Amici nemici

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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6 min readJun 19, 2016

Si sa, le rivalità sono l’essenza della Formula 1. Piloti diversissimi tra loro che si sfidano per l’egemonia di un campionato, come se fosse un western. Hunt contro Lauda, per esempio. Come può essere definito questo duello? Sanguinoso? Folle? Impari?

Il più mainstream è stato quello Senna-Prost di fine anni ’80. Quello si che si potrebbe definire sanguinoso, al limite della regolarità. Due leggende, su monoposto identiche, dettagli.

A cavallo tra gli anni ’90 e 2000, la Formula 1 ha regalato un’altra bella rivalità. Mika Hakkinen da una parte, Michael Schumacher dall’altra. Duello leale, questo sì, con Mika capace di battere per due anni di fila Schumi, per poi soccombere dall’anno 2000 in avanti. È la Ferrari di Brawn e Todt, l’inizio della dittatura.

Michael Schumacher è il pilota di F1 che ha avuto più avversari. Il primo fu proprio Ayrton Senna, una sfida rimasta sospesa per sempre in quel fatidico 1 maggio 1994. Poi sono arrivati Damon Hill, prima e Jacques Villeneuve poi. Rivalità forti, toccate, staccate e sportellate fuori ogni regola.

Dopo Mika Hakkinen, il grande rivale di Michael Schumacher è stato Fernando Alonso: la promessa contro la leggenda. Due generazioni a confronto, la fine di un’epoca per la Formula 1. Fernando si aggiudica due mondiali su Renault; Schumacher combatte, pone le armi, si ritira, torna e si ritira ancora.

E oggi? Hamilton vs Rosberg?… naaa

Hamilton vs Vettel… sì. No. Magari.

Hanno vinto gli ultimi sei titoli iridati, eppure Hamilton e Vettel non si sono mai contesi il campionato. Quando il tedesco dominava con la Red Bull, Hamilton arrancava dietro una McLaren mai davvero competitiva e a mala pena riusciva ad avere la meglio su Jenson Button e Fernando Alonso. Poi il passaggio in Mercedes nel 2013, anno dell’ultimo campionato del mondo vinto (cioè dominato) da Vettel.

L’ultimo GP del Canada è stato una delle poche occasioni in cui i due si sono contesi la vittoria. Alla fine sorrisi per tutti. Anche per Vettel, nonostante la sciagurata strategia Ferrari. Una pacca sulla spalla a Hamilton, siparietto sui “quei due maledetti gabbiani” e tante grasse risate in un mondo — come quello della Formula 1 — che spesso si prende troppo sul serio.

La sensazione è che ci sia del rispetto, ma anche che entrambi usino l’ironia per mascherare una certa insofferenza.

Lo ha detto Hamilton stesso, un anno fa a Sochi, che il suo sogno è poter avere la possibilità di duellare in pista con Sebastian Vettel. Un bel ruota contro ruota come succedeva un tempo, nostalgia di una Formula 1 che non esiste più, quella dei Villeneuve (Gilles), degli Hunt e dei Senna e Prost. Ancora loro, sempre loro. Modello platonico quando si parla di rivalità tra piloti.

Però Hamilton non ha sempre usato parole dolci per Vettel. Due anni fa, a domanda esplicita, disse che il migliore era lui, perché nella sua carriera aveva battuto un pilota del calibro di Alonso, mentre Vettel solo gente di secondo piano come Webber e Kimi Raikkonen.

L’anglo-caraibico disse anche che la Red Bull dell’era 2010–2013 era una macchina inarrivabile. Come la Mercedes di oggi, diremmo tutto in coro. E per la cronaca, nel 2007, Hamilton non batté Alonso ma concluse la stagione a pari punti (109). Cosa notevole per un debuttante in Formula 1, un incubo per Fernando che dopo quella stagione scappò via dalla McLaren per tornare alla Reanult.

Anno 2007, quello del debutto in Formula 1 di Hamilton e Vettel. Il primo come seconda guida McLaren, il secondo come collaudatore della BMW. Vettel disputa un solo Gp Vettel, quello degli Stati Uniti al posto dello sfortunato Robert Kubica: si qualifica settimo e con una gara pulita porta a casa due punti. Ha 20 anni.

