccontare il Grande Torino o il Manchester di Busby, da narratori di sport è difficile trovare delle parole che esprimano il profondo senso di perdita e di insensatezza. Per deformazione professionale siamo ancora più sgomenti quando si tratta di annunciare la morte di chi abbiamo conosciuto attraverso il gioco, perché questo, abituandoci ad andare avanti sempre e in ogni caso, ci ha disabituato al pensiero che possa finire, o anche solo interrompersi, in questo modo.

Tuttavia se la tragedia accaduta alla Chapecoense (e, d’altronde, ogni altra tragedia) si rivela ai nostri occhi come sinonimo della più totale e inattesa insensatezza, a maggior ragione in questo momento ci aggrappiamo all’amore per lo sport che, per tutto il tempo regolamentare che gli viene concesso, su un prato verde, su un parquet, su una pista, e sulla base di regole condivise da chi lo ama, si sforza di farsi strumento di senso dove di seno non ce n’è affatto.

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