Al centro del progetto

Crampi Sportivi
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12 min readNov 28, 2014

Illustrazione di Luigi Coari

Mateo Kovacic è quel giocatore che ad ogni pausa stagionale e ad ogni cambio d’allenatore “verrà messo al centro del progetto”. È una definizione la cui validità ha una consistenza statistica. Digitando su google “Kovacic centro del progetto” i risultati sono di questo tipo:

“Modulo 4–3–3 e Kovacic al centro del progetto” (CorSport 9 febbraio 2013)

“Kovacic resta il centro del progetto dell’Inter, intoccabile” (Goal.com 2 settembre 2014)

“Inter, il progetto Thohir ha Kovacic nel motore” (Tuttomercatoweb 25 ottobre 2014)

Kovacic è ormai al centro del progetto Inter” (Soccer Magazine, 5 agosto 2014)

“Tra i tanti giovani uno in particolare è al centro del progetto Inter, Mateo Kovacic” (Canale Inter, 5 settembre 2014)

Con il ritorno di Mancini Mateo Kovacic troverebbe una centralità ancora più centrale:

“La nuova Inter di Mancini parte nel weekend, mettendo Kovacic al centro del progetto” (Gazzetta, 20 novembre 2014)

“Con l’arrivo di Roberto Mancini, Mateo Kovacic verrà messo ancora di più al centro del progetto Inter” (Calciomercanews.com 16 novembre)

Qual è il confine tra il tic giornalistico e la verità tecnica? Possiamo far valere la legge degli stereotipi elaborata da Bruno Mazzara, secondo cui dietro alle idee preconfezionate degli stereotipi si nasconde uno zoccolo duro di verità?

Un pezzetto di verità sul fatto che Kovacic fosse, nelle intenzioni della società, al centro del progetto lo potevamo trovare già a fine gennaio 2013, quando l’Inter ha ceduto, nel giro di pochi giorni, Philippe Coutinho e Wesley Sneijder. Incassando in totale 17 milioni euro e mezzo, reinvestiti quasi completamente su di lui, in quel momento cercato anche da Manchester UTD e Real Madrid. Un investimento importante a livello economico (Kovacic in quel momento valeva davvero quasi uno Snejder e un Coutinho messi assieme?) e tecnico, visto che con le due cessioni si è cucita addosso al croato la maglia numero 10 quasi fosse una predestinazione.

In quel momento Mateo Kovacic aveva 18 anni e aveva alle spalle una stagione e mezza da titolare con la Dinamo Zagabria, con la quale aveva battuto il record di marcatore più giovane del campionato croato (con un gol di testa), poi battuto da Alen Halilovic (com’è possibile che in una nazione così piccola nascano due talenti così fenomenali in così breve tempo?).

Il concetto di predestinazione ha accompagnato insomma Kovacic sin dai suoi inizi, e quando sei un predestinato si crea attorno a te un orizzonte di aspettative che si fa molto presto a deludere.

Nel dicembre 2011, a 17 anni (!), ha già vinto il premio come “speranza croata dell’anno”, il più giovane della storia del premio. In quel periodo gioca per l’under 17 e il suo allenatore dichiara, poco enfaticamente: “non vedo un ragazzo con così tanto talento dai tempi di Robert Prosinecki”. Lui non si tira neanche del tutto indietro, sostenendo che Prosinecki è il suo giocatore preferito ed emulando, più o meno involontariamente, in campo le sue accelerazioni tra le maglie avversarie.

Da quando è arrivato in Italia ho sempre avuto l’impressione che questa idea di predestinazione abbia costruito attorno a Kovacic un’aura particolare: è come se ci fosse prima l’idea di Kovacic, e solo dopo il Kovacic reale, quello che scende in campo a intermittenza con la maglia nerazzurra.

È dentro questa idea che si nasconde forse la smania di voler vedere Kovacic al centro del progetto, finalmente dominante, in tutta la sua eleganza, al centro del campo.

E d’altronde a un giocatore che riesce a fare Queste cose è legittimo chiedere di stare al centro di qualsiasi progetto, anche a quello della propria vita.

