Al momento i maggiori introiti per una società di calcio professionistica provengono dai diritti TV e dalle sponsorizzazioni commerciali. Il dibattito attuale verte su quanto possa essere proficuo uno stadio di proprietà, ai fini dell’incremento delle entrate, ma viene tralasciata, forse per la minore immediatezza del suo profitto, la discussione sull’importanza della comunicazione in ottica incassi.
Veicolare la propria immagine, potenziando i sentimenti di appartenenza, puntando a nuovi tifosi e nuovi target, può invece accelerare notevolmente le entrate di una squadra di calcio. Una delle prospettive di una comunicazione ben curata è la capacità di aumentare la vendita del merchandising e incentivare la partecipazione dei sostenitori alla vita dello stadio. Senza dimenticare la crescita in visibilità del proprio brand fuori dai confini nazionali. In questo senso un esempio appropriato è quanto fatto dall'Inter: prima squadra a dotarsi di un sito internet in Italia, il 30 luglio del 1995. Inter.it per 15 anni è stato il sito più visitato al mondo di una squadra di calcio, e il secondo in Italia tra i siti a tema sportivo. Si potrebbe tranquillamente asserire che la comunicazione non tradizionale nel nostro paese parte da quel 30 luglio.
Se 22 anni fa l’idea di progettare un sito internet poteva risultare visionaria, oggi gli strumenti attraverso i quali la propria immagina viene veicolata sono molteplici e si aggiornano in un lasso di tempo troppo veloce, e dinamico, per poter passare in tutte le sue forme sempre e soltanto da un classico ufficio stampa. Oggi un tweet arriva prima di un comunicato stampa e la tempestività congiunta al titolo di ufficialità di quel messaggio, non permette passi indietro in caso di errore. La battaglia della comunicazione sportiva si gioca sui social: mezzi di comunicazione che azzerano le distanze tra società calcistica e tifoso. Oltre a Facebook, Twitter, Instagram e Snapchat, a questi colossi mediali si è aggiunto da qualche mese Dogout. Un social esclusivamente dedicato al calcio e ai calciatori. Strutturato per mostrare il dietro le quinte ai fan.
Nonostante i vantaggi notevoli di una comunicazione digitale ben strutturata, in Italia molte società, se non la maggioranza, sono ancora restie ad elargire un budget necessario a mettere su uno staff social. Troppo esiguo per intraprendere strategie di web marketing nel lungo periodo. Ugualmente lontana è l’idea di organizzare un ufficio predisposto alla comunicazione digital, da integrare con l’ufficio stampa. Mancanza di un piano strategico, budget ridotti e scarsa conoscenza del ritorno sull’investimento sono alcuni dei motivi per cui le big tentennano a decollare sul piano dei social media. Troppo netto il gap rispetto a Barcellona, Real Madrid (le più seguite su FB con più di 90 mln di like) o Manchester United (72 mln), quanto a numeri e contenuti. Le più seguite in Italia sono Juventus (25 mln) e Milan (24 mln). I tifosi allo stadio, o più comodamente sul divano e al bar, possono creare engagement da convertire in apprezzamenti virtuali e ricavi. Ma strategie in tal senso non sono state ancora ideate, tranne in alcuni casi di società virtuose.
GLI ESEMPI VIRTUOSI
Una particolarità che da almeno un anno mi stupisce è che le società di calcio che meglio hanno saputo fare della propria immagine un love mark, sono per lo più realtà di provincia come Bologna, Cagliari e Foggia. Addirittura quest’ultima compete in Lega Pro, la terza divisione italiana. Tra le big primeggia su tutte le Juventus, con contenuti multimediali capaci di colpire il lato emotivo del tifoso e del simpatizzante, moltiplicando la condivisione che è la chiave del successo sulle “nuove” piattaforme. Date un’occhiata alle #JChallenge o alla campagna #TenderMario che aveva come scopo commuovere un assolutistico Mario Mandzukic. Sembrerebbero tutti contenuti nati per intrattenere, ma dietro alla creazione c’è l’obiettivo di ridurre al minimo le distanze tra tifoso e società, ma soprattutto per mostrare un dietro le quinte che un tifoso non potrebbe mai comprare o immaginare. Un’interazione che per quanto mediata da uno schermo, risulta un’esperienza trascinante. Anche se un tifoso non vorrebbe mai essere considerato un “cliente”, il senso di appartenenza e la fidelizzazione dell’appassionato incrementano.
