100 anni di Reggina tra ascese e cadute

Crampi Sportivi
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6 min readMay 30, 2014

In un anno disgraziato, la Reggina saluta la Serie B dopo diverse stagioni ad alti livelli. Da Nevio Scala a Mazzarri, da Aglietti e Perrotta alla coppia gol Amoruso-Bianchi: tante emozioni per gli amaranto, che chiudono la stagione con un’annunciata retrocessione in Lega Pro. Proviamo a riassumerle con le parole di un tifoso.

L’Associazione Sportiva Reggina nasce nel 1914. 12 anni prima del Napoli e della Fiorentina, 13 prima della Roma, 32 prima della Sampdoria. Una storia altalenante tra la B e la C, senza grosse pretese. Nel 1989, però, cominciano ad intravedersi le prime luci della ribalta. La Reggina di Nevio Scala si gioca la serie A contro la Cremonese. Ogni reggino ha almeno un parente o un amico che sostiene di essere stato a quello spareggio che si è svolto a Pescara e per la quale si mobilitarono — secondo Giusva Branca, storico amaranto — 23.000 reggini. Finì ai rigori, e 46.000 occhi piansero. Michelangelo Rampulla, messinese, parò il tiro di Armenise, e il rigore decisivo per i grigiorossi lo tirò — centrale, forte — tale Attilio Lombardo, destinato a fare la storia sotto la Lanterna, sponda blucerchiata.

A quella mancata promozione seguirono dei campionati anonimi, e la Reggina arrivò persino a essere retrocessa in C1. Perse i playoff per risalire in B contro la Juve Stabia, storica “bestia nera” per gli amaranto nel campionato 93–94, e risalì tra i cadetti dopo un campionato vinto nel 94–95. L’anno dopo l’allenatore della promozione, Zoratti, viene sostituito da un allenatore delle giovanili, tale Franco Gagliardi, che dopo un filotto di risultati positivi salvava la Reggina dalla retrocessione.

La Reggina della stagione 1984/85.

Chi vi scrive ha cominciato a seguire la Reggina nell’anno della promozione dalla C1, quella del bomber Aglietti. Nelle giovanili giocava un certo Simone Perrotta, calabro-inglese che molti anni dopo bacerà la coppa del Mondo all’Olympiastadion di Berlino. A Torino, nel giorno della promozione in serie A del 1999, i numeri erano simili a quelli di Pescara, e anche in questo caso, ogni reggino che si rispetti conosce almeno uno che sia stato al “Delle Alpi” quel giorno. Io non ho avuto nessun bisogno di conoscere: ho fatto una telefonata ai cugini di Torino — perché sempre lo stesso reggino che si rispetti ha almeno un parente a Torino — e ho fatto comprare i biglietti per il settore ospiti. Una bolgia, non esagero dicendo che lo stadio era diviso a metà tra reggini e torinisti, allora gemellati. All’1–2 di Tonino Martino, ala amaranto, il settore ospiti impazzì. Ricordo la faccia bovina di un signore dubbioso, probabilmente nemmeno lui pensava che la Reggina potesse conquistarsi un posto speciale sotto i riflettori del grande calcio nazionale. La città dello Stretto, dopo quella grande impresa, impensabile fino all’anno prima, si dipinse di bandiere amaranto, striscioni e grosse “A” in tutti i materiali possibili. Era la Reggio del sindaco Italo Falcomatà, della cosiddetta “Primavera Reggina”, che guardava l’Italia senza i consueti complessi di inferiorità.

Ed è proprio in un altro Reggina-Torino che venne tributato un omaggio al sindaco-tifoso che tante deroghe aveva firmato per far giocare la squadra in un “Granillo” in costruzione. Falcomatà sfortunatamente morì di leucemia nel 2001. Emblematici gli striscioni della sud in onore del primo cittadino scomparso, che era schierato a sinistra, nonostante la curva fosse nota per le sue simpatie di destra: “Né rosso né nero, Falcomatà reggino vero”. Gli verrà poi dedicato il lungomare della città.