In un’Inter così povera tecnicamente tutti sembrano sentire la necessità di aggrapparsi al suo talento, convinti che da solo potrebbe bastare a riscattare una squadra mai stata così grigia. I suoi compagni non mancano occasione per ribadire quanto straordinario sia il talento di Kovacic. Andrea Ranocchia ha detto “Un talento straordinario, diventerà uno dei più forti al mondo”; Juan Jesus ci va leggero: “Per me è il nuovo Iniesta”; Handanovic incalza: “ha le qualità per diventare il migliore nel suo ruolo”.

Lui del resto sembra prendere molto seriamente il compito storico che ti si cuce addosso quando hai un talento simile. Nel tempo libero dice di guardare film, leggere romanzi e andare in giro per Milano in bicicletta (praticamente è Antoine Doinel). Zvone Boban ha detto che “ ha un’incredibile serietà professionale per qualcuno della sua età”.

Negli ultimi tre anni Kovacic però non ha brillato particolarmente. Ha giocato partite sottotono, ha segnato poco (2 gol, tutti quest’anno) e fatto anche pochi assist (8, distribuiti però su 5 partite!).

Qui non si vuole sostenere che Mateo Kovacic sia sopravvalutato, o che sia un bluff, ma che occorre forse interrogarsi bene su cosa intendiamo per essere al centro del progetto, o in che modo Kovacic possa essere messo al centro del progetto.

Da Stramaccioni al 3–5–2

Dopo il suo acquisto in conferenza stampa Stramaccioni ha detto che Kovacic non è un giocatore che può difendere la linea difensiva, e che deve essere lasciato libero di esprimere le proprie qualità tecniche in altri ruoli del centrocampo — ma non dietro le punte. Per Stramaccioni Kovacic non è un trequartista puro e, a posteriori, mi sembra quello ad averci visto più lungo.

Kovacic ha esordito appena 3 giorni dopo il suo arrivo all’Inter, a Siena. Stramaccioni dovrà avergli detto una cosa come: “Mettiti in mezzo e gioca il pallone come credi”.

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Uno arrivato da 3 giorni può far girare il pallone con questa semplicità?

Contro la Juventus fa il suo esordio da titolare, in un centrocampo in cui è coperto da Zanetti e Gargano, e dove deve fare da raccordo con Alvarez verso le due punte.

Il girone di ritorno giocato da Kovacic è molto positivo, a fine anno avrà già fatto registrare il proprio primo record: i 4 dribbling e mezzo positivi a partita sono il numero più alto nella Serie A, e sono il sintomo della libertà creativa lasciatagli da Stramaccioni.

Le prestazioni di Kovacic sono iniziate a calare in modo evidente con l’arrivo di Mazzarri.

Il calo è in parte spiegabile con i piccoli infortuni che gli hanno fatto saltare la maggior parte della preparazione estiva, ma anche con alcune incomprensioni tecniche e tattiche tra lui e l’allenatore di San Vincenzo, nonostante il loro rapporto, a quanto pare, fosse splendido.

Quando torna dagli infortuni ormai a fine agosto 2013 Mazzarri dichiara subito di vedere in lui una chiave fondamentale del proprio 3–5–2: “E’ un giocatore che deve stare più avanti, per sfruttare tutte le sue qualità. Deve andare al gol, al tiro, nelle zone nevralgiche e più importanti del campo. Deve giocare sull’inserimento, le qualità le ha già dimostrate”. Mazzarri sembra avere ben chiaro il modo in cui vuole sfruttare il croato ed è pronto a cucirgli addosso un ruolo “à la Hamsik”. L’idea a un certo punto diventa così concreta che durante la scorsa preparazione estiva il croato dichiara di stare studiando i movimenti e il gioco di Hamsik in dvd.