Più concentrato sui propri tifosi e su uno scopo informativo, fino a diventare media di se stesso, è il registro comunicativo del Bologna che indirizza la maggior parte delle proprie risorse sulla Web Tv, e quindi su un canale che mostra il behind the scene e crea veri e propri contenuti giornalistici, che altri media usano come fonte della notizia. A Foggia invece hanno usato i social media per incanalare e moltiplicare le energie dei tifosi allo stadio. La settimana dei Satanelli sui social concede dei picchi emotivi nei giorni di avvicinamento al match, mentre il video di Natale da 83.000 visualizzazioni ha commosso quasi quanto gli spot natalizi di John Lewis. I principi dell’instant marketing, sempre in occasione del 25 dicembre, hanno ispirato i content creator della Fidelis Andria, una mossa che ha saputo attirare un buon numero di simpatizzanti virtuali.
“Attraverso i canali ufficiali del club, ci impegniamo a diffondere i nostri contenuti per raggiungere più appassionati possibili in tutto il mondo […]. Il lancio del nuovo canale Giphy è solo l’ultimo passo di una più ampia strategia digitale che mira a fare dell’AS Roma il primo club a livello mondiale in materia di fan engagement”.
L’interazione con i fan al di fuori dei confini nazionali, il messaggio universale e le Gif sono il modo con cui la Roma estenderà la conoscenza del proprio brand. Le parole di Paul Rogers, Head of Digital della Roma, oltre a sancire l’accordo tra la società capitolina e Giphy.com, noto database on line di Gif animate, conferma quale sarà la strada che dovrà percorrere chi è rimasto indietro, come ad esempio l’Inter che invece era stata promotrice di innovazione digitale nel 1995. La Roma è inoltre l’unica squadra italiana ad avere una presenza ufficiale su Medium e l’unico club che si dota di un sito basato sul crowdsourcing.
Non è un caso che i contenuti dall'alto potenziale di condivisione provengano sempre più spesso dagli account personali dei singoli giocatori. Maestri nel trovare il giusto mix di ironia e nonsense quando c’è da mostrare un lato della propria vita privata o alcuni vezzi dionisiaci. Alcuni di questi sono forniti di social media manager, ad esclusione di Cerci e Immobile praticamente SMM di se stessi.
I SOCIAL NON ISTITUZIONALI
La mancanza di una linea organizzativa dalla Serie A in giù, esclusi i casi appena raccontati crea terreno fertile per tutte le pagine non istituzionali che parlano di calcio. Pagine di intrattenimento generalizzabili quasi tutte sulla base di un’unica idea. La diffusione di contenuti in questo senso è allineata al credo superficiale del “bomberismo”. Un termine che indica un modus vivendi non meglio definito che in realtà poggia sostanzialmente sul nulla. Un né carne né pesce monotematico che si rifà a contenuti dozzinali, immediati, da bassi istinti, spesso sessisti o offensivi. Contenuti che però sui social generano istinto di condivisione, sentimenti di ilarità e approvazione. Se siamo fortunati, e non incappiamo in quello che giornalisticamente parlando viene etichettato come gossip o notizia di colore, possiamo leggere di episodi personali di giocatori, tutto a sfondo emotivo, pubblicati perché — se ti commuovi condividi — e l’engagement sale. Gli spunti interessanti provengono da pagine da uno strorytelling marcato e coerente ma indirizzato alle nicchie (storie di calcio sud americano, informazione sul calcio asiatico o americano ecc…).
Social media e comunicazione visuale sono pensati per essere dinamici. Un uso statico di strumenti dinamici come questi, non promuove un’immagine migliore, ma anzi la degrada.
Il calcio, come ogni altro sport, ha la capacità diffondere positivamente un messaggio a livello universale, senza limiti di confine territoriale. E senza perdersi in distinzioni di lingua, religione o etnia. La comunicazione diventa quindi un fattore tanto cruciale quanto estremamente delicato da gestire.
UN OCCHIO ALL’ESTERO E AL FUTURO
In Inghilterra si è ormai adottato uno standard comune sia per i singoli account social dei club, sia per quanto riguarda il campionato. La Premier League ha rinunciato al main sponsor Barclays per poter ridisegnare l’identità e il nuovo logo (tanti saluti alla nostalgia).
In Spagna l’uso dei social per seguire il proprio club ha ormai ampiamente superato i canali tradizionali di informazione, tant'è che l’account ufficiale della Liga spagnola ha recentemente trasmesso in diretta la partita di Copa del Rey tra Barcellona e Atletico Madrid. Tok.tv, provider e piattaforma di San Francisco ma con un team zeppo di italiani, raccoglie i dati “social” del calcio. Consultate qualche numero sull'uso dei new media in riferimento al calcio in Spagna, Inghilterra o addirittura Messico. Poi impiegate 30 minuti della vostra giornata per un giro sui profili social della nostra Serie A e B. Ne converrete, siamo ancora indietro, ma a maggior ragione tanto vale sperare nella velocità delle dinamiche sopra illustrate, e confidare in una rimonta nei minuti di recupero.