10 giugno 2007

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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11 min readJun 16, 2017

10 anni tutti intorno a De Laurentiis

Il 10 giugno del 2007 è l’ultima di campionato di Serie B, oltre a essere il match day di Genoa-Napoli. Le due squadre al fischio finale di Rocchi, arrivato non senza problemi alla fine per via dei tifosi a bordo campo, festeggiano la promozione a braccetto verso la Seria A. Di lì in poi c’è stato un decennio di Napoli nella massima serie, contraddistinto da una crescita esponenziale, che rende quasi impossibile ricordare la squadra partenopea come una neo-promossa tra le grandi.

Degli 11 iniziali della partita del ritorno in A, attualmente solo uno (Cannavaro a Sassuolo) gioca ancora nella massima serie, dopo essere stato ceduto dagli Azzurri nel 2014. Se 10 anni sono però un tempo lungo per definire “inaspettata” la crescita di ambizioni, è anche vero che risulta raro vedere una società ottenere risultati enormi con continuità e in un lasso di tempo simile. Si contano cinque partecipazioni alla Champions League, due vittorie in Coppa Italia e una Supercoppa Italiana. Se includiamo la Coppa Uefa-Europa League, in questi 10 anni il Napoli è rimasto fuori dalle competizioni europee solo in due occasioni, di cui una è ovviamente la prima partecipazione in A.

Se i meriti vanno ascritti a staff tecnico e giocatori, un ruolo diverso e distaccato va assegnato al presidente Aurelio De Laurentiis. Protagonista e factotum dell’essenza del Napoli, in positivo e in negativo. ADL è praticamente l’uomo che ha garantito alla società la navigazione tra mare sereno e in tempesta. Un’alternanza decretata dal suo ego smisurato, che ha reso il Napoli un panzer inaffrontabile in certe occasioni e un castello senza vedette, nonché facilmente violabile, in altre. ADL è sia spada nella Roccia che spada di Damocle del Napoli. ADL è gran parte del Napoli di questi 10 anni in Serie A, e noi vogliamo celebrare questo anniversario ripercorrendo delle macro tematiche napoletane, navigando intorno alla dicotomia emotiva di De Laurentiis.

(Luigi Di Maso)

In 10 anni calcio ha fatto rima anche con business

Tra i meriti da ascrivere ad Aurelio De Laurentiis — non certo un campione di simpatia e, talvolta, neppure di signorilità — c’è indubbiamente la presenza consolidata del Napoli in Europa: dal 2010 a oggi i partenopei sono sempre finiti nelle coppe internazionali, roba che neanche ai tempi della pur gloriosa era Ferlaino. De Laurentiis è un businessman prestato al calcio e quindi, dalla sua prospettiva, gestire una squadra alla stregua di un’azienda diventa quasi un obbligo morale. Il produttore cinematografico mastica così parole di marketing, ai più ignote come licensing, e-commerce, merchandising, tracciando strade già battute dai maggiori club inglesi e spagnoli su mercati in espansione come quello asiatico.

L’ultimo bilancio, chiuso con una perdita di 3,2 milioni di euro ma comunque in miglioramento rispetto all’annata precedente, ribadisce che i proventi di sponsor e biglietteria sono nettamente inferiori agli incassi derivati dalla vendita dei diritti audiovisivi e dalla partecipazione alla Champions League. De Laurentiis, non è un caso, da tempo insiste sul progetto dello stadio di proprietà — con albergo e centro sportivo annessi — a Bagnoli e sul personalissimo cavallo di battaglia della Superlega europea parallela alle competizioni Uefa — di cui, è sottinteso, il Napoli dovrebbe farne parte — ispirandosi ai campionati chiusi degli sport americani.

Un modo per arricchire ulteriormente il già nutrito palinsesto del calcio come industria dell’entertainment e massimizzare i profitti delle società partecipanti. Prima di favoleggiare, però, è bene attenersi alla stretta attualità: gli azzurri si sono stabilizzati fra i primi posti in Italia, vero, ma è presumibile che Inter e Milan torneranno ad essere competitive. Il vantaggio accumulato nell’ultimo triennio rischia, insomma, di svanire. Da situazioni come questa nascono non a caso i maggiori momenti di nervosismo del presidente. E per restare ai vertici bisogna far cassa. Per questo i preliminari di agosto, che mettono in palio fino a una trentina di milioni di euro, saranno più di una semplice sfida per la partecipazione ad una coppa prestigiosa.

(Simone Pierotti)

La differenza ogni tanto esce fuori.

