A proposito dell’indagine che ha coinvolto Juventus e ultras

Crampi Sportivi
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5 min readJan 27, 2017

“Con il dichiarato intento di mantenere l’ordine pubblico nei settori dello stadio occupati dai tifosi ‘ultras’, (Agnelli) non impediva ai tesserati, dirigenti e dipendenti della Juventus di intrattenere rapporti costanti e duraturi con i cosiddetti gruppi ultras, anche per il tramite e con il contributo fattivo di esponenti della malavita organizzata, autorizzando la fornitura agli stessi di dotazione di biglietti e abbonamenti in numero superiore al consentito, anche a credito e senza presentazione dei documenti di identità dei presunti titolari, così violando disposizione di norme di pubblica sicurezza sulla cessione dei tagliandi per assistere a manifestazioni sportive e favorendo, consapevolmente, il fenomeno del bagarinaggio”. È quanto scrive l’ex prefetto Giuseppe Pecoraro, procuratore della Federcalcio, nel documento di chiusura delle indagini, svolte dai magistrati di Torino, relative al presunto accordo tra la Juventus e i gruppi ultras — che avrebbe avuto l’obiettivo di assicurare la quiete allo stadio -, sul bagarinaggio massiccio e sul presunto coinvolgimento della malavita organizzata in questo tipo di affari.

«Il mantenimento dell’ordine pubblico soggiace a volte a delle necessità che, pur malvolentieri accettate, perseguono uno scopo primario: appunto il mantenimento dell’ordine pubblico. Ma devo ribadirlo con fermezza, i biglietti oggetto di vendita riguardavano esclusivamente persone che guidano il tifo organizzato e rispetto alle quali nessun dipendente Juventus ha mai nutrito il benché minimo sospetto, anche solo di collusioni con associazioni criminali». Questo invece è uno stralcio dalle sette pagine scritte dal presidente della Juventus, Andrea Agnelli, depositate negli atti di chiusura dell’indagine sulla ’ndrangheta e sulle sue presunte infiltrazioni nel mondo del tifo.

In merito agli sviluppi di ieri, in particolare agli articoli apparsi alla chiusura delle indagini, la società Juventus ha inoltre diffuso una nota ufficiale in cui fa sapere di aver sempre collaborato mantenendo uno stretto riserbo a tutela del segreto istruttorio. In attesa di ulteriori sviluppi, e senza entrare nel merito dell’indagine, riteniamo che l’occasione sia quella giusta per riflettere su quale siano i contorni dei rapporti tra ultras e società calcistiche, di questa sorta di “compromesso politico”, con virgolette annesse, e ci perdonerete la definizione paradossale.

Si tratta di un tipo di rapporto reso possibile da un cambiamento che risale agli anni ’90, decennio che segna un solco profondo tra il modello di calcio che aveva abituato i tifosi per gran parte della sua storia, e quello che è diventato lo scenario attuale. A rimodellare l’operato delle società è stata in particolare la legge 586/1996, che ha messo in pratica le direttive della Sentenza Bosman della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, datata 15 dicembre 1995.

La nuova legge ha apportato numerose modifiche strutturali, ma quella che ha cambiato per sempre la traiettoria del pallone è stata la possibilità di ridistribuire gli utili tra i soci appartenenti all’organigramma di una società di calcio. Ogni squadra, da lì in poi, ha potuto progettare il proprio modello di business uscendo così dalla dimensione squisitamente sportiva ed entrando in quella economica tout court. Dal 1996 al 2016 le società sportive diventano infatti delle vere e proprie società di entertainment. Lo scenario del calcio cambia e così anche quello del tifo organizzato si adegua: i vecchi gruppi ultras, chi prima e chi dopo, si sciolgono perché contrari o si limitano a scindersi, perché favorevoli alle modifiche che stavano verificandosi. In quegli anni ad esempio si scioglie lo storico gruppo del Genoa la Fossa dei Grifoni, poi le Brigate Gialloblù dell’Hellas, verrà quindi il turno del famoso CUCS di Roma e infine, uno dei primi gruppi storici di tifosi organizzati: la Fossa dei Leoni del Milan, scioltosi il 17 novembre del 2005.

Alcuni dei nuovi gruppi ultras che si formeranno avranno una visione diversa del mondo del pallone, mutuata da un calcio che è radicalmente cambiato anch’esso, diventato business a tutto tondo: anche per questi ultras subentra così la possibilità di creare un vero e proprio modello di guadagno. Uno dei modelli in questione coincide con il sistema di bagarinaggio, ovvero la “cresta” sulla vendita dei biglietti che alcuni gruppi riceverebbero in alcuni casi dalle società. Nel caso specifico della Juventus, sottolineiamo come il 25 ottobre scorso, durante l’assemblea degli azionisti della Juventus, il presidente Agnelli abbia ribadito che la società “non ha mai offerto biglietti omaggio o alcuna regalia a gruppi organizzati”. In generale, comunque, la Cassazione ha stabilito che chi compra biglietti e li rivende non compie nessun reato, tranne in caso di tagliandi dalla provenienza illecita. Ed è questa l’unica fonte legale che sancisce il “secondary ticket”. La proliferazione di siti internet adibiti alla vendita on line di biglietti ha poi facilitato quello che potremmo definire il bagarinaggio 2.0.

Quello che appare come il dato più grave di questa vicenda è la possibilità che una cellula della cosche della ‘ndrangheta sia riuscita a creare un gruppo di ultras della Juventus in modo di stringere contatti con funzionari e manager della società, e ottenere in questo modo biglietti da rivendere a prezzo maggiorato.

C’è da specificare che nell’avviso di chiusura dell’indagine la società Juventus non figura come “parte offesa” né come responsabile: nessuno dei dirigenti coinvolti è stato indagato al termine dell’inchiesta. Tuttavia, per quanto riguarda la gestione dei biglietti, dovrà esprimersi la procura federale della Figc che ha ottenuto copia degli atti e sarà chiamata a valutare la possibile violazione del codice della giustizia sportiva.

Il compito di responsabile della sicurezza, ha sottolineato il presidente della Juve nelle memorie depositate agli atti, è «estremamente impegnativo in seno alla società, perché comporta necessariamente il contatto con personaggi particolari, che comunque per la legge italiana hanno diritto di accedere allo stadio in quanto non presenti nella black list dei soggetti sottoposti a Daspo».

A questo punto della vicenda, speriamo siate d’accordo con noi, qualsiasi commento sarebbe superfluo. L’unica riflessione parziale che ci concediamo dopo un accadimento così grave, e per giunta ancora in attesa di sviluppi, coincide piuttosto con un auspicio: che tutte le società di calcio possano trovarsi in futuro a preferire la propria estraneità totale rispetto a determinate dinamiche. Proprio perché la sicurezza pubblica è importante, in uno stadio, sarebbe più rassicurante sapere che sono coloro che la desiderano a dettare le condizioni.

Articolo a cura della redazione

*I paragrafi 4,5,6 sono invece a cura di Luigi Di Maso

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