E’ un periodo scandito da tante salvezze all’ultima giornata. La più grande impresa della Reggina, e la squadra alla quale il pubblico rimane più affezionato, è sicuramente la storica salvezza del campionato 2006–07 partendo da -11. Un fantastico Mazzarri, tuttora cittadino onorario di Reggio Calabria come tutta la squadra partecipante a quell’impresa, guida la Reggina ad una salvezza impensabile all’inizio del campionato. E’ il tandem Bianchi-Amoruso, migliore coppia gol della serie A di quell’anno, che la tiene a galla e la porta a 51 punti. Senza penalità sarebbe stata in zona UEFA dietro l’Empoli. La gente, visti i risultati, comincia a volere di più e non accontentarsi solo del misero contentino, di vittorie all’ultimo minuto contro squadre “in vacanza”, facendo retrocedere di fatto per ben due volte in due anni i rivali storici del Messina. Non c’è un progetto vero se non quello di far crescere giocatori e venderli nell’immediato al miglior offerente. L’eroe Lillo Foti, presidente che aveva rilevato la Reggina nel 1986 dopo il fallimento dell’A.S. Reggina, comincia ad essere messo in discussione. Gli investimenti cominciano ad essere sfortunati, apparentemente incentrati sul voler spendere poco.

Il 2006/07 è l’anno dei miracoli, l’ultimo con Walter Mazzarri in panchina: la salvezza con un -11 sulle spalle.

Con la squadra ancora in ballo per non retrocedere, a gennaio 2009 si prende solo il terzino Krajcik, timidissimo laterale ceco messo là a (non) compiacere la piazza. E’ la Reggina di Corradi, quella che scende di nuovo in serie B, mestamente e meritatamente. Non bastano i prestiti del primo anno di A, quei Pirlo, Kallon e Baronio ancora oggi idolatrati a Reggio. Non bastano tutti i giocatori valorizzati: Pelizzoli, Bonazzoli, Mozart, Leon, Nakamura, Di Michele, Cozza, Bianchi, Amoruso, Aronica e chissà quanti altri ne sto dimenticando. La Reggina riprende la sua strada storica, quella delle serie minori. Nove anni di A, con in mezzo uno di B dovuto allo spareggio perso con l’Hellas Verona. Si ritorna dunque a una forzata sobrietà, e l’ebbrezza non verrà mai rimpianta abbastanza.

Le illusioni continuano nel campionato di B del 2009. Arrivano, nell’ordine: Bonazzoli di ritorno, Volpi, Buscè, Cacia, Mario Cassano e molti altri rinforzi considerati ottimi dalla tifoseria, con contratti pesantissimi per centrare come nel 2002 la serie A al primo colpo. Ma le cose non vanno bene, la squadra viene consegnata ad Ivo Iaconi, buon allenatore ma di sicuro non un genio del pallone. La squadra sbanda e si salva, guidata da Breda, all’ultima giornata.

L’anno dopo arriva Gianluca Atzori. Trascinata da Bonazzoli, Acerbi, Tedesco e Puggioni, la Reggina arriva ai playoff di serie B, persi sotto il diluvio di Novara con un bellissimo gol di Rigoni nelle ultime fasi della partita. Il Piemonte dà, il Piemonte toglie.

Da quella partita la Reggina non si riprenderà praticamente più. Un campionato anonimo nel 2012 con salvezza all’ultima giornata seguito dalla stagione del centenario. In città si mormorano grandi cose, di una squadra rifondata con grandi obiettivi e di un presidente in vena di spese.

La Reggina dell’Atzori-bis — reduce dai fallimenti con Sampdoria e Spezia — parte bene, mostrando gioco e voglia, e poi si perde. La squadra viene affidata, dopo diversi avvicendamenti, al duo Gagliardi-Zanin, tanto impressionante in conferenza stampa quanto inefficace sul campo.

Cosa rimane allora, della Reggina? La contestazione alla società? I tifosi che disertano lo stadio? Qualcuno pensa che, se Foti andasse via, a Reggio si otterrebbe l’effetto-Bari, con trentamila persone pronte a gridare per la Reggina sugli spalti. Siamo scettici al riguardo.

Fatto sta che quest’ultima caduta è un peccato mortale, per la squadra e per la città. Non a caso Branca ha definito questa pagina di storia amaranto “(inde)centenario”.

Neanche la classe di David Di Michele è servita a salvare la Reggina dalla Lega Pro.

Articolo a cura di Fabio Rinaldi

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