10 anni di amore vs. malumore con gli allenatori

Edy Reja è stato l’allenatore della cavalcata in A oltre che maestro di professionalità. Per questo ADV ci va coi piedi di piombo quando parla di lui. Nelle dichiarazioni che abbiamo raccolto, il boss di Filmauro s.r.l. prova a erigersi come scudo nei confronti del tecnico di Gorizia.

ADV su Reja:

“Uomo di fiducia e di famiglia”

“Abbiamo perso un certo numero di partire. Più volte Reja ha avuto momenti di sconforto e avrebbe voluto farsi da parte perché è una persona seria come poche in questo mondo. Noi per questo lo abbiamo sempre sostenuto, supportato. Quest’anno il momento di sconforto si è allungato troppo. Non sono delle scuse. Avevo paura che lo spogliatoio non rispondesse più al tecnico, non lo seguisse più come prima. Io l’ho detto a Reja: mi dispiace tantissimo. Ma se continuiamo così arrivi a fine campionato e non ne esci da vincitore cancellando tutto quello di buono che hai fatto.”

“Donadoni doveva già arrivare, poi è ovvio che lui chieda determinate cose e io delle altre. Ho letto un mare di stronzate, lo dico per la vostra credibilità perché vi stimo tutti. Quando non si ha la certezza delle cose non bisogna scrivere delle cose”.

Con Roberto Donadoni, si comincia a intravedere il De Laurentiis a tratti capriccioso e con self control ridotto ai minimi termini davanti le telecamere. Giunto al livello di pressione massima per la scarsità dei risultati, ADV ha una reazione alla quale ci ha abituato ultimamente: si scaglia contro l’allenatore, quasi negando l’eventualità di ulteriori colpevoli.

ADV su Donadoni:

“Quattro anni fa ebbi modo di conoscere Roberto Donadoni con il quale trascorsi un’intera giornata e ne rimasi affascinato. Una persona splendida per il suo modo di parlare, di interpretare lo sport. Mi piacque immediatamente.”

“Lasciamolo stare: il problema non è Donadoni che è un professionista serio, ma capire se il suo gioco si sposa con i giocatori che abbiamo. Ora voglio parlare con lui, analizzare le gare, capire perché ha utilizzato Pià invece di qualche altro, perché ha mandato in tribuna Datolo.”

“Chi c’era prima di Mazzarri non ha lavorato bene sulla preparazione”.

Con Walter Mazzarri si può parlare tranquillamente di un rapporto di amore e odio. Troppo sanguinoso, però, il picchio degenerazione durante l’ultima stagione: sicuramente ADV non stimava alcune scelte tattiche dell’allenatore, ma Mazzarri si è laureato come uno dei primi vincenti in questa era di Napoli e al presidente la cosa non dispiaceva.

ADV su Mazzarri:

“È un allenatore serio e leale, una persona perbene come me: non sempre la pensiamo allo stesso modo, ma…”

“Dico sempre quello che penso. E ho solo detto che aveva incapacità comunicazionale con un giocatore come Vargas”.

“Avevo fatto tutto con Sebastiani, presidente del Pescara, poi, quanto chiesto semaforo verde, mi è stato detto: non lo faccio giocare. Capisco anche: nel suo modello di gioco il regista non c’è. Se avesse Pirlo non dico che non lo farebbe giocare, ma non avrebbe massima capacità di inserimento.”

“Ieri io e Mazzarri ci siamo abbracciati e anche baciati.”

“Parleremo del contratto quando sarà il caso, in questo momento ci sono cose più serie a cui Mazzarri deve pensare: ha le partite, ha il campionato. Lui è la prima scelta e lo sa”.

Anche nel rapporto mediatico con Rafa Benitez, troviamo una costante di ADV. Il presidente tende a inizio stagione, a voler rassicurare l’ambiente etichettando la scelta del nuovo allenatore come sua esclusiva proprietà intellettuale. Se l’ambiente del tifo mugugna, ci pensa lui a stabilire l’assoluta qualità del mister appena arrivato. Almeno ai principi del nuovo arrivato, soprattutto col tecnico spagnolo, a quanto pare seconda scelta dettata dall’insicurezza di Allegri a trasferirsi nella città partenopea. In questi casi mistifica l’autentico padre-padrone.

ADV su Benitez:

“Subito mi ha conquistato, è un padre attento. Abbiamo subito fatto scopa. Ci siamo ritrovati d’accordo su tutto.”

“Insisteva per Leandro Damiao, incontrai pure i suoi agenti proprio qui al Vesuvio. A proposito, dove gioca Damiao adesso? Higuain fu un blitz mio e di Chiavelli.”

