A che punto è la NBA 2016–17

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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7 min readJan 16, 2017

A inizio anno ci siamo chiesti come sarebbe stata questa stagione NBA (sia per l’Ovest che per l’Est); se Kevin Durant si sarebbe integrato nella sua nuova avventura ai Warriors; se gli Spurs si sarebbero rivelati ancora troppo vecchi, come avrebbero reagito i Cavs alla sbornia di gara 7 e se la NBA si sarebbe fatta trovare pronta ad accogliere una nuova contender a evitarci una finale che sembra ancora abbastanza scontata (e siamo a gennaio).

Cercasi contendenti a Est

di Marco A. Munno

Se a Ovest dietro Golden State c’è bagarre, a Est si cercano disperatamente contendenti per detronizzare i Cavs e dargli battaglia per un posto in finale che pare già assicurato ai campioni attuali. Toronto è migliorata, ma sinora negli scontri diretti è stata sempre sconfitta; nelle proiezioni estive, dopo un mercato di nomi intriganti, si pensava ai Pacers. Tuttavia si tratta delle squadre meno costanti sinora: in lotta addirittura per l’ingresso o meno ai playoffs, con tanto di striscia positiva a inizio gennaio. George resta uno dei migliori 10 della Lega, Turner è in ascesa costante, ma il resto è poco continuo: Teague sembra un doppione di Ellis per accentramento del pallone, penetrazione superiore al tiro da fuori, difese velleitarie; Jefferson sta offrendo poco contributo, Young sembra andare a corrente alternata.

Va a finire che bisogna aspettare la maturazione dei giovani Bucks: Jabari Parker sta finalmente mostrando il talento che la carriera universitaria preannunciava, ma soprattutto a far spavento è la sua combinazione con l’altro giovane di Milwaukee. Miglior realizzatore, miglior assist-man, miglior rimbalzista della squadra: Giannis Antetokoumpo sta entrando definitivamente, e di diritto, nel novero delle stelle in Lega: questa stagione ha migliorato finora qualsiasi voce statistica fino a farlo risultare il migliore in tutte le categorie del suo team, è il giocatore più importante dopo LeBron nell’intera Conference. E tutto questo a 22 anni, con l’impressione che la sua formazione non sia ancora completata.

https://www.youtube.com/watch?v=JUznksmYx1g

di Michele Garribba

La situazione della Eastern Conference è praticamente sovvertita rispetto agli ultimi anni: le stagioni deludenti di Atlanta e Chicago sono l’ennesima conferma di quanto oggi a vincere sia prevalentemente il gioco small ball. Ad Atlanta hanno sostituito Horford con Howard, sperando in una rinascita che in verità non è avvenuta, perché l’ex centro degli Hawks invece era in grado di aprire maggiormente il campo; probabilmente anche la trade di Jeff Teague ha pesato sull’equilibrio della squadra che deve attendere ancora un po’ la crescita di Dennis Schroder che ha mostrato comunque buone qualità.

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Discorso simile per i Bulls, che annoverano un backcourt composto da Rondo e Wade, fenomenali giocatori d’area ma carenti dietro l’arco dei tre punti, così come Butler in verità che è stato un tiratore da tre molto discontinuo nell’ultimo triennio. Grande conferma per i Boston Celtics, invece, che stanno disputando una grande stagione finora, nonostante due assenze fondamentali quali quelle del succitato Horford e di Jae Crowder (altro giocatore modernissimo e molto funzionale); Isaiah Thomas è riuscito finalmente a trovare una dimensione che gli compete e una continuità che fino alla scorsa stagione era mancata.

La speranza è dunque che la Eastern Conference stia limando pian piano il divario che l’ha separata dalla Western riuscendo a far emergere franchigie che sono riuscite a scendere a compromessi ed a superare, almeno parzialmente, il limbo della rebuilding.

https://www.youtube.com/watch?v=iC91U93yQg8

di Andrea Centenari

Strano a dirsi, ma una delle squadre che mi ha entusiasmato maggiormente in questo inizio di regular season NBA è stata quella con, numeri alla mano, uno dei peggiori attacchi di tutta la lega (al momento in cui vi scrivo al 28° posto, per la precisione): i Memphis Grizzlies di coach Fizdale.

