10 storie dal Torneo di Viareggio

Simone Pierotti
Crampi Sportivi
Published in
10 min readMar 14, 2017

Buffon tra i pali con Bonucci, Chiellini e Romagnoli a fargli da schermo, una folta mediana con Candreva e Bernardeschi sulle corsie laterali e Marchisio, Nainggolan e De Rossi nel mezzo, e là davanti Cavani e Icardi a buttarla dentro. Mica male, come undici titolare. Ed è soltanto una delle svariate combinazioni che si ottengono provando a mettere in campo i giocatori usciti nell’ultimo ventennio dal Torneo di Viareggio.

Istituito nel 1949 da Centro Giovani Calciatori, da quasi settant’anni assolve un duplice compito: dare visibilità ai campioni del domani, ancora sconosciuti al grande pubblico, e al contempo promuovere la fratellanza tra i popoli facendo loro parlare quel meraviglioso esperanto che è il pallone. Il calcio d’inizio è stato dato ieri — lunedì 13 marzo — con un mese di ritardo rispetto al periodo canonico: il torneo s’è sempre intersecato con le celebri sfilate dei carri del Carnevale, ma negli ultimi tempi l’infittirsi degli impegni delle giovanili ha costretto a spostare tutto a Primavera. È stata l’ultima rivoluzione in ordine di tempo per un torneo che ha cambiato più volte formula e s’è allargato via via a sempre più partecipanti (salirono addirittura a 48 nel 2006, ben prima dell’ultima trovata del presidente della Fifa Gianni Infantino) ma che ha saputo raccontare storie affascinanti.

IL VENTO DELL’EST
Otto coppe con il Burlamacco, la maschera del Carnevale di Viareggio, in bronzo: tra le formazioni straniere nessuna ha alzato così tante volte il trofeo come il Dukla Praga. E fu un’altra squadra d’oltrecortina, il Partizan Belgrado, la prima a sbaragliare le italiane nel 1951. Viaggiare all’estero era pressoché impossibile per i cittadini dei paesi del Patto di Varsavia e così i giovani jugoslavi si stropicciano gli occhi quando arriva l’invito della Figc a partecipare alla “Coppa Carnevale”. Sono in quindici a salire sul treno Belgrado-Parigi: il convoglio arriva nella cittadina slovena di Sežani, dove viene bloccato dalla polizia di confine e dagli agenti della Milijcia. L’intera spedizione rimane in stato di fermo per ben due notti: l’accusa è di aver tentato di oltrepassare illegalmente la frontiera. I dirigenti riescono a chiarire il malinteso e, in mostruoso ritardo sulla tabella di marcia, il Partizan arriva a Viareggio. Sarà tuttavia un lieto fine: dopo aver eliminato il Bologna e il Racing di Parigi, nell’atto supremo l’undici belgradese nega alla Sampdoria la gioia di bissare il successo dell’anno precedente. E, curiosamente, tutte le tre partite si concludono con il medesimo risultato: 2–1.

VIVA LA RAI
Se c’è un luogo con il quale la tv di Stato vanta un legame davvero speciale, quello è Viareggio: è qui che il 21 febbraio 1954 trasmette la sua prima esterna in diretta nazionale. Le telecamere portano sul piccolo schermo la sfilata dei carri: tra la folla si aggirano i divi hollywoodiani Humphrey Bogart e Lauren Bacall, in pausa dalle riprese di un film a Tirrenia, e pure un ignaro turista torinese che viene beccato in compagnia dell’amante dalla moglie rimasta a casa. L’esperimento si rivela un successo, al punto che la Rai ritorna la domenica seguente. E il giorno dopo Lanerossi Vicenza e Juventus si contendono il trofeo con Burlamacco. Il secondo tempo della finalissima finisce così in diretta tv: nei bar della città veneta gli sportivi sgomitano per essere testimoni dello storico trionfo dei biancorossi. Quella squadra annovera Franco Luison — è l’unico portiere ad aver vinto il torneo senza concedere reti -, il futuro ct azzurro Azeglio Vicini, Sergio Campana e Renzo Cappellaro, entrato nel mito con il record di 14 reti complessive al “Viareggio“ poi eguagliato da Ciro Immobile.