“Squadra carica come non la vedevo dai tempi di Mazzarri, chi lavorava prima con noi era eccezionale nei rapporti interpersonali ma Sarri è un grande allenatore”

Il bipolarismo comportamentale di ADV ha raggiunto con Maurizio Sarri un livello specifico. Certe dichiarazioni viene da pensare che il presidente del Napoli le faccia per scuotere i media. Un modo per accentrarsi una certa copertura mediatica. L’epicentro è stato rilevato da febbraio (prima della sfida contro il Real) ed è durato fino al termine del campionato (con il terzo posto). De Laurentiis apprezza Sarri, e non potrebbe essere diversamente, ma ad un certo punto il palcoscenico televisivo vale più della difesa a spada tratta del suo allenatore. Con Sarri però, ADV pare abbia trovato pane per i suoi denti. Il proseguo della vicenda vale l’abbonamento HD a Netflix.

ADV su Sarri:

“Sarri? La cosa mi esalta perché è stata una mia intuizione. Sarà ancora a lungo l’allenatore del Napoli, perché ha un contratto pluriennale con una clausola che entrerà in vigore solo il prossimo anno: questa è casa sua, per me può rimanere a vita e può decidere anche per un ruolo alla Ferguson.”

“A me non interessa vincere sempre in campionato, perché poi in Serie A puoi recuperare, però la sperimentazione di tutti e 26 i giocatori mi permette di capire gli acquisti, i moduli e tutto il resto. Se no arriviamo alla fine del campionato con qualcuno che non ha mai giocato”

“Sarri ha dato una lezione al Real Madrid. Ho sempre parlato di Maurizio Sarri come un esteta del calcio, un grande allenatore. La delusione di Madrid stasera non c’è, anche se il risultato è lo stesso. La squadra ha giocato un primo tempo esemplare ma il Real Madrid è il Real Madrid.”

Non è tutto oro quello che luccica, però.

(Marco A. Munno)

10 anni di acquisti sbagliati

Gennaro Iezzo in porta. Garics, Savini, Grava, Domizzi, Cannavaro per l’abbottonatissima difesa. Bogliacino, Fabio Gatti e Montervino a centrocampo. L’Arciere Calaiò ed El Pampa Roberto Sosa davanti. Il Napoli di Edy Reja pareggia zero a zero nell’ultima di campionato al Ferraris di Genova e la stagione 2006/07, che sancisce l’ufficiale ritorno in Serie A dei partenopei dopo sei anni di assenza, si conclude col sorriso e una rosa che supplica qualche ritocco. Sono passati dieci anni da quell’ultima partita e il Napoli oggi è un’affermata realtà del campionato italiano, con una media punti da scudetto. Tant’è che anche l’azzurro della maglia del 2007 oggi sembra meno scolorito, più deciso e vivace.

Tanti giocatori hanno indossato quella magnetica maglia azzurra (mimetica militare a tratti) in questo decennio: alcuni decisivi, che sono diventati icone del Napoli, altri che hanno sfruttato la piazza campana come un semplice trampolino di lancio. Alcuni ancora, molto semplicemente, non ricordano nemmeno quanti minuti sono scesi in campo e quale è stato il loro apporto alla squadra. Queste sono le loro storie.

1. Jesus Datolo, 2008/09

Il Napoli vuole rinfoltire la munifica colonia argentina, che tanto ha fatto bene alla squadra azzurra nella sua storia: con un assegno da 5,7 milioni De Laurentiis si assicura l’oggetto del mistero Datolo, impacchettato e spedito in tutta fretta dal Boca Juniors nella finestra di gennaio. Il ragazzo ha chiaramente qualcosa che non va e a Napoli lo hanno capito. Magari è solamente brocco, oppure non è adatto al nostro campionato. Un’altra mezza stagione di tempo per sovvertire i giudizi, ma questo amore non s’ha da fare: a gennaio il prestito all’Olympiacos, da quel momento solo ricordi.

2. Andrea Russotto

Quando il Napoli ha annunciato l’arrivo in prestito del promettente Russotto dal Bellinzona, tutti gli esperti di Football Manager hanno gongolato nel vedere un loro pupillo finalmente in Serie A. Russotto è giovane e tutti ne parlano un gran bene: ha fatto la trafila di tutte le giovanili italiane, ha messo tanti gol nel motore e adesso ha la sua occasione della vita. Preliminare di Coppa UEFA col Benfica: 23 minuti senza segnare, Napoli eliminato. Ottavi di Coppa Italia con la Salernitana, 17 minuti senza segnare; Napoli eliminato ai quarti dalla Juve con Russotto in tribuna. Esordio in Serie A contro il Bologna: 10 minuti e zero gol. I gol segnati saranno ovviamente zero e Russotto alla fine è tornato in Svizzera.