Kovacic inizia il campionato da titolare, al centro del progetto, ma progressivamente viene messo ai margini. Concluderà la stagione con 32 presenze, di cui però solo 14 da titolare. Al termine della sua seconda stagione con la maglia nerazzurra non avrà ancora segnato un gol. Fino al primo gol arrivato quest’anno nelle interviste la domanda più ricorrente era su quando avrebbe segnato. A un certo punto, ad aprile, l’ansia lo ha portato a dire: “in intervista dico sempre che voglio segnare, ma poi non succede mai”.

Rientra così, in modo paradossale, il discorso che facevamo in precedenza: se Mazzarri voleva che Kovacic funzionasse come Hamsik, aveva un’idea di lui non necessariamente corrispondente alla realtà.

Mazzarri chiede ai trequartisti di toccare poco la palla, di farlo quasi sempre in verticale, di attaccare lo spazio aperto dagli attaccanti con intelligenza e corsa. Tutte doti nel dna calcistico di Marek Hamsik. In una classica questione aristotelica: è nato prima Hamsik o il ruolo datogli da Mazzarri?

Se mettiamo a confronto le prestazioni di Kovacic dello scorso anno con quelle di Hamsik nell’ultimo anno di Mazzarri si possono notare delle differenze che parlano di due giocatori che vedono il calcio in maniera opposta.

Nella stagione 2012/2013 Hamsik ha creato 100 occasioni da gol; Kovacic, lo scorso anno, solo 27. Bisogna considerare il minutaggio diverso (1700 minuti contro 3100), ma la differenza rimane piuttosto ampia.

Questa differenza può essere spiegata attraverso un altro dato: l’83% dei passaggi riusciti di Hamsik, contro il 90% di Kovacic, è sintomo di come lo slovacco rischi di più la giocata e punti, in definitiva, in modo più deciso verso la porta. I 2 tiri e mezzo a partita contro i 0.6 di Kovacic ne sono la dimostrazione impietosa.

Per Hamsik il calcio è un gioco in cui bisogna arrivare alla porta avversaria con meno tocchi di palla possibili; Kovacic è ben lontano da tale idea di essenzialità. Se Hamsik compie, mediamente, 45 passaggi a partita; Mateo Kovacic ne fa almeno 60.

Quando Mazzarri ha provato Kovacic da trequartista le sue caratteristiche lo hanno portato a barcamenarsi tra le istruzioni del tecnico di buttarsi nello spazio aperto dalle punte (poco e brutto, in verità) e il suo istinto a prendersi la palla indietro, a impostare il gioco. Togliendo la possibilità di creare la superiorità dietro ai centrocampisti.

I progetti di Mazzarri riguardo a Kovacic nella scorsa stagione sono miseramente naufragati. Probabilmente anche per una smania di mettere il croato al centro del progetto, di farne il faro della sua Inter come Hamsik lo era del suo Napoli.

Quando Mazzarri ha provato a metterlo regista è sembrato più per provarle tutte che per una reale convinzione. Kovacic ha fatto un mezzo disastro, a Torino, contro la Juventus, perdendosi due volte l’uomo — prima Liechsteiner in marcatura e poi Pirlo in uscita. Nel dopopartita Mazzarri si presenta in conferenza col solito equilibrio, scaricando la maggior parte delle colpe sul croato: “Su Pirlo doveva uscire Kovacic, ma rimanevamo spesso in meno a centrocampo perché non ce la faceva a uscire sempre”, “Pensavo che Kovacic fosse stato messo nella posizione ideale per fare gioco, vista la libertà di giocare il pallone senza pressione. Poteva essere l’uomo in più”. Kovacic è serissimo e non fa questioni: qualche settimana dopo dice di aver rivisto “mille volte” quella partita per capire le sue colpe.

Kovacic è uno dei migliori esempi di come il dogmatismo di un tecnico possa riuscire ad annichilire le doti dei propri calciatori.

Valorizzare Kovacic

Negli ultimi due anni la discussione intorno al ruolo di Kovacic diventa una specie di tema dominante della discussione calcistica in Italia. Tutti sentono il bisogno di dire la loro.

Kovacic è un trequartista o un regista? Un intermedio o un esterno di un attacco a tre? Come si può valorizzare Kovacic? Qual è il modo migliore per metterlo, una volta per tutte, al centro del progetto?