Un tecnico preparato ma pur sempre all’esordio da head coach su una panchina NBA, un roster già di per sé non stellare che ha perso tre delle sue stelle più lucenti — Chandler Parsons, Mike Conley e Zach Randolph — per parecchie partite, che è riuscito comunque ad issarsi fino anche al quinto posto della Western Conference, battendo, tra le altre, campioni e vice-campioni NBA (Cavs e Warriors). Il tutto grazie ad un gruppo di giocatori semi-sconosciuti (JaMychal Green, Andrew Harrison, Jarell Martin, Troy Williams, Troy Daniels), alcuni dei quali addirittura neanche scelti al draft. Fin qui, la franchigia di Memphis è stata brava ad appigliarsi al totem Marc Gasol e al carisma di Tony Allen. Nota nostalgica: c’è anche il 39enne Vince Carter a dare spettacolo partendo dalla panchina, talvolta volando ancora sopra il ferro come ai bei tempi andati.

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Incredibile la continua evoluzione di Marc Gasol, sempre più leader di questi Grizzlies. Un giocatore completo, ormai diventato un centro atipico attorno al quale si snoda l’intero gioco offensivo e difensivo di Memphis: primo di squadra alla voce punti (19.6 a partita), terzo nei rimbalzi (6.1 a partita) e secondo negli assist (4.2 a partita, assistendo il 24% delle conclusioni dei compagni quando è in campo) e primo nelle stoppate (1.5 a partita). Quest’anno poi ha sfoggiato anche un tiro da tre affidabile tirando con il 40% da dietro l’arco. Considerato quanto fatto vedere da quello che dovrebbe diventare il supporting cast, mi aspetto ancora nuovi miglioramenti da questi Grizzlies una volta recuperati al 100% i vari Parsons, Conley e Randolph.

Il roster degli Inglorious Bastards di Memphis è quello dei perfetti outsider che fanno simpatia: Tony Allen (10.1 punti, 5.3 rimbalzi e 1.8 recuperi di media a partita) — JaMychal Green (9.2 punti e 7.6 rimbalzi di media a partita), Andrew Harrison (7.3 punti e 3.6 assist), James Ennis (8.1 punti e 4.2 rimbalzi) e Troy Daniels (10.4 punti).

https://www.youtube.com/watch?v=vWXXe-56IDk&t=17s

di Gabriele Anello

Il tanking è una filosofia particolare e tipicamente americana: noi europei abbiamo il concetto di ricostruzione, ma di perdere in vista del futuro… no, ci manca. Tutto questo è dovuto alla struttura chiusa delle maggiori leghe americane (non solo la NBA), che permette a tutti di riciclarsi ed eventualmente cascare in questo loop. A meno che non ti chiami San Antonio Spurs, in quel caso la stagione di percentuale è un ricordo anni ’90 come le schede telefoniche, il Festivalbar e Shawn Kemp.

C’è però chi ha approcciato diversamente a questa ipotesi: di certo, a Dallas potevano aspettarsi una stagione difficile, ma non così. Dirk Nowitzki isn’t getting any younger (l’età avanza, per intenderci) e il resto del supporting cast è un punto interrogativo. Per quanto Rick Carlisle sia un’istituzione in Texas, mettere in squadra Harrison Barnes e Andrew Bogut ha portato un upgrade minore di quello che ci si aspettava. Al momento i Mavs sono 12–27 (con un tremendo 3–10 a novembre!) e siedono comodamente in ultima posizione a Ovest, dove hanno appena raggiunto Phoenix e il casino che rappresentano i Suns.