Più avanti, nel 1976, la Rai propone “Dal primo al novantesimo minuto”, una ripresa simultanea di ben quattro partite della giornata conclusiva della fase a gironi con tanto di telecronaca e replay.

IL GRIFO E LA MONETINA
Al Torneo di Viareggio l’esito di una partita è stato deciso nei modi più disparati: tramite sorteggio, ai calci di rigore, ai supplementari sia con la regola classica sia con l’esperimento del golden gol. E sì, pure con la monetina, un metodo alquanto bizzarro che si rende tuttavia necessario per la finalissima del 1965 tra Genoa e Juventus. Il 1° marzo un violento acquazzone sciupa la festa e il manto erboso: dopo appena tre minuti dall’inizio della ripresa, sul risultato di 0–0, l’arbitro Campanati di Milano non può far altro che sospendere l’incontro.

Si ritorna a giocare, stavolta senza la scure del maltempo, due giorni dopo. E altrettante sono le reti segnate per parte e per tempo. Un equilibrio che rasenta la perfezione, tanto che il risultato non si schioda neppure dopo un’ulteriore mezz’ora di gioco. Si ricorre al lancio della monetina e ad alzare le mani al cielo è il Genoa di Aldo Agroppi, del portiere Emmerich Tarabocchia e di Carlo Petrini.

SAN SIRO A VIAREGGIO
Ventimila spettatori: stando alle cronache, e soprattutto alle stime, dell’epoca è il primato di pubblico nella storia del Torneo di Viareggio. E pensare che lo stadio dei Pini metteva a disposizione non più di quindicimila posti a sedere. Eppure, quando all’ultima gara arrivano Milan e Inter come nell’edizione del 1971, sul limite di capienza si può anche soprassedere. E così il fischietto della finale, un certo Gonella di Torino, dopo essersi consultato con il commissario della CAN Ferrari Aggradi consente a migliaia di sportivi di adagiarsi a bordo campo purché non ostacolino il gioco: affare fatto. Passa in vantaggio il Milan allenato da Cesare Maldini, uno di casa a Viareggio, ma i nerazzurri rimontano fino a vincere: è una vittoria nel segno di Ivano Bordon, Gabriele Oriali e Bortolo Mutti. E poi c’è Evert Skoglund, primogenito di “Nacka”, emulato pochi anni dopo dal fratello Giorgio con la maglia del Milan.

DALLA CINA CON FURORE
In tempi di Guerra Fredda — e in uno dei Paesi fondatori della Nato — il Cgc si è sempre schierato in favore della distensione invitando al proprio torneo formazioni bulgare, cecoslovacche, romene, sovietiche e ungheresi. Ma nel 1978 firma un autentico capolavoro: una rappresentativa giovanile di Pechino giocherà Viareggio e per la prima volta una squadra della Repubblica Popolare Cinese esce dai confini nazionali. Un evento da festeggiare con un cocktail di benvenuto in municipio, alla presenza del presidente federale Artemio Franchi. L’undici pechinese cerca di non sfigurare: dopo un inappellabile 3–0 nel debutto contro la Fiorentina arrivano una sconfitta di misura con l’Ofk Belgrado e l’ottimo pareggio a reti bianche con la Sampdoria campione uscente. Sul piano geopolitico, invece, quella presenza avrà un impatto ben più tangibile: nel 1980 la Cina romperà l’isolamento sportivo tornando a gareggiare ai Giochi Olimpici e la Federcalcio di Pechino viene ufficialmente riammessa alla Fifa. Merito, chissà, anche del Torneo.