Nel circus si parla di lui come un predestinato, il Verstappen di allora, tanto per intenderci. Helmut Marko lo mette sotto contratto e il tedesco inizia la stagione successiva alla Toro Rosso: è il 2008. Il titolo è una lotta a due tra Lewis Hamilton e Felipe Massa, mentre i GP sono una questione privata tra Ferrari e McLaren. Tranne tre.

In Bahrein primeggia Kubica sulla BMW; a Singapore vince Alonso grazie allo schianto pilotato di Nelson Piquet Jr. A Monza, invece, trionfa Sebastian Vettel su Toro Rosso, dopo aver conquistato persino la pole position: un preludio di quello che saranno i suoi anni di gloria alla Red Bull. Pole e vittoria solitaria. È in questo modo che Vettel vincerà la maggior parte delle gare.

Eccola la prima differenza con Hamilton. Se vogliamo scomodare ancora i due totem del passato, si può dire che Vettel somigli a Prost e Hamilton inevitabilmente al suo idolo Senna. Hamilton ama duellare, sorpassare; Vettel è un freddo stratega, mentre nei duelli non riesce a essere incisivo.

L’ultima stagione in Red Bull è emblematica. Ricciardo vola, tra finte e contro-finte si piazza sempre davanti a lui. Vettel ha bisogno di ritmo, di giri che si susseguono con differenze di millesimi, si esalta quando davanti ha la strada libera, le rimonte, i sorpassi, gli mettono pressione.

Vettel umiliato a Monza da Ricciardo: siamo nel settembre 2014.

È vero che nella Formula 1 moderna senza una buona posizione in griglia è difficile vincere le gare, ma le statistiche di Hamilton sono leggermente diverse. Delle sue 45 vittorie, sei sono arrivate partendo dopo la prima fila. A Silverstone 2014, l’inglese vinse addirittura partendo dalla sesta posizione. Hamilton è un leone da gara, Vettel un passero solitario.

Hamilton ha conquistato 53 pole position su 174 gp disputati, Vettel 46 su 165 start. Chi è più veloce nel giro singolo? Domanda complicata perché — a meno di condizioni atmosferiche particolari o di inconvenienti meccanici — davanti a tutti il sabato ci finisce chi ha la macchina più veloce.

Vettel ha dominato tra il 2010 e il 2013, visto che la sua Red Bull era una specie di astronave costruita da quel genio visionario di Adrian Newey. Simile alla Mercedes di Hamilton degli ultimi due anni.

L’unico modo per stabilire chi tra i due sia più veloce al sabato è tramite il confronto con i compagi di squadra: Vettel stracciava Webber, dandogli anche 3–4 decimi di scarto. Per Hamilton invece, ogni sabato, è una lotta serrata sul filo dei millesimi contro Nico Rosberg, che è un compagno di squadra — lo dicono i numeri — più veloce di Mark Webber.

L’impressione però è che a parità di macchina Vettel e Hamilton darebbero vita a una sessione di qualifica spettacolare ma che alla fine sei volte su dieci, ad avere la meglio sarebbe il pilota tedesco.

Sono nove anni che Vettel e Hamilton corrono in Formula 1: si sfiorano, si osservano, si danno pacche sulle spalle, ma continuano a incrociarsi. Mai in lotta l’uno contro l’altro. Se lo auspica Hamilton che ha bisogno di un duello in pista con un pilota alla sua altezza (Nico Rosberg evidentemente non è così percepito) per poter entrare nell’Olimpo dei campioni.

Non gli basta più solo vincere. Non vuole che tra dieci anni la gente dirà: «Vinceva perché aveva la macchina più forte». Vuole che la gente riconosca la sua velocità. Vuole diventare una leggenda e si sta già esercitando a parlare di se stesso con i nipotini: avete visto la pubblicità in cui è invecchiato di cinquant’anni?

Vettel invece sembra più sereno da questo punto di vista. Anche le dichiarazioni post-Canada («Peccato, abbiamo sbagliato strategia, ma sono fiducioso, la Ferrari c’è») fanno trasparire uno stato d’animo sereno di chi ha la coscienza pulita, di chi trova il massimo appagamento nello sviluppare, un passo alla volta, una macchina e portarla al vertice.

Ci riuscirà: pole, vittoria, giro più veloce. E a Hamilton non resterà che inseguirlo.

«Senti Seb — dirà Lewis — rallenta e divertiamoci, in fondo non sarebbe più bello vincere duellando piuttosto che con una gara monotona e solitaria?».

Articolo a cura di Francesco Aquino

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