3 partite di Champions League in 5 punti — ManCity vs. Roma; PSG vs. Barça; Atletico vs Juve

Crampi Sportivi
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9 min readOct 2, 2014

Roma gagliarda

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1. La personalità della Roma

Il pomeriggio della partita sul profilo facebook della Roma sono state postate le foto della squadra che entra all’Etihad. C’è Paredes che ha l’aria di uno studente distratto in gita ai musei vaticani: cioè di uno che è contento di una bellezza che, in fin dei conti, non lo riguarda. Sotto la foto una signora commenta: “Me raccomando evitate la figuraccia del 2007”. Sui forum dei tifosi della Lazio si commenta “L’imbarcata è dietro l’angolo”.

Questo per dire che nel preparare la partita quello della paura era un fattore concreto. Si aveva un po’ il sospetto che la Roma si fosse bullata col suo gioco europeo in Serie A, ma che con ritmi meno narcotici ed avversari meno scarsi tutto sarebbe crollato.

Il vago senso di paura assume una forma molto concreta e definita dopo 3 minuti. Quando ai primi due micro-errori individuali — una diagonale un po’ pigra e un braccio un po’ ingenuo — la Roma è già sotto uno a zero. Per dire che contro certe squadre le sbavature fanno presto a diventare catastrofi.

A quel punto è diventato difficile non pensare a quante volte il City di Pellegrini ha vinto con più di quattro gol di scarto. A tutti i sei a uno, ai cinque a zero segnati con un’indolenza da allenamento, come se non si potesse proprio fare altrimenti. Marchegiani in cronaca avrà pensato la stessa cosa quando ha detto: “La Roma deve sì pensare a riequilibrare il risultato, ma non deve sbilanciarsi troppo altrimenti…”.

La stessa cosa però non la pensava la Roma, che due minuti dopo va ad attaccare l’area del Manchester City con tutti e due i terzini e quattro inserimenti da dietro complessivi. Segno che a loro l’imbarcata non è passata per la testa neanche per un attimo.

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Fa molto ridere Zabaleta che manco va a chiudere su Florenzi e Cole — un secondo dopo pronti sulla riga di porta a farsi rimbalzare la palla addosso — ma protesta per un fuorigioco immaginario

2. La fluidità

Che le squadre italiane soffrano il ritmo di quelle inglesi è un fatto talmente consolidato che nel pre-partita non ci si chiedeva neanche “se” la Roma avrebbe sofferto l’intensità, ma “quanto” la avrebbe sofferta. Il campo ha risposto. Dopo i primissimi minuti nei quali il pressing alto del City ha costretto la Roma a una difesa in affanno, Keita e Pjanic si sono liberati della prima pressione con una facilità disarmante. Dopo cinque minuti — e fino al pareggio di Totti — la Roma ha preso il controllo del centrocampo con quel particolare senso “liquido” del gioco che i centrocampisti di Garcia riescono ad esprimere. L’asse Keita-Pjanic è quello che ha prodotto più passaggi complessivi (34, contro i 28 di Silva-Tourè, che hanno beneficiato però beneficiato di un possesso del 60%), e alla fine, a forza di resistere ai raddoppi e di far saltare il pressing, il City si è sfaldato lasciando spazi in avanti.

3. La difesa del Manchester City

La qualità dei centrocampisti della Roma nel primo tempo ha fatto impazzire il pressing del City. Dopo qualche passaggio veloce la Roma poteva attaccare a palla scoperta una difesa del che definire “statica” è riduttivo.

I difensori sono finiti ripetutamente fuori posizione e anche la difesa dell’area è stata imbarazzante: nessun inserimento dei centrocampisti della Roma è stato mai assorbito e l’uno-contro-uno Demichelis-Gervinho ha prodotto anche meno danni di quanti avrebbe potuto.

La grande questione nel pre-partita era, del resto, se avrebbe giocato Mangala o Demichelis: e tutti, a immaginare la combo De Michelis-Gervinho, aumentavano la salivazione. Tutto come previsto: ha giocato Demichelis/non ci ha capito un cazzo/la Roma poteva fare tre gol.

4. La difesa della Roma

È vero che il City anche in fase di costruzione ha giocato maluccio, ma in ogni caso difendere gli ultimi 30 metri da gente tipo Dzeko, Tourè, Aguero e, soprattutto, Silva può diventare facilmente un incubo.

Il City ha tirato 15 volte, ma solo due volte ha preso la porta (una dal dischetto e l’altra con Lampard da trenta metri): segno che la Roma ha concesso sempre situazioni di tiro complicate e, come si vede da questo grafico, ogni volta che il City ha provato a tirare a ridosso dell’area i tentativi sono stati bloccati.

tiri city

In grigio i tiri bloccati dalla Roma, 3 da Yanga Mbiwa e 2 da Manolas

Quello di far tirare poco l’avversario in porta era uno dei pregi della Roma della scorsa stagione, e in tal senso i nuovi interpreti hanno assicurato una continuità. Yanga Mbiwa in particolare ha disputato — al netto di qualche eccessiva ruvidità su Dzeko — una partita spettacolare: 9 disimpegni e 3 tiri pericolosi bloccati.

5. La semplicità del gesto

Che poi quello che voglio che mi rimanga negli occhi di questa partita è la semplicità con cui Francesco Totti ha segnato quel mezzo pallonetto di mezzo esterno e mezzo collo. La sorpresa di vederlo arrivare sul pallone prima di Hart, ricomporsi e raccogliere in un attimo tutta la classe di 20 anni di calcio.

È incredibile quanto sia chiaro che quello è un gesto-Totti, completamente suo, che nessun altro avrebbe potuto concludere in quel modo l’azione. È tutto in quell’ultimo passo improvvisamente corto e il tocco lieve che ammorbidisce la corsa e ne addolcisce la forza.

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Dopo tutto questo c’è davvero qualcuno a cui interessa il record?

Paris Saint Germain vs. Barcellona: direttamente dallo spazio

Paris Saint-Germain v FC Barcelona - UEFA Champions League

1. 22 fenomeni e un po’ di record da frantumare 5 reti in 55 minuti; Messi che segna la rete numero 500 del Barca in Champions; Xavi colleziona il cap numero 143 e diventa il giocatore con più presenze in assoluto nella storia della Champions superandoRaul; Verratti segna la sua prima rete in maglia Psg di testa (!) e torna ad esultare a distanza di tre anni dall’ultima realizzazione con la maglia del Pescara sul campo del Cittadella.

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2. Come arrivano le squadre Paris Saint Germain e Barcellona arrivano al match di Champions in condizioni diametralmente opposte: il Barca di Luis Enrique non ha ancora subito gol, ed ha vinto sei delle precedenti sette gare della stagione. Magari non avrà sempre entusiasmato nelle prime uscite ma è riuscito a chiudere 3 dei precedenti sei match con più di tre reti all’attivo. La squadra allenata da Laurent Blanc, invece, veniva da una serie di pareggi non entusiasmanti e una vittoria sul campo del Caen che non è certo come vincere al Camp Nou. Prima del match di Champions cominciavano già a circolare voci di un possibile sostituto dell’ex libero di Manchester United, Inter e Marsiglia.

3. Pop elite Il Psg deve rinunciare a Thiago Silva, Lavezzi e soprattutto Ibrahimovic, costretto in tribuna. Insieme allo svedese, impassibile durante tutto il match, un parterre che ti fa capire qual è la levatura generale della partita.

parterre

4. Un primo tempo gradevole Il match parte subito fortissimo con i primi 15 minuti infuocati. David Luiz giustifica una piccolissima parte dell’acquisto monstre da parte del club parigino con uno stop e girata di sinistro da bomber (quanto possiamo quantificare questo gol in termini di ammortamento di spesa?).

Neanche il tempo di godersela (Ibra impassibile in tribuna un po’ meno) che arriva il pareggio del Barca con un’azione meravigliosa che riporta alla mente il tocco rapido, fitto e poetico di matrice guardiolana: Mascherano, Iniesta, Neymar, Messi, Iniesta e ancora Messi per una rete da far vedere e rivedere nelle scuole calcio.

pareggio barca

Il Barcellona sa rendere il calcio una roba veramente complicata

Il Psg però continua a spingere forte subendo le ripartenze del Barca, fino al 26 minuto in cui Marco Verratti, con un colpo di testa furtivo realizza la rete del 2 a 1.

5. Immolamenti Sul 3–2 (dopo i gol di Matuidi e Neymar) il Barcellona ha diverse occasioni per segnare, vanificate però da due salvataggi che riscrivono il concetto di immolarsi per la causa. Prima Matuidi che preferisce perdere la virilità che far passare un tiro di Rakitic:

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Dicono batti i piedi, dicono

Poi Marquinhos, con un tempismo alieno, continua il lavoro di Mascherano nella scrittura del grande libro “i salvataggi più pazzeschi della storia”

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Il leggero ardore agonistico

Roba che fa volare. E Jay Z è d’accordo con noi

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Atletico vs Juventus, ovvero l’armonia dei falli

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1.Spezzare il gioco

49 falli ci indicano che, quasi preciso spaccato, è stato commesso un fallo ogni 2 minuti.

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Immaginate di essere al cinema e che quello dietro di voi vi copra gli occhi ogni due minuti, per tutto il film. Un cazzo di incubo.

2. È stata davvero una brutta partita?

Non siamo femminucce, nella famosa “economia della partita” il fallo ci sta, ne è parte integrante, e, soprattutto, ha un suo fascino. Juventus — Atletico è stata una partita un po’ così, dove l’assenza di calcio è dimostrata dai numeri (0 tiri nello specchio per la Juventus, 2 per l’Atletico), ma per cui usare il termine “brutta” non è possibile. Sempre facendo riferimento ai numeri, l’Atletico porta a casa 28 contrasti difensivi vinti su 37 (più di 2 su 3), mentre la Juventus 21 su 28 (3 su 4). L’elogio della linea spezzata, della guerra come igiene del mondo.

3.Viverla da fuori

In meccanica statistica l’entropia è una grandezza che definisce la misura del disordine presente in un sistema fisico qualsiasi. Il campo da calcio è un sistema fisico qualsiasi. Quando un sistema passa da uno stato di equilibrio ordinato ad uno disordinato la sua entropia aumenta, possiamo affermare che ieri al Calderon c’era molta entropia. I giocatori la esprimono uno contro l’altro, in maniera fisica, Simeone ha un modo tutto suo di creare entropia.

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Allegri? Allegri litiga con Sacchi.

4) Godin

Ad un certo punto il commentatore Mediaset, Piccinini, si è chiesto come mai tutte le palle alte fossero preda di Godin. Come mai? In questa partita Godin ha fatto un fallo e ne ha subiti 5; ha 7 disimpegni riusciti e 5 palloni intercettati; 2 contrasti vinti e 0 persi. L’unico saldo negativo è nei duelli aerei 1 vinto e 3 persi, ma dopotutto marcava Llorente. Piccinini, perché? Perché Godin è un fenomeno e il giocatore che vuoi in partite come queste.

5)Lichtsteiner

Guardate la rappresentazione simbolica della partita di Lichtstainer.

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Se al centro vuoi Godin, sulla fascia vuoi lui. La rappresentazione svizzera dell’ardore. Rosso in faccia dal primo minuto, sembrava trovarsi nel salotto di casa sua: falli, strilli, proteste e furbate. Se ieri la Juventus avesse avuto 11 Lichtsteiner non avrebbe mai perso.

Articolo a cura di Emanuele Atturo (city-roma), Oscar Cini (psg-barça) e Marco D’Ottavi (atletico-juve)

Grafici tratti da FourFourTwo statszone

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