C’è chi sostiene non abbia nulla del trequartista; chi, come Adani, crede che il trequartista lo possa pure fare, ma a costo che impari a tirare in porta ; chi invece lo vede “chiaramente” come un trequartista; e chi invece, su Gazzetta, lo immagina abbassato da play nella ormai manieristica “operazione Pirlo”.

Quando qualche giorno fa Mancini si è seduto sulla panchina dell’Inter il fatto che Kovacic verrà messo al centro del progetto è diventata una certezza incontrovertibile. Il primo ad essere interpellato a riguardo è Dejan Stankovic, che conosce discretamente bene l’ambiente nerazzurro e il Mancio: “Stravede per Kovacic, punterà tutto su di lui”. Ansia.

Domenica sera contro il Milan, alla prima di Mancini, Kovacic è stato schierato attaccante esterno, a sinistra, ben lontano da questa immaginaria centralità del progetto, dove invece sembrava aver preso posto un insospettabile Zdravko Kuzmanovic (80 passaggi completati, il doppio di quelli di Kovacic).

Kovacic è stato tolto da in mezzo al campo e spostato in una posizione nella quale non ha mai giocato. Gli effetti, come prevedibile, sono stati disastrosi. Kovacic non ha creato nessuna occasione — cioè dai suoi passaggi non si è generato nessuna azione pericolosa, e l’unico effetto sortito sembra essere stata una catena di sinistra con dodò sorta di manifesto della bellezza inefficace.

À Rebours, i passaggi di Mateo contro il Milan. Quelli di Dodò verso di lui sono stati 26 — la combinazione più battuta — ma poi cosa ne ha fatto?

L’altro dato sconfortante della partita di Kovacic contro il Milan è il fatto che abbia tentato solo due dribbling, entrambi in zona centrale, a conferma di quanto non si trovasse a suo agio sulla fascia. Come questo dato tende a confermare, Kovacic dalla fascia ha tentato più volte di accentrarsi, formando un classico triangolo nella manovra offensiva dell’Inter (lo vedete qui). Non si capisce fino a che punto fosse un movimento nella testa di Mancini o una sua naturale inclinazione.

Di certo non ci vuole un genio per capire che per essere valorizzato Kovacic deve vedere il gioco davanti a sé, dal centro, da dove allargarsi sulla fascia può essere solo un momento dettato dal suo istinto di gioco.

Il 10 maggio dello scorso anno Kovacic ha giocato la sua miglior prestazione con la maglia dell’Inter, in una partita contro la Lazio vinta per 4 a 1, che verrà ricordata soprattutto per l’addio di Zanetti.

In quell’occasione la squalifica di Cambiasso aveva “costretto” Mazzarri ad affidargli le chiavi del gioco, insieme ad Hernanes messo davanti la difesa come ai tempi del San Paolo.

Kovacic chiuderà la partita con 11 dribbling realizzati e col 90% dei passaggi riusciti, metà dei quali nella metà campo offensiva.

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11 minuti in cui è chiaro quanto Kovacic possa essere devastante se fatto partire dal centro di una zona non troppo avanzata del campo. A 3:46 l’assist per Icardi è WOW.

Se devo immaginare un’azione à la Kovacic penso a quella contro la Juventus nel suo primo anno, un modo di penetrare tra le linee avversarie peculiare, incredibilmente simile a quello di Robert Prosinecki.

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Kovacic corre verso la porta dal centrocampo come se non ci fossero realmente degli avversari attorno a lui. In un video su YouTube viene definito il nuovo Ivica Kostelic, che di mestiere fa lo sciatore.

La sua capacità di difendere la palla e di rompere la pressione avversaria è probabilmente la sua caratteristica migliore. È per questo dovrebbe essere messo nelle condizioni di stare ben dentro il gioco, lontano da eccessive sovrastrutture, certamente non da play basso, dove le sue partenze in velocità potrebbero rivelarsi pericolose.

Pensando a quanto si parla del ruolo di Kovacic, a quanto gli allenatori sperimentino attorno alle sue qualità in un modo quasi egoistico — come se ognuno dovesse arrivare a risolvere questo problema-Kovacic — mi è tornata in mente una cosa che dice Pjanic in un una bella intervista a Daniele Manusia su Ultimo Uomo (le interviste ai calciatori dovrebbero diventare cose così). Pjanic è un giocatore abbastanza simile a Kovacic, che come Kovacic ha passato due stagioni a girovagare in cerca di una posizione in campo. Ma che, soprattutto, come Kovacic ha subito il dogmatismo del proprio allenatore (anche se Mazzarri, in quanto a Dogmatismo, è un democratico in confronto a Zeman). Riguardo al suo modo di giocare con Zeman — che lo ha spesso schierato esterno del 4–3–3 — il bosniaco ha detto che «Zeman chiede spesso ai centrocampisti di buttare la palla in avanti, di verticalizzare, sempre. A me piace giocarla come la sento io. Come mi chiede il Mister adesso: Fai quello che senti perché tu sei quello che decide, tu devi fare il tuo gioco. Questo mi dice Garcia oggi. È completamente diverso. Non è che non me la sentivo di buttarla dentro, a volte però pensavo che la soluzione migliore era un altra. La differenza oggi è che mi sento molto più libero».

Ecco, questa libertà è una cosa che mi sembra avvicinarsi un po’ all’idea di mettere al centro del progetto, banalmente: mettere il talento di un giocatore nelle condizioni di potersi esprimere al meglio. Cosa che finora è accaduta in rari casi per Mateo Kovacic, che non sembra solo molto dotato tecnicamente, ma anche capace di leggere da sé le situazioni di gioco, senza che qualcuno gli dia dall’alto troppe istruzioni specifiche.

Il peso delle sovrastrutture tattiche sul gioco di Kovacic — e della poca fiducia data da un tecnico che ti colpevolizza davanti ai microfoni — può essere la causa della sua scarsa incidenza offensiva, in termini di gol, assist e occasioni create. In campo è apparso spesso intimidito e ha preferito la soluzione di passaggio semplice a quella complessa

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Stagione 2013/2014. Un giocatore come lui non può limitarsi sempre all’appoggio sul compagno vicino o allo scarico facile sulla fascia.

Eppure, guardando la progressione del suo rendimento, questo sembra essere il momento giusto per mettere davvero Kovacic al centro dell’Inter. In questo primo scorcio di stagione ha fatto registrare un deciso miglioramento delle proprie prestazioni.

Ad oggi Kovacic ha già quasi raddoppiato i propri passaggi-chiave, i propri dribbling, i propri tiri. Tutti numeri che tracciano la condizione di un giocatore pronto per l’esplosione definitiva.

La crisi di ficucia mazzarriana al centro.

Nel 2012 Mancini si era pronunciato sull’acquisto di Kovacic, con toni che non si discostano dall’entusiasmo che circonda sempre il centrocampista croato: “E’ un ragazzo di diciassette anni, che ha dimostrato di possedere alcuni numeri e una personalità eccezionale. Penso he di lui si parlerà molto a lungo e presto troverà spazio in un club di livello mondiale. E’ nato per giocare a calcio e diventerà un campione secondo me”.

Pur non essendo famoso per riuscire a imprimere un’identità di gioco riconoscibile alla propria squadra, Roberto Mancini ha sempre avuto ottime doti di gestione. Ha sempre fatto le cose con ordine e intelligenza, senza protagonismo: provando a mettere i giocatori delle condizioni tattiche di rendere al meglio. È una cosa che possiamo riconoscergli e che forse aiuterà Kovacic a trovare un giusto equilibrio tra disciplinamento tattico e libertà creativa. L’infelice esperimento di metterlo esterno d’attacco nel derby di domenica credo si possa considerare una parentesi non ripetibile.

Far giocare Kovacic come crede Kovacic è il modo migliore per metterlo, una volta per tutte, al centro del progetto. Fargli giocare la palla come “sente”, libero di sublimare il gioco di questa Inter troppo triste per essere vera.

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