3. Erwin Hoffer

Pagato 5 milioni al Rapid Vienna nel 2009. 11 partite, un gol. Vabbè ma il campionato austriaco è quello che è.

4. Josè Sosa

Centrocampista scintillante preso per 3 milioni dal Bayern Monaco. 31 partite (addirittura), 1 gol e 5 assist. Non era male, ma il tempo ci ha dato delle risposte.

5. Hassan Yebda

Questo era forte davvero, arrivato in prestito dal Benfica nel 2010: 39 partite con un gol e un assist prima di scomparire da tutti i radar. Era un Nainggolan primitivo. No, scherzo, non lo penso davvero.

6. Ignacio Fideleff

Centralone argentino pagato 2.2 milioni al Newell’s (che non vedeva l’ora di darlo via) 4 partite. Ha giocato di più con la nazionale maggiore dell’Argentina che col Napoli.

7. Christian Chavez

Amico di Lavezzi, chiamato per tenergli compagnia e pagato solo 1,3 milioni. 2 presenze. Fa ridere già senza aggiungere altro.

Però ha giocato a San Siro contro l’Inter.

8. Bruno Uvini

Pare che facesse i numeri col Brasile. Pagato 3 milioni. 2 partite col Napoli, ben 5 gare col Napoli primavera. Però secondo me era un giocatore vero.

9. Anthony Reveillere

Arrivato a parametro zero e praticamente bollito. 18 gare giocate quasi tutte per intero, poi bisognava salutarsi.

10. Michu

L’involuzione di Pichu! Costato 1,25 milioni solo per il prestito. 7 partite a inizio anno, zero reti. Che attaccante straripante. Strepitoso.

(Massimiliano Chirico)

10 anni di mitizzazione del numero 9

Nel momento in cui scriviamo si è aperto a Napoli un accesso dibattito che verte sull’idea di consegnare o negare la maglia numero 10, quella indossata da Maradona, a Lorenzo Insigne. Nel decimo anno dalla promozione in A, probabilmente De Laurentiis potrebbe vendere la trovata de ‘El Diez’ allo “Scugnizzo” come una ottima intuizione di merchandising.

Ma la lente di ingrandimento va posta sul numero 9, o meglio sulla definizione di attaccante rifinitore. Un ruolo che a Napoli è diventato un incarico, quasi un’onorificenza. Se ci defiliamo dalla mistificazione costruita su Hamsik, l’altra membership da icona a Napoli è senza dubbio stata negli anni quella dedicata all’attaccante. C’era da immaginarselo già con lo storytelling creato su El Pampa Sosa. Numero 9 e argentino già acclamato nella stagione di Serie B.

Un ruolo talmente adulato a Napoli, che riesce a sovrastare il mero aspetto numerico: Cavani indossava il numero 7. L’ultimo degli attaccanti osannati, Milik quasi esorcizza con il 99. Di Mertens si può parlare di “falso 9”. Il rapporto tra l’attaccante e la città dovrebbe essere spiegato con una panoramica a grandangolo: i 10 giocatori in campo rappresentano ciascuno un quartiere di Napoli, l’attaccante che fa da sfondo è la rappresentazione metaforica del Vesuvio.

Al Napoli questo plotone di centravanti ha sfondato il muro del suono calcistico. Cavani nella sua migliore stagione (2012–13) ha segnato 29 gol in 34 partite di campionato, una media di un gol ogni 103’. Poi Higuain, con un record che resterà in bacheca per parecchi anni: 36 gol in 35 partite: media di una rete ogni 83’. Una follia. L’uruguaiano e l’argentino acquisti sui cui ADV ha ostentato per l’ennesima volta la sua proprietà intellettuale. Non si potrebbe dire lo stesso di Dries Mertens, invenzione della mente visionaria di Maurizio Sarri: 28 gol in 35 partite giocate, media di una segnatura ogni 91’. Record personale manco a dirlo per il belga. Mentre la prossima sarà la stagione per capire la reale efficienza di Milik, numero 99 per scelta di ADV (il 9 è stato tenuto in stand by nell’attesa di Icardi o Cavani).

C’è della magia nel mantello che veste l’attaccante degli azzurri. C’è un’atmosfera tipica del racconto cinematografico, e non poteva essere altrimenti, negli ultimi 10 anni di Napoli con De Laurentiis.

(Luigi Di Maso)

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