QUESTO BATISTUTA NON È DA VIAREGGIO
1° febbraio 1989: al Torneo di Viareggio è il giorno dei quarti di finale. Il Torino, giunto secondo l’anno prima, sfida gli argentini del Deportivo Italiano. La gara si protrae ai calci di rigore e dal dischetto sbaglia un ragazzo che proprio quel giorno festeggia 20 anni: Gabriel Omar Batistuta. Visionato dai dirigenti della squadra cittadina che milita in Interregionale, viene scartato dopo l’infausta partita: “Questo giocatore non è da Viareggio!”, sentenzia uno di loro. Prima di rientrare in patria, comunque, la squadra sudamericana ha avuto la possibilità di assistere dal vivo alla sfida tra Fiorentina e Roma: in quello stadio Batistuta rimetterà piede pochi anni dopo, e non certo da spettatore. Proprio durante il Torneo, poi, il Deportivo Italiano riceve una visita davvero speciale. Il Napoli gioca a Pisa una sfida di Coppa Italia e Diego Maradona decide di raggiungere l’Hotel Caribe in via D’Annunzio, dove alloggia la squadra: tra gli argentini, infatti, c’è pure il nipote Diego López. Batistuta riesce a posare per una foto con El Pibe de Oro: saranno ancora fianco a fianco, ma stavolta con la maglia della nazionale, ai Mondiali del 1994.

LA FINALE PERFETTA
La squadra più tifata dagli italiani (la Juventus) contro quella che almeno in Toscana vanta un numero di simpatizzanti forse superiore rispetto alle grandi del Nord (la Fiorentina). Oltre al confronto diretto tra Alessandro Del Piero e Francesco Flachi, due tra i più promettenti numeri dieci in circolazione. I dirigenti e i volontari del Cgc si sfregano le mani: proprio non potevano desiderare epilogo migliore per l’edizione che precede di pochi mesi il Mondiale americano. Si gioca il 14 febbraio 1994, giorno di San Valentino, ma nessuno è in vena di coccole o smancerie. Anzi: non mancano tafferugli all’esterno dello stadio con risse, inseguimenti nell’adiacente pineta, fermi della polizia e perfino un ferito. Sul rettangolo verde, invece, è decisamente un altro spettacolo: la Juventus rompe gli indugi, la Fiorentina ribalta l’iniziale svantaggio fino a incassare il 2–2 a una manciata di minuti dal triplice fischio.

In base al regolamento si procede alla ripetizione a distanza di un paio di giorni senza lo squalificato Flachi: stavolta è la Vecchia Signora a illudersi di poter sbrigare tutto in novanta minuti, volando sul doppio vantaggio ma facendosi acciuffare. Poi, a pochi secondi dal termine del primo supplementari, il viola Cozzi atterra Del Piero in area: sul dischetto si presenta lo stesso “Pinturicchio” che dimostra già la freddezza d’un giocatore scafato. La partita finisce letteralmente qui: vige infatti la regola del golden gol. E una delle sue prime applicazioni si registrò proprio a Viareggio l’anno precedente, in occasione della semifinale tra Milan e Padova.

LA PACE SIA CON VOI
Un gruppo di giovani calciatori in tuta percorre la pista d’atletica dello stadio dei Pini reggendo un cartello che ne indica la provenienza: sono palestinesi. Qualche metro più in là, alle loro spalle, avanzano i giocatori di un’altra squadra: loro, invece, vengono da Israele. È forse questa la cartolina più bella del Torneo di Viareggio del 2002, il primo dopo gli attentati terroristici dell’11 settembre: i palestinesi dell’Arab Jerusalem, gli israeliani del Maccabi Haifa e gli americani del New York Stars sfilano tutti assieme nella cerimonia di apertura dopo che gli Usa hanno lanciato la guerra al terrorismo concentrandosi sull’Afghanistan. Le misure di sicurezza, inutile sottolinearlo, sono imponenti e i rispettivi alberghi tenuti costantemente sotto osservazione. Le tre squadre finiscono in gironi diversi e non s’incontrano fra loro, ma poco importa: basta anche solo vederle una accanto all’altra sul prato dello stadio dei Pini per ricordarci quanto è bella e preziosa la diversità. Come titola un carro dedicato a Papa Giovanni Paolo II che sfila proprio in quei giorni a Viareggio: “La pace sia con voi”. In quel torneo, poi, brillano nel Bayern Monaco due stelline che rispondono al nome di Bastian Schweinsteiger e Philip Lahm: è anche grazie a loro che i bavaresi battono di misura la Roma di Bovo, De Rossi e Pepe.

ALLA CONQUISTA DELL’AFRICA
“Simpatia” e “folklore”. Due parole che troppo spesso hanno accompagnato la presenza di squadre africane al Torneo. Tradotto dal politically correct: questi giovanotti dalla pelle color ebano sono scarsi e tatticamente limitati, però ispirano tenerezza e colorano con un po’ di vivacità il grigio inverno. Eppure quattro ragazzi riusciranno a sconfiggere il più acerrimo degli avversari: il pregiudizio. È il 2005 quando a Viareggio si presenta l’Afrisports Pharco, formazione dello Zambia sponsorizzata dall’omonimo colosso farmaceutico che ha sborsato l’equivalente di 50mila euro e regalato due set di maglie da gioco. Il capodelegazione, poi, è un monumento vivente come Kalusha Bwalya, il centravanti della nazionale che impartì agli azzurri una delle lezioni più severe e umilianti di sempre ai Giochi di Seul del 1988. Dopo un tutt’altro che disprezzabile pareggio col Siena, l’Afrisports naufraga contro Maccabi Haifa ed Empoli: gli africani sono così eliminati. Contro gli israeliani vengono schierati tra gli altri il portiere Kennedy Mweene, il difensore Francis Kasonde e i centrocampisti Rainford Kalaba e Felix Katongo: a distanza di sette anni solleveranno tutti sotto il cielo di Libreville la prima Coppa d’Africa per nazioni vinta dallo Zambia.

ALL’INFERNO E RITORNO
Una fuga di ben sei giocatori che da un giorno fanno perdere le proprie tracce. Una gara sospesa per i troppi cartellini rossi, il pandemonio in campo e una squadra accompagnata alla più vicina caserma dei carabinieri. Partite a porte chiuse. La cinquantanovesima edizione del Torneo verrà ricordata per sempre come una delle più travagliate. La sera del 2 febbraio 2007, tre giorni prima del calcio d’inizio del “Viareggio”, l’ispettore di polizia Filippo Raciti muore dopo un Catania-Palermo segnato da scontri e tutte le attività calcistiche in Italia, nessuna esclusa, vengono sospese a tempo indeterminato. Anche il Torneo di Viareggio, certo. Si forma così un’unità di crisi formata dal sindaco, dagli assessori, da senatori viareggini e da due illustri concittadini come Marcello Lippi e Pierluigi Collina: dopo giorni di trattative con Roma — l’ex presidente del Cgc Paolo Giusti, esponente della Dc, aveva perfino scomodato Giulio Andreotti — la Coppa Carnevale parte con due giorni di ritardo. Non c’è la cerimonia d’apertura, non c’è la lettura del giuramento e nemmeno il pubblico: per quanto a porte chiuse, almeno si gioca. Come titolano i quotidiani e i tg di tutta Italia, “il calcio italiano riparte da Viareggio”: le partite della giornata inaugurale interrompono infatti la sospensione decisa dalla Figc.

Si torna pian piano alla normalità, anche se c’è da registrare la scomparsa nel nulla di sei giocatori della formazione senegalese del Cambérène e la radiazione dal Torneo degli argentini del Real Arroyo Seco dopo che un loro calciatore ha aggredito l’arbitro della gara persa a tavolino col Genoa. Lo stesso Grifone vincerà in rimonta la finalissima con la Roma in una splendida giornata di sole e con la Coppa del Mondo in bella mostra a bordo campo: è il lieto fine di un’annata che a Viareggio, per vari motivi, difficilmente dimenticheranno.

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Simone Pierotti
Crampi Sportivi

Giornalista pubblicista (ex) pallanotista. Trapiantato a Viareggio ma con il cuore rimasto ad Atene