10 promesse dell’Under 21 che ci siamo persi per strada

Crampi Sportivi
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14 min readJun 18, 2015

Nel 1992 la Nazionale italiana Under 21 vince il suo primo alloro continentale. Da quell’anno in poi la cantera azzurra diventa la principale fucina di talenti che sapranno distinguersi nella Nazionale maggiore o anche solo nelle proprie squadre di club. Eccezion fatta per il 1998, anno in cui gli azzurrini non riescono a qualificarsi per la competizione europea, è una storia fatta di buoni piazzamenti e discrete prestazioni.

Sfortunatamente però sono tanti i giovani talenti azzurri che negli anni si sono persi per strada, non confermando le premesse degli Europei, fino a far perdere le proprie tracce o finire nel dimenticatoio.

Abbiamo dunque scelto una promessa azzurra “non mantenuta” per ogni edizione

1992 — Rufo Emiliano Verga

La nostra rassegna comincia con un nome che ai più sarà sconosciuto: quando l’Italia vince il suo primo Europeo di categoria nel 1992, in quella squadra allenata da Cesare Maldini c’è Rufo Emiliano Verga. Biondo come un teutonico, è cresciuto nel Milan. In realtà le occasioni di vestire la maglia rossonera saranno pochissime, visto che la società di Silvio Berlusconi lo spedisce in giro per l’Italia a più riprese. Arrigo Sacchi lo fa esordire in Serie A nel 1987, ma l’anno dopo è a Parma.

Tornato a Milano, non gioca mai perché i primi problemi alle ginocchia cominciano a manifestarsi. Quando si riprende, la consacrazione sembra arrivare con la maglia del Bologna: 26 presenze in A a 22 anni non sono poche. La stagione dei rossoblu è tremenda, con tanto di retrocessione, ma almeno Verga sembra essersi ripreso il campo. Difensore centrale molto elegante poi trasformatosi in centrocampista, qualcuno mormora che al Milan vedano in lui l’erede di Franco Baresi.

Protagonista con 16 presenze durante le qualificazioni, all’Europeo 1992 (l’ultimo senza sede fissa) l’Italia domina. Solo nella doppia finale con la Svezia rischia qualcosa, ma alla fine arriva il primo trionfo. Pochi mesi dopo, Verga è convocato anche dalla nazionale olimpica che farà strada a Barcellona. Da lì, la sua carriera diventa un calvario: un prestito a Venezia, il ritorno momentaneo al Milan e l’ultima tappa a Lecce.

A 26 anni, dopo quattro operazioni alle ginocchia e un lungo periodo di inattività, Verga cede e lascia il calcio. Ha vinto molto (persino una Champions e uno scudetto), ma la sua carriera conta poco meno di un centinaio di presenze. Diventato in seguito commerciante, Verga ha spiegato la sua sfortuna: «Non è solo quella. Tanti infortuni dipendono dal fatto che si gioca a mille all’ora e ci sono momenti in cui con la testa pensi di fare una cosa, ma il corpo non ti segue perché sei annebbiato. Allora puoi farti male». Con un’altra fortuna, chissà come sarebbe andata.

1994 — Pierluigi Orlandini

Non è certo quello che ha fatto la peggior carriera, tra tutti. Tra coloro che riempivano le fila di quella squadra, Orlandini ha giocato in grandi squadre per buona parte degli anni ’90. I rimpianti magari rimangono vedendo alcuni dei suoi compagni e la vita calcistica che hanno avuto: Toldo, Cannavaro, Panucci, Filippo Inzaghi e Vieri. A quei tempi, Orlandini è un prodotto del vivaio dell’Atalanta che — dopo un prestito a Lecce — ha fatto un’ottima stagione con la maglia nerazzurra.

Tuttavia, l’aver deciso la finale di quell’Europeo con il golden gol contro il Portogallo gli mette addosso un’etichetta che poi non si è più tolta. Il suo mancino al 97’ di quella finale ha battuto quello che sarà il gruppo che poi farà le fortune lusitane: in quell’ultimo atto di Montpellier del 20 aprile 1994, c’erano Jorge Costa, Luis Figo, Rui Costa, Sa Pinto e Joao Pinto. Infatti, Orlandini passa all’Inter per quasi cinque miliardi di lire. In realtà, ripeterà solo a sprazzi quanto fatto vedere a Bergamo.

Da lì, viene ceduto all’Hellas Verona, dove mostra a 24 anni di poter essere ancora decisivo. Il Parma gli dà una nuova chance nel calcio europeo, ma non riesce a imporsi in due anni al Tardini. Dopo l’improvviso passaggio al Milan, Orlandini non riuscirà più a esser protagonista in A. Prestato a Venezia, passa improvvisamente al Brescia, prima di tornare all’Atalanta per l’ultima stagione in A.

Tuttavia, Orlandini a trent’anni ha voglia ancora di giocare. Si trasferisce in Puglia, dove trascina il Brindisi all’unico successo di club della sua carriera: la Coppa Italia di Serie C 2002–03. Un’ultima uscita al Nardò sancisce i titoli di coda sulla presenza di Orlandini sui campi professionisti. La Puglia l’ha comunque adottato, tanto che l’ala ha smesso di giocare a 35 anni sui campi di periferia.

Quando ancora il golden gol era una tortura.

1996 — Angelo Pagotto

Per il terzo titolo consecutivo, l’Under 21 di Cesare Maldini si presenta con quella che forse è stata la nazionale migliore di tutti i tempi. Diciotto gli elementi convocati, tra cui i futuri campioni del mondo Buffon, Cannavaro, Nesta e Totti. Senza dimenticare giocatori che comunque hanno saputo dire la loro in Serie A, come Sartor, Pecchia, Nick Amoruso, Tommasi, Delvecchio e Morfeo.

A distanza di anni, se c’è uno di quelli che non ha avuto una carriera all’altezza delle aspettative suscitate, quello è Angelo Pagotto. Basti pensare che il portiere titolare di quell’Under era lui, così come è stato lui a esser decisivo per la vittoria di quegli Europei. Nella finale contro la Spagna padrona di casa (che in squadra aveva signori giocatori), Pagotto para due rigori. E non a due a caso, bensì a Iván de la Peña e Raúl González Blanco, all’epoca stelline rispettivamente del Barcellona e del Real Madrid.

La sua carriera in A dura però poco. Prima di quell’Europeo, Pagotto ha giocato la sua prima stagione da titolare alla Sampdoria. Comprato dal Milan, soffre la pessima annata dei rossoneri e finisce quasi subito in panchina. Da quel momento il Perugia prova a dargli fiducia, ma le cose vanno bene solo nell’anno di B. Squalificato per doping nel gennaio del 2000 (un caso in cinque anni mai veramente chiarito), rientra con Triestina e Arezzo in C1.

Tuttavia nel luglio 2007 viene riscontrata la sua positività alla cocaina. Stavolta nessun scarica barile, ma piena assunzione della colpa. Gli otto anni di squalifica sono un buffetto rispetto alla squalifica a vita chiesta dalla Procura Antidoping del Coni. La squalifica è scaduta il 14 dicembre scorso, quando Pagotto ha ormai compiuto i 42 anni. Un altro atteggiamento gli avrebbe permesso ben altra carriera.

A 1.52 la prima parata, qui quella decisiva. Da notare che i panchinari commentassero i rigori in diretta con la Rai. Che atmosfera.

2000 — Gianni Comandini

L’Europeo del 2000 è quello della rinascita del movimento giovanile italiano: nel ’98 la squadra non è arrivata nemmeno alla fase finale e ora ci riprova, stavolta con Marco Tardelli in panchina. In Slovacchia si sperimenta finalmente la fase finale con i gironi alla finale. L’Italia è un carrarmato e vince il girone grazie alla differenza reti, ma soprattutto trionfa nell’ultimo atto di Bratislava. A firmare il trionfo ci pensa Pirlo con una doppietta.

In quell’Europeo si mise in luce anche un ottimo Gianni Comandini. Lo so, a oggi sembra impossibile, ma il classe ’77 si è consacrato soprattutto con la maglia degli Azzurrini. Nelle qualificazioni ha dato il bianco insieme a Nicola Ventola: i due rappresentano forse la coppia d’attacco meglio assortita nella storia dell’U-21 (sette gol insieme nelle qualificazioni). In Slovacchia, Comandini segna nel successo contro l’Inghilterra di Lampard e Carragher.

Qui vale lo stesso discorso fatto per Orlandini: sono le aspettative ad aver creato una così grande delusione. Comandini è reduce da una stagione da 21 gol a Vicenza, un bottino che ha fruttato ai veneti la promozione in A. Quel 1999–2000 permette invece a Comandini di attirarsi le attenzioni del Milan, che lo acquista per 20 miliardi di lire (!). Lui si prende la storica 9 di van Basten, ma a San Siro l’esborso non è stato più dimenticato: tre gol in 18 partite stagionali. Due di quelle reti hanno aperto una delle serate migliori della storia recente rossonera.

Nelle successive quattro stagioni prima del ritiro non manterrà le premesse. Comandini va all’Atalanta, acquistato da Ruggieri per 30 miliardi di lire (!!!): ancora oggi è l’acquisto più costoso della società lombarda. Quattro anni all’Atleti Azzurri d’Italia, più due mezze annate a Terni e nella Genova rossoblu. Gol totali: nove, se contiamo solo le reti in campionato. A 29 anni decide di smettere per i troppi problemi fisici. A Cesena ora gestisce un ristorante: buon per lui.

Italia-Francia, ritorno dei playoff per andare all’Europeo del 2000. Tra i gol di due miti d’oggi come Henry e Pirlo, c’è la zuccata del cesenate Gianni.

2002 — Fabio Gatti

Nel 2002, l’impero azzurro cade. Dopo quattro titoli nelle ultime cinque edizioni, c’è un altro passaggio a vuoto. E pensare che quella squadra — in mano a Claudio Gentile — non è affatto male: 13 di quei 22 ragazzi hanno poi collezionato almeno una presenza in nazionale. In semifinale, gli Azzurrini escono contro i futuri campioni della Repubblica Ceca dopo una durissima rimonta e il 3–2 ceco ai supplementari.

Tra coloro che poi non sono stati convocati anche in nazionale, c’è Fabio Gatti. Alla storia è stato consegnato soprattutto per un motivo: il suo numero. L’allora centrocampista del Perugia viene ricordato per aver indossato il 44, che insieme al suo nome rimandano a una famosa canzone dello Zecchino d’Oro 1968. Memorabile il motivo per cui il calciatore scelse questo accostamento: «Avrei voluto il 4, ma “quattro Gatti” faceva tristezza» (link: ). C’è persino un video dedicato alla sua carriera su YouTube, ma glissiamo.

Dopo quei tre anni a Perugia, Gatti è ormai nel giro degli Azzurrini. Regista di centrocampo, la sua carriera si rivelerà poi tutta in salita: l’ultima presenza in A è datata 16 maggio 2004. Un prestito al Catania lo porta a conoscere Edy Reja, che lo vorrà anche a Napoli in C1. Rimane di proprietà dei partenopei per quattro anni, finché non torna nuovamente a Perugia. Il finale di carriera si rivela un girovagare nella Lega Pro, conclusosi a Foligno. A 31 anni il ritiro: oggi collabora con l’area tecnica dell’Hellas Verona. Oltre a lasciare tweet spagnoleggianti col CAPS LOCK INSERITO.

Vi dico solo che l’ho trovata su un sito giapponese.

2004 — Carlo Zotti

Quella del 2004 è l’ultima Under che porta a casa un titolo. Sotto la guida di Claudio Gentile, la squadra ha un passaggio a vuoto nella gara d’apertura (1–2 contro la Bielorussia di Hleb), ma poi cresce col passare dei giorni. Nella fase a eliminazione diretta non c’è storia: 3–1 al Portogallo in semifinale, 3–0 nella finale contro la Serbia. I giovani azzurri porteranno a casa anche un bronzo Olimpico ad Atene 2004. Insieme a quella del 1996, è la più talentuosa formazione che l’Italia abbia mai vinto una rassegna continentale.

Solo sei di quei 22 convocati non giocheranno mai con l’Italia. Solo uno di loro non ha avuto poi continuità in A. Tra di loro, c’è un giovane classe ’87 che si è messo in luce addirittura nella Roma di Capello. Nella vertiginosa girandola portieri della capitale giallorossa (prima di Doni), c’è anche Carlo Zotti. Molti l’avranno rimosso, quindi è giusto rinfrescare la memoria. Purtroppo io non l’ho mai dimenticato: ero all’Olimpico quando il ragazzo parò un rigore in un Roma-Samp del gennaio 2004.

Arrivato alla Roma dal Palermo (allora in mano ai Sensi), ha la sua occasione nel disastroso 2004–05. Dodici le presenze in quella stagione tra campionato e Champions League, ma alla fine Curci (sì, Curci) riesce a scalzarlo nella gerarchia dei titolari. Nei tre anni successivi, a Zotti riesce un’impresa particolare: colleziona solo una presenza, nonostante la Roma lo giri un anno ad Ascoli e sei mesi alla Samp.

Dopo altri due prestiti al Cittadella e al Bellinzona, taglia il decennale cordone ombelicale che lo lega alla Roma. A 28 anni emigra definitivamente in Svizzera: il Bellinzona lo compra a titolo definitivo. Zotti poi diventa l’eroe dell’FC Wil, squadra elvetica di seconda divisione, con la quale trova finalmente un posto da titolare per due stagioni. La sua reputazione è arrivata anche in Promotion League, la terza serie svizzera, dove gioca per il Locarno dallo scorso marzo. E le luci dell’Olimpico?

Credo sia la prima clip di YouTube che NON punta a fomentare un giocatore.

2006 — Giuseppe Scurto

Una nazionale che dona il numero 10 a Davide Biondini non poteva andare lontano. E infatti l’Italia esce nei gironcini dell’Europeo 2006. Forse è il primo fallimento clamoroso nella fase finale di una competizione continentale. Così ben abituati dal decennio precedente, l’eliminazione fa rumore nonostante sia un po’ sfortunata: l’Italia esce per gli scontri diretti pur avendo fatto quattro punti. A eliminarla ci pensa proprio l’Olanda, poi campione d’Europa.

Ricordate Scudetto 2004? Ecco, ditemi chi non ha preso il mitico Beppe Scurto dalla Roma. Giovanissimo, rinforzava la tua difesa. Al pari di Simonetta e Cerci, il sacro graal di quel gioco. E non solo nella fantasia, visto che Scurto ha fatto parte della spedizione azzurra che ha vinto l’Europeo U-19 del 2003. In quella squadra, c’erano anche gente come Chiellini, Aquilani, Pazzini, Palladino, Lodi e Padoin.

In realtà Scurto ha giocato solo due partite con l’U-21, ma il suo profilo era uno di quelli che prometteva bene. Prodotto del vivaio della Roma (che ha diverse colpe in questa rivisitazione di talenti), il difensore gioca colleziona ben 16 presenze nel 2004–05, la stagione della quasi-retrocessione giallorossa. A vent’anni non è poco, ma a Roma pensano che un’esperienza altrove gli farebbe bene. Così Scurto passa in comproprietà al Chievo, non rientrando più alla base.

Con i gialloblu vive l’incredibile paradosso di disputare i preliminari di Champions League e scendere in cadetteria nella stessa stagione. L’ultima gara in A è stata quella della retrocessione, un 2–0 subito dal Catania sul neutro di Bologna nel maggio 2007. Nei successivi quattro anni giocherà in B con le maglie di Treviso e Triestina. Rimasto inattivo un anno, viene tesserato dalla Juve Stabia prima di ritirarsi ad appena 29 anni. Rimarrà nella storia per esser stato uno dei primi a esser squalificato per bestemmia e per esser stato scagionato da un sordo-muto (non è uno scherzo, giuro).

La sua carriera non è stata scintillante come le premesse sembravano presagire, ma il futuro da allenatore sembra buono. A neanche trent’anni la Juve Stabia l’ha nominato subito tecnico degli Allievi nazionali. Notato dal Palermo, la società rosanero gli ha dato lo stesso ruolo e lui se la sta cavando bene. Chissà che non lo rivedremo su qualche panchina di A tra qualche anno: sarebbe un bel modo per riscattare una carriera sfortunata.

Solo io vedo una somiglianza spaventosa con Higuain?

2007 — Gianluca Curci

Se c’è una squadra che avrebbe potuto stravincere e che invece si qualifica a malapena per il torneo Olimpico di Pechino (dopo un apposito playoff contro il Portogallo), è la nazionale guidata da Gigi Casiraghi. Non è un caso se l’ex bomber della Lazio non abbia più allenato dopo quell’esperienza (e si sia preso un rimbrotto per il suo gioco iper-difensivista da Bielsa). Giusto per fare un elenco: Chiellini, Nocerino, Montolivo, Aquilani, Pazzini, Rosina, G. Rossi, Viviano, Criscito, Pellè, Palladino.

Tutti i 23 di quella rosa hanno avuto dei momenti d’oro in A. Quindi scegliere qualcuno non è facile, ma vedendo come vanno le cose attualmente, il malcapitato è stato facile da selezionare. La carriera di Gianluca Curci sembrava esser destinata a grandi cose. Prendiamo il giorno del suo esordio: il 19 dicembre 2004 Delneri lo lancia contro il Parma. Quello è il giorno del gol numero 108 di Totti in giallorosso, con il capitano che diventa il miglior marcatore della storia della Roma in campionato.

A distanza di dieci anni, possiamo dire che Curci ha dimostrato di non meritare quella realtà. Partito titolare la stagione dopo, viene improvvisamente scalzato prima di un derby da un certo Doniéber Alexander Marangon, più semplicemente Doni. Curci continua a esser la riserva del brasiliano (arrivato per 18 mila euro dalla sconosciuta Juventude), ma si stanca e ha voglia di imporsi. Così per tre anni cresce lontano da Roma. Finito a Siena in comproprietà per Loria (rimasto nella memoria di molti solo per i gol) e Artur (famosa la frase «A Roma ci sono dei papponi intorno alla società»), retrocede nel 2010. Bissa l’anno successivo alla Samp, quando in realtà finisce anche in panchina per un rendimento disastroso nel girone di ritorno.

Nell’estate 2011, la Roma riscatta per 500 euro la metà della Sampdoria. Curci rimane solo un anno, facendo da terzo portiere e trovandosi all’improvviso titolare per un paio di settimane. Sembra risorgere all’alba dei trent’anni, quando arriva a Bologna e contribuisce alla salvezza della squadra. Sarà determinante anche l’anno successivo, ma in senso inverso, visto che i rossoblu finiscono in B. Dal 1994 alla corte giallorossa, oggi Gianluca Curci vive a Roma da quarto portiere della squadra di Rudi Garcia. Si è fatto la reputazione di “Mr. Relegation” grazie alle sue retrocessioni con Siena, Sampdoria e Bologna. Titolare in tutte e tre quelle squadre, qualche colpa ci deve esser stata.

Roma-Parma, giorno dell’esordio in A. Calcolate che l’utente marcorm27 ha fatto 11 compilation su Curci: o è un grande fan o è lui.

2009 — Robert Acquafresca

Finalmente qualche buona notizia arriva dal 2009, quando l’Italia si riprende il palcoscenico europeo a livello di U-21. La nazionale di Casiraghi arriva in semifinale e perde solo con la Germania poi campione d’Europa (dove ci sono almeno c’erano sei campioni del Mondo del 2014): non è stata un’uscita disonorevole. In quell’Europeo di Svezia, la squadra è buona, ma soprattutto si affida a una coppia d’attacco ben assortita. Da una parte Mario Balotelli, giovane e irriverente talento dell’Inter; dall’altra, Robert Acquafresca, che in quella rassegna svedese segnerà tre gol.

Prodigio del calcio italiano nato nel Torino, in realtà Acquafresca si sta rivelando una delle più grandi delusioni del calcio italiano. Il centravanti prometteva bene, tanto da segnare cinque gol nelle qualificazioni a quell’Europeo. C’è anche chi si è lasciato andare su YouTube e ha fatto confronti esagerati (leggi Drogba). Autore di un biennio di grande livello tra il 2007 e il 2009, il numero 9 rossoblu realizza 24 reti in 68 presenze con una squadra che si salverà per due volte.

Di proprietà dell’Inter, i nerazzurri mandano Acquafresca al Genoa nell’affare che porta Milito e Thiago Motta a Milano. Ceduto in prestito all’Atalanta e tornato in rossoblu a gennaio, il suo 2009–10 è segnato da infortuni e scarsa vena realizzativa. Quando torna al Cagliari, Acquafresca ha l’ultimo vagito di vita. Da lì in poi la sua carriera è accompagnata dall’oblio. A Bologna segna cinque gol in un anno e mezzo, tre con il Levante in Liga. Alla fine è tornato al Dall’Ara, ma non è che sia titolare inamovibile di un club che ha faticato a tornare in A. L’ultimo gol nella massima serie è datato 4 marzo 2012…

I migliori anni del bomber Freshwater.

2013 — Matteo Bianchetti

Mi rendo conto che è passato poco tempo e quindi giudicare come “difficile” o “finita” una carriera di qualcuno dei ragazzi di due anni fa è complicato. Anche perché l’U-21 azzurra arrivata seconda due anni fa al torneo in Israele è stata una squadra molto forte. A oggi, tutti quei 23 giocatori hanno almeno una presenza in A. Però un caso ci è venuto incontro in quest’analisi.

Spesso ci stracciamo le vesti perché i giovani dovrebbero aver la fiducia delle società, ma la carriera di Matteo Bianchetti sembra andare in direzione opposta. Prodotto delle giovanili dell’Inter, cresce per sei anni nel vivaio nerazzurro. Fa anche parte della Primavera che vince le Next Generation Series, ovvero la Champions League dei giovani. Stramaccioni, allenatore di quella squadra, viene promosso alla guida della prima squadra. Ma per Bianchetti non ci sarà mai una presenza con lui.

Così il ragazzo viene girato a Verona per il 2013, dove però Mandorlini l’ha spesso snobbato: sette presenze in B, appena tre in A. Ciò nonostante, l’Hellas preleva la metà del suo cartellino, mentre Bianchetti gioca la seconda parte del 2013–14 a La Spezia in B. La società gialloblu poi lo manda da Sarri a Empoli. Ma anche lì Bianchetti non ha fortuna: la coppia Rugani-Tonelli non gli ha lasciato tante presenze in campo e la prima riserva è il giovane Barba, proprietà Roma.

Bianchetti ha optato quindi per un’altra discesa in B, sempre a La Spezia. Al Picco è andata meglio: 13 presenze e la possibilità di giocare in vista degli Europei. Eppure lui è ancora oggi il capitano dell’U-21 (è un ’93: ci sarà anche in Repubblica Ceca), ma si trova costretto a giocare in cadetteria. L’unico di quella spedizione 2013 (insieme a Crimi del Latina) a militare ancora in B. Riusciremo a parlare di lui in altri toni tra qualche anno? Noi speriamo di sì.

Articolo a cura di Gabriele Anello

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