Questa sarà probabilmente la prima stagione sotto il 50% di vittorie dal… ‘99–2000, quando i Mavs lasciavano intravedere qualcosa tramite i loro Nash e Nowitzki, compagni di squadra di Finley, Strickland e Shawn Bradley, allenati da Don Nelson. E Mark Cuban — uno che odia il tanking — era appena arrivato a Dallas!

https://youtu.be/8LdHHAMdu28

Diverso il discorso per i Brooklyn Nets: secondo un articolo a firma Matt Borcas (The Ringer), i Nets erano destinati a prendere il posto dei Sixers come peggior team della NBA: «Tra la scelta numero 1 di Simmons, gli arrivi di Embiid e Saric, i Sixers potrebbero finalmente mostrare segni di vita nel 2016–17. Per i Nets è l’opposto, visto che arrivano a questa stagione senza il secondo e il quarto realizzatore (Thaddeus Young e Joe Johnson), con sole due scelte dal draft (tra cui Caris LeVert) e soprattutto senza spazio di speranza per i prossimi draft: praticamente la strategia di Sam Hinkie ai Sixers, ma senza il benefit di avere Noel, Okafor o Embiid in squadra».

Eppure l’arrivo di Sean Marks come GM (ex Spurs, sul campo e in panchina) e quello di Kenny Atkinson come head coach (ex assistente di Mike Budenholzer ad Atlanta) ha portato qualche novità. Soprattutto i Nets hanno al momento il peggior record della lega (8–31), ma non così lontano da quello dei Sixers (12–25). Persino i Miami Heat (11–30) sono vicini ai Nets, che hanno in squadra Brook Lopez e Jeremy Lin, ma che hanno avuto qualche momento di gloria. Come battere i Clippers dopo due OT con 38 punti (TRENTOTTO!) di Sean Kilpatrick.

Certo, a riportarci alla realtà ci pensano le poche prospettive del draft 2017 e lo 0–7 di gennaio, ma i Nets dovevano esser l’ultima ruota del carro in questa stagione: siamo a gennaio 2017 e non ne siamo ancora sicuri. Anche questo è un risultato.

https://www.youtube.com/watch?v=xARUnlfV_c4

Di Roberto Gennari

La cosa che maggiormente mi incanta degli Hornets di quest’anno è il loro aver saputo fare di necessità virtù: ben sapendo di non avere il roster più ricco di talento della NBA (anche se Kemba Walker ha ormai una costanza di rendimento negli anni tale da poterlo considerare a ragion veduta uno dei giocatori più sottovalutati della Lega), coach Steve Clifford ha deciso di prendere da ognuno dei suoi giocatori quanto di buono gli potessero offrire. Così, oltre al già citato Walker che sta avendo la miglior stagione della carriera in termini di percentuali dal campo e conseguentemente di punti a partita, Charlotte ne manda altri cinque in doppia cifra di punti (tra cui spicca l’ottimo Nicolas Batum a oltre 15 di media, nonché migliore della squadra per assist e rimbalzi), e altri tre che oscillano tra i 7 e i 9 punti a partita.

Nel sistema di rotazioni di Clifford, sono ben 11 i giocatori che stanno in campo per almeno 16 minuti, e nonostante la carenza di un rimbalzista puro, Batum e Kidd-Gilchrist tirano giù quasi 15 palloni a sera. Insomma, gli Hornets di questo inizio di stagione, in lotta per la vittoria della Division e per un quarto posto a Est, sono forse l’espressione più vera dei concetti di “play the right way” e più in generale di “gioco di squadra”.

https://youtu.be/BybwKA6u0YQ

Basterà per fare strada anche in post-season? Probabilmente no: a occhio e croce in chiave playoff manca una presenza di peso sotto canestro e un passatore un po’ più illuminato. Però ecco, gli Hornets 2016–17 sono interessanti da vedere soprattutto perché rappresentano un modello diverso da quello in voga in tantissime squadre NBA, e che sono riusciti a mascherare meglio di chiunque altro nella Lega le loro